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David Rosen

Rabbino, consigliere speciale della Casa della Famiglia Abramitica (AFH) di Abu Dhabi, Israele
 biografia
Probabilmente, nella storia dell’umanità, non è esistita nessuna rivoluzione ideologica, e tanto meno teologica, che sia stata altrettanto dirompente quanto il cambiamento che è avvenuto nella dottrina cristiana riguardante gli ebrei, l’ebraismo ed Israele. Dall’”Insegnamento del disprezzo” che rappresentava gli ebrei come rigettati da Dio, sostituiti dalla Chiesa, il nuovo e vero Israele, che li vedeva condannati ad errare e soffrire in testimonianza di tale stato di cose, siamo passati ad un’epoca in cui la frase di Giovanni Paolo II, che descrive il popolo ebraico come “i carissimi fratelli maggiori della Chiesa, dell’antica alleanza che non è e non sarà mai revocata” è ampiamente diffusa; per molte persone oggi la fraternità ebraico – cristiana è qualcosa di quasi scontato.
 
Dalla promulgazione della Nostra Aetate non soltanto vi è la larga consapevolezza del fatto che “l’antisemitismo è un peccato contro Dio e gli uomini”, come disse il Papa Giovanni Paolo II, ma anche del fatto che è necessario per i cristiani comprendere sia l’ebraismo che il modo ebraico di intendere le scritture per capire meglio sé stessi come cristiani, come anche la vita e le parole di Gesù di Nazareth.
 
Anche se vi è ancora molto da fare affinché questa trasformazione nella dottrina cristiana sia del tutto recepita all’interno della Chiesa (sia in senso orizzontale che verticale: in tutte le zone geografiche e a tutti i livelli della gerarchia) si tratta comunque di una trasformazione senza paralleli.
 
Ho detto e scritto molto su questo, ma oggi vorrei guardare a tutto ciò dal punto di vista della responsabilità ebraica.
 
Naturalmente, mentre il cristianesimo non può comprendere pienamente sé stesso senza far riferimento al popolo ebraico, la sua fede e la sua storia, l’ebraismo non ha bisogno di rapportarsi al cristianesimo per comprendere sé stesso. C’è chi dice che dovrebbe, ma è ovvio che non ne ha l’obbligo. Tuttavia, ci sono molte ragioni stringenti per le quali gli ebrei hanno bisogno di coinvolgere sé stessi in questo rapporto.
 
Per cominciare, abbiamo tutto l’interesse ad essere compresi, e ad assicurarci di non diventare vittime di mentalità ristrette e pregiudizi.
Inoltre, anche se nel nostro mondo ci sono stati sviluppi positivi in tal senso, non mancano pericoli e rischi. Segnatamente, l’antisemitismo rimane un virus resistente e duraturo, che in tempi recenti ha anche subito delle mutazioni, diventando odio e delegittimazione dello stato del popolo ebraico, lo Stato di Israele. Naturalmente, non intendo dire che sia illegittimo criticare le politiche o le azioni di Israele. Tuttavia, negare agli ebrei ciò che è considerato legittimo per gli altri sicuramente non è niente meno che antisemitismo. In un mondo configurato in questa maniera, la necessità di alleanze e di compagni di altre religioni è una necessità assoluta.
Al di là di ciò, tuttavia, vi è la consapevolezza che l’ebraismo ed il cristianesimo condividono la maggior parte dei valori etici e ciò fa si che tra di loro esista un obbligo reciproco.
 
Il saggio medievale Rabbi Menachem HaMeiri di Perpignan riconosce ciò quando descrive i cristiani ed i musulmani come “i popoli ai quali ci legano le buone maniere della religione”. (La sua opinione è alla base delle decisioni dei Rabbini capi di Israele Kuk e Herzog, che - come obbligo basato sulla Halakhah, su argomenti religiosi! – ritiene che cristiani e musulmani debbano godere di pieni diritti civili in uno stato ebraico). E, se ci atteniamo veramente ai principi etici che abbiamo in comune, come la giustizia e l’equità, la santità della vita e della famiglia, la ricerca della pace e il desiderio di raggiungere la pace, la bontà e l’amabilità, allora sicuramente abbiamo l’obbligo di lavorare insieme a coloro che condividono tali valori, affinché diventiamo più grandi della somma delle nostri parti distinte.
 
Tuttavia, molti sapienti ebrei hanno messo in evidenza il fatto che i valori morali condivisi tra cristiani ed ebrei derivano dalla loro comune eredità biblica, e perciò ciò in cui credono in parte è condiviso, nonostante ciò che li divide.
A tale riguardo sono molto istruttive le parole dell’influente rabbino europeo del diciassettesimo secolo, Moshe Rivkes (Be'er HaGolah,  Shulchan Aruch, Chosen Mishpat, sez. 425):
“I popoli alla cui ombra noi, il popolo d’Israele, ci rifugiamo e tra i quali siamo dispersi, credono nella Creazione e nell’Esodo e nei principi fondamentali della religione, e ogni loro proposito è per servire il Creatore del Cielo e della Terra, come hanno scritto i nostri commentatori, e come è stato riportato nel Rama (Orach Chayim sez. 156). Non solo siamo obbligati a salvarli in caso di pericolo, ma ci è raccomandato di pregare per il loro bene, come ci ha spiegato l’autore del Ma’aseh Hashem (R. Eliezer Ashkenazi) nel commento alla Haggadah al verso “riversa la tua ira…”
 
Il rabbino Jacob Emden, nella sua opera “Etica dei Padri” è persino andato oltre, descrivendo il cristianesimo con le seguenti parole (Seder Olam Rabba 33-35; Sefer HaShimush 15-17): “Knessiyah leshem shamayim shesofah lehitkayem”, cioè un “assemblea che guarda ai Cieli, e il cui valore ed il cui scopo sono duraturi“ (La parola “knessiyah”, assemblea, è anche la parola ebraica per dire “Chiesa”!).
 
Oltre ai motivi summenzionati, in tali modi di vedere il Cristianesimo possiamo scorgere un’ulteriore motivazione, probabilmente più stringente, per avanzare nei rapporti Cristiano-Ebraici. Chiunque riconosca di nutrire devozione verso la presenza di Dio, rivelata sia nella Creazione che nella Storia, e verso la Sua Parola, rivelata nella Bibbia Ebraica, acquisisce una responsabilità particolare verso tutti coloro che riconoscono anch’essi la stessa cosa. Ciò ci rende, volenti o nolenti, compagni nella ricerca del Regno dei Cieli Universale sulla terra, in fedeltà alla visione biblica.
 
Per molti ebrei questa è ancora un’idea difficile da digerire, in primo luogo per motivi storici. Tuttavia, il fatto che troppo spesso il comportamento cosiddetto cristiano verso gli ebrei hanno fatto del Vangelo una parodia, non dovrebbe impedirci di vedere il contenuto di quest’ultimo; esso ci mostra ciò che Rivkes ha chiamato “i principi fondamentali della religione”, che discendono dalla fede in Dio come Signore della Creazione e dell’Esodo.
 
Di conseguenza, il fatto stesso che i cristiani spesso hanno fallito nell’essere fedeli al loro maestro, dovrebbe preoccupare anche noi ebrei. Infatti, la profanazione di tali valori, da parte nostra o da parte di altri, allontana noi ed il nostro mondo dalla versione Messianica finale, mentre il loro compimento ci avvicina.
Se infatti è vero che il cristianesimo abbraccia fedi e valori a motivo dei quali vennero eletti i figli di Israele, e se è vero che l’ebraismo aspira a che questi siano universalmente riconosciuti e rispettati, allora la loro profanazione, specialmente da parte di chi sostiene di rappresentare tali principi e valori tra le nazioni del mondo, deve preoccupare gli ebrei. Come anche sia degna della nostra attenzione anche la “chilul HaShem”, la profanazione del nome Divino! Perciò, avere un’immagine positiva del cristianesimo, in quanto portatore di tali valori, è molto rilevante per quanto riguarda il nostro sacro dovere di Kissush HaShem, santificazione del nome divino nel mondo! Inoltre, il nostro popolo non solo ha dovuto soffrire a causa di tale tragica profanazione, ma anche l’immagine della nostra testimonianza è stata distorta! Correggendo tale distorsione, ristabilendo e promovendo l’immagine della gloria della nostra Torah attraverso il dialogo e la comune collaborazione, poniamo rimedio alla profanazione del nome di Dio, e, al contrario, lo santifichiamo. Tale santificazione del nome Divino tra le nazioni è una responsabilità religiosa prioritaria, fondamentale per lo scopo, fondamentale per la missione ed il destino d’Israele.
Perciò, lavorando insieme per raggiungere gli scopi che ci prefiggiamo, non solo, con una forza maggiore della somma di ognuno di noi, riusciamo ad anticipare la visione di quando sarà stabilito un mondo che viva secondo le vie morali di Dio, ma siamo anche compagni nel principale dei compiti dati dalla Bibbia, “santificare il nome di Dio” nel mondo.