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Ole Christian Mælen Kvarme

Vescovo luterano, Norvegia
 biografia
IL DIALOGO TRA GLI EBREI E I CRISTIANI
 
Per quarant’anni ho vissuto dialogando con il popolo ebreo e con la sua tradizione sia in Israele che in Norvegia e, con riconoscenza ai miei amici ebrei, vorrei affermare che questo rapporto ha cambiato la mia vita e rafforzato la mia fede. Vorrei, inoltre, ribadire come vescovo luterano e come partecipante a questa conferenza organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio che lo sviluppo del dialogo tra ebrei e cristiani ci ha resi piu’ vicini ed è stato possibile anche grazie all’impegno del Concilio Vaticano II e del vecchio papa Giovanni Paolo II.
 
Il contesto e i contenuti del dialogo non sono sempre gli stessi. L’eredità giudeo-cristiana e’ alla base della nostra cultura in Europa e tuttavia proprio qui hanno avuto luogo i pogrom e l’olocausto. Oggi ci si prospetta la sfida di orizzonti culturali e religiosi più ampi, ai quali ci siamo trovati di fronte l’anno scorso a Cracovia e che abbiamo sperimentato camminando lungo il binario di Birkenau: cristiani, ebrei, mussulmani, hindu, buddisti e molti altri insieme ai bambini della scuola polacca, un’esperienza, ne sono convinto, che nessuno di noi dimenticherà mai.
 
Tenendo dunque in mente quel momento indimenticabile e considerando orizzonti più vasti, mi concentrerò su una sola parola, un solo aspetto della nostra sfida nel dialogo tra Ebrei e Cristiani, che voglio indicarvi con una citazione dello studioso e rabbi Abraham Joshua Heschel: “Quando si ignora la crisi del mondo di oggi ... (e) quando le religioni parlano solo con la forza piuttosto che con la compassione, il loro messaggio perde di significato”(1). La parola è compassione, e credo che l’appello di Heschel sia  tuttora una sfida per le persone di fede, anche nel nostro dialogo.
 
Un episodio biblico che conosciamo entrambi parla di questa compassione. È la storia di Giona, che tentò di sfuggire all’incarico affidatogli da Dio di andare a Ninive. Si rifugiò su una nave, ma da lì cadde in mare. Tuttavia dopo aver pregato Dio nella pancia della balena, andò a Ninive per annunciarne la distruzione. Gli abitanti di Ninive lo ascoltarono, si convertirono e la città non fu distrutta. Giona era indispettito e triste, solo perche’ aveva trovato in Dio una compassione più grande. Dunque la narrazione finisce con le parole del Signore: “io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, (...)e una grande quantità di animali?".
 
Mentre penso a questa storia, mi tornano in mente le parole di Dio a Mosè, sul monte Sinai, parlando di se stesso: “"Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato,”(Es 34,6-7). Come cristiano europeo, conosco fin troppo bene le tristi vicende dell’antisemitismo e dell’olocausto nel nostro continente per prenderle alla leggera, ed è necessario confrontarci con il passato e tenerlo vivo nelle nostre coscienze per poter sperare in un futuro migliore. Ma credo anche che, in tempo di crisi, dovremmo riscoprire insieme la grande compassione di Dio, che va oltre la nostra immaginazione.
 
La gente di fede è gente animata da passione, o almeno lo spero. Ma la passione senza compassione può condurre fuori strada. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una rinascita dello spirito religioso nella nostra società, ma questa nuova religiosità in parte si è connotata solamente come opposizione alle autorità, con un’enfasi tutta moderna sull’importanza delle scelte individuali, non accompagnata da una vera passione. In parte è stata caratterizzata da tendenze all’autoritarismo e da molta passione, che però non ha lasciato spazio alla compassione per le vite degli altri. Quest’ultimo tipo di religiosità è più propriamente chiamato fondamentalismo, e possiamo osservarlo sia tra i Cristiani che tra gli Ebrei e i Mussulmani, e anche in altri contesti. Ma noi siamo capaci di aiutarci l’un l’altro per trovare una via di equilibrio tra la passione che ci lega alle nostre rispettive tradizioni e la compassione più grande di Dio per la vita e per gli altri?
 
Abraham Joshua Heschel, che prima menzionavo, ha operato una distinzione tra la teologia e la teologia profonda. La teologia si occupa della dottrina e dei dogmi, mentre la teologia profonda parla della fede e dell’atto stesso del credere. Dice: “la teologia fa affermazioni, e’ dichiarativa, la teologia profonda suscita una risposta. La teologia chiede atti di fede e obbedienza, la teologia profonda ci chiede di riconoscerla e di dare una risposta personale”(2).  La teologia profonda ci mette in contatto con ciò che avviene all’interno delle nostre vite: “l’intimita’ della religione, vaga e spesso indescrivibile e’ il cuore della nostra esistenza religiosa”. A questo io aggiungerei: è solamente quando raggiungeremo questo grado di profondità nel nostro dialogo, quando riconosceremo che a livello teologico dobbiamo accettare il fatto che non possiamo giungere alle stesse conclusioni, che ci si potranno aprire nuovi orizzonti per andare avanti agendo insieme secondo la compassione più grande dell’Unico Dio in cui tutti crediamo.
Vorrei poi portare la vostra attenzione su due particolari aspetti, rispetto ai quali diventa molto importante il nostro sforzo di andare avanti con maggiore compassione. Il primo aspetto riguarda la crisi ambientale e i suoi tragici effetti per i poveri nel mondo. È stato detto che l’apporto più significativo della tradizione ebrea alla nostra civiltà è il suo senso del tempo, la ritmicità di una vita divisa tra lavoro e riposo, con giorni predisposti al lavoro e giorni per il riposo sacro, con periodi che si alternano di lavoro e di gioiose festivita’. All’interno di questa ritmicità si configura un interesse speciale per i poveri e per tutte le creature come anche per la terra che ci fornisce di che vivere. 
Come cristiani, abbiamo adottato da tempo questa tradizione biblica, istituendo la suddivisione in settimane del nostro calendario, ma c’è bisogno di riscoprirla. C’è bisogno di riscoprirla anche per la sua importanza nel determinare il nostro rapporto con l’ambiente. Il fatto che noi abbiamo rotto il ritmo della vita indicato per l’uomo e per l’intero creato, non è forse una delle principali cause e allo stesso tempo uno degli effetti del nostro attuale abuso della terra, dell’acqua e dell’aria? Alla fine della storia di Giona, questa questione è addirittura enfatizzata con una parola che non smette mai di stupirmi: “io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, e una grande quantità di animali?".
Il secondo punto riguarda il perenne stato di crisi e di conflitto tra Israeliani e Palestinesi, che negli ultimi anni ha anche avuto profonde ricadute sul dialogo tra Ebrei e Cristiani. Anche questa in un certo senso è una crisi ambientale, perché riguarda sia l’ambiente che lo spazio vitale di una terra che sta a cuore sia agli Ebrei che ai Cristiani e ai Musulmani. Non voglio essere ingenuo riguardo la complessità del problema, ma sono convinto che si può aiutare la situazione con il nostro dialogo tra uomini di fede. Seppur modestamente, è nostro dovere insistere sul fatto che la religione non dovrebbe essere utilizzata per creare odio e conflitto, ma dovrebbe essere al servizio di obiettivi di pace e giustizia. A livello più profondo, dovremmo riflettere insieme sulle implicazioni della grande compassione di Dio per gli Ebrei, i Musulmani e i Cristiani, per i Palestinesi e gli Israeliani, e ricordare costantemente ai nostri politici le prospettive più ampie che questa compassione ci apre. In questo contesto vorrei fare un’aggiunta necessaria a partire dal contesto in cui vivo, dalla Norvegia poiché in questi giorni circolano voci che reclamano la sospensione dei rapporti e della cooperazione con Israele. Non è questo il tempo adatto per rompere i legami con la comunità ebraica in Israele, al contrario, è tempo di rafforzare il nostro dialogo e la nostra amicizia per raggiungere quella compassione più grande, che un giorno forse ci porterà ad una riconciliazione che va oltre la nostra immaginazione.
 
Per finire, vorrei tornare a Giona: soltanto dopo aver portato a termine il suo compito si stupì alla scoperta della grandezza della compassione di Dio. È questa anche la mia speranza e il mio sogno, per il nostro dialogo continuo e per una nostra azione comune uniti dalla profondità della nostra fede, che possiamo non perdere la capacità di stupirci di fronte a questa compassione e ai suoi effetti su di noi e sull’ambiente circostante.
 
 
1. Religion in a Free Society, in The Insecurity of Freedom. Essays on Human Existence, New York: Schocken Books 1969, p.3.
 
 2.Depth Theology, in The Insecurity of Freedom, op.cit. s.118.