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Kpakilé Félémou

Comunità di Sant’Egidio, Guinea Conakry
 biografia

Introduzione
« La città, luogo di incontro nell’era della globalizzazione » : sappiamo bene come questo sia uno dei principali temi di attualità.
Nella Bibbia la città, attraverso il mito di Babele (Genesi 11, 1-9), si pone anche  direttamente (con la diversità delle lingue) la grande questione delle condizioni dell’alterità e del convivere. E’ per questo allora che la città si trova davanti la sfida a diventare “crogiuolo di umanità”. Proprio in questo panel mi sembra che la problematica sia: come la città di oggi può evitare di essere una sorta di “Babele” omologata e confusa allo stesso tempo, per rispondere alla sua vocazione originaria di essere crogiuolo di umanità? Cioè essere un luogo per tutti, un luogo di comunicazione, un luogo in cui vivono eguali – nei diritti e nei doveri – persone di lingue, culture e condizioni diverse?
Siamo in un mondo globalizzato (o mondializzato); la globalizzazione è un concetto molto vasto, ma la maggior parte della gente prende in considerazione soprattutto il suo aspetto economico. Oggi noi guardiamo le nostre città attraverso il prisma della globalizzazione, cioè tenendo conto della velocità iper-accelerata delle informazioni e degli scambi di ogni genere, e delle loro conseguenze sul piano umano. La velocità con cui gli avvenimenti si trasmettono da un paese o da un continente all’altro ha superato totalmente tutti i modelli di politica di gestione della città e anche dei paesi. La conoscenza dei diritti civili non è più appannaggio dei soli esperti e dei dirigenti politici. Siamo perfettamente consapevoli che il mondo è diventato un “villaggio planetario” e la maggior parte degli uomini e delle donne vive ormai in ambiente urbano.

Una città ingiusta
Ma questo equivale a dire che la felicità è arrivata per tutti? La giustizia sociale si è realizzata? No. Assistiamo al contrario ad un effetto temibile: un indubbio aumento della violenza del mondo. Non è esagerato dire che nel corso degli anni siamo passati dalla guerra fredda alla violenza diffusa. Dappertutto l’uso della violenza anche estrema è sempre più tollerato. Se i dati sulla povertà parlano di una lieve diminuzione della povertà globale, il fossato dell’ineguaglianza tra ricchi e poveri si è approfondito. Questo si vede particolarmente nella città, che è il punto di arrivo o di passaggio di persone che fuggono dalla campagna o dalle sofferenze. L’ONU dice che ci sono più rifugiati in questo ultimo decennio di quanti non ce ne siano mai stati prima. Infatti, secondo i dati dell’UNHCR, il numero di rifugiati nel mondo è passato da 21.871.000 nel 2000 a 33.924.475 al 31/12/2010. Un aumento del 55,11%. E la maggior parte è in Africa. Constatiamo nelle nostre città un aumento continuo del numero di mendicanti, di senza casa, di vittime dell’alcool e del suicidio. Questi sono i segni di un mondo che certo accumula denaro ma vive male. C’è dunque qualcosa che non funziona.

Le città in Africa
A Sant’Egidio la nostra conoscenza delle situazioni avviene sul campo. In Europa abbiamo assistito nel corso dei due ultimi decenni all’insorgere di nuove forme di povertà, quella degli anziani, degli immigrati, dei senza casa, degli zingari per esempio. Ma il problema si pone ora anche in Africa. La leggendaria solidarietà africana è scomparsa dalle città africane. E’ proprio di questo che vorrei parlarvi. Da più di vent’anni la Comunità di Sant’Egidio si sviluppa sul continente africano; siamo presenti in più di 30 paesi; fortemente radicata in università, scuole tecniche, licei e scuole superiori, questa presenza è molto significativa. Abbiamo constatato che la gioventù africana non è fatta soltanto di persone che vogliono fuggire verso l’Occidente, poiché tutti nostri servizi ai poveri sono portati avanti proprio da membri volontari africani di Sant’Egidio, che hanno trovato in questi servizi un amore per il loro paese e una ragione nobile per restarvi. E poi questa presenza dimostra la volontà di questa gioventù di cambiare il volto delle proprie città e dei propri paesi. Più di 15mila persone, in grande maggioranza giovani, per parlare soltanto di quelli che partecipano giorno dopo giorno alla preghiera e ai convegni in Africa. Al di là di questi membri diretti, c’è un’ampia cerchia di amici sorta dappertutto, in Africa e altrove.
In numerose città africane sovrappopolate da giovani provenienti da zone rurali, suscitiamo il contatto, il dialogo con tutti attraverso l’amicizia ed i numerosi servizi a sostegno delle fasce vulnerabili. Questo lavoro nella città è soprattutto un impegno per la convivenza e contro la violenza diffusa. In Costa d’Avorio, per esempio, durante la crisi, la Comunità di Sant’Egidio è stata chiamata dai giovani del quartiere Koumassi ad Abidjan,
a condurre una trattativa di riconciliazione tra gli abitanti divisi in due gruppi, l’uno a favore del Presidente  Ouattara e l’altro dell’ex Presidente  Gbagbo.  La Comunità è riuscita con il dialogo a trovare una soluzione e a mettere fine alle voci che riferivano che ogni gruppo era armato dal proprio leader per attaccare al momento opportuno. Questo si è dimostrato efficace, perché durante la crisi post-elettorale, Koumassi è stato meno colpito, mentre in passato era stato il quartiere di Abidjan che aveva registrato i primi morti.

Qual è la risposta di Sant’Egidio ?
Sant’Egidio in ciascuna città in cui si trova ha un impegno: non soltanto portare il necessario di cui gli emarginati hanno bisogno, ma organizzare incontri, dibattiti per dare un’anima alla città, per dare una visione su questi problemi, per chiamare più persone e organizzazioni ad impegnarsi per i diritti di queste persone di fronte a chi ha potere decisionale. Il problema della città è anche culturale. Oggi è la mentalità cittadina che deve cambiare, evolvere verso la cultura della gratuità e della convivenza. Se la gratuità muore totalmente, la violenza prenderà il suo posto perché la città non avrà più un’anima. La violenza nelle città è sempre il frutto di lunghe frustrazioni e incomprensioni. La nostra società contemporanea ha la tendenza ad interpretare la questione della violenza soltanto sul piano economico o della sicurezza. La violenza può avere molte motivazioni ma è essenzialmente un problema che tocca la convivenza civile.
Noi crediamo che si debba umanizzare tutta la vita, introdurre la compassione nel giudizio degli uni verso gli altri, il che non vuol dire né debolezza, né indulgenza; bisogna che in ogni ambito la vita umana sia la priorità, prima delle nostre passioni. L’umanizzazione delle nostre città, che siano africane o altrove nel mondo, passa per l’umanizzazione delle persone. Iniziando dagli ultimi. La prigione in Africa per esempio è un luogo che richiede umanizzazione, i luoghi di raccolta degli immigrati in Occidente chiedono di essere umanizzati. Servire i poveri è una scuola di umanizzazione per i poveri e per chi partecipa a questo servizio. Il Vangelo parla nella città e parla alla vita dei giovani e dei meno giovani. Persone che si pongono spesso molte domande ma non trovano nessuno con cui condividerle. La solidarietà che il Vangelo suscita è un ponte che unisce tutti, ricchi, poveri, stranieri, immigrati e autoctoni. Quando un mondo è accelerato come il nostro, quando si ha la sensazione di essere iper-informati come oggi, quando le città sono in preda a grandi violenze come le abbiamo viste ad Abidjan e altrove, la preghiera è un importante orientamento e il Vangelo si differenzia dalle tante voci del mondo.
Conclusione. Notiamo un’accelerazione dei rapporti; il viaggio è diventato un dato importante della nostra epoca; l'immigrazione ha cambiato carattere. La conseguenza immediata è il contatto fisico, il meticciato culturale di ogni città, di ogni popolo o nazione. E’ inutile aspirare oggi ad una purezza etnica o culturale sul proprio territorio nazionale. Le città sono dappertutto un luogo di incontro e di amalgama. Per questo « convivere » è il nostro destino, e può costituire una vera alternativa ad ogni cultura di diffidenza e di contrapposizione sistematica. Per arrivare a questo, essa deve essere promossa attraverso l’educazione dei popoli, mettendo un accento particolare sui più giovani, destinatari di educazione alla convivenza pacifica.