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Ole Christian Maelen Kvarme

Vescovo luterano, Norvegia
 biografia

Nel 1979 Madre Teresa ricevette il Premio Nobel per la Pace nella mia città natale,  Oslo.  Le fu chiesto: "Cosa possiamo fare per promuovere la pace nel mondo?" Lei rispose: "Và a casa e ama la tua famiglia."

In questa conferenza  il nostro compito è quello di condividere esperienze e riflessioni sul tema dell’ "Educazione alla Pace". Mi è stato chiesto di farlo sullo sfondo di ciò che è accaduto in Norvegia il 22 luglio dello scorso anno.

Allora, la nostra società è stata spezzata dal peggiore atto di violenza dopo la seconda guerra mondiale. Un norvegese biondo ha ucciso 77 persone e causato il ferimento di molte altre. Ha fatto  esplodere una bomba nel centro di Oslo, uccidendo 8 persone, e due ore dopo ha compiuto una strage sull'isola di Utøya, uccidendo 69 giovani riuniti per un campo giovani del Partito Laburista.

In quel giorno di un anno fa abbiamo improvvisamente sperimentato le nuove frontiere della pace, che oggi riguardano la maggior parte dei paesi. E' stato un attacco alla convivenza tra persone di diverse culture e religioni. Che cosa abbiamo imparato, e qual è il contributo della fede e della tradizione cristiana ad una nuova educazione alla pace nel nostro paese?

La risposta alla violenza

Nell’incontro di Sant'Egidio dello scorso anno a Monaco ho avuto l'opportunità di condividere con alcuni di voi come la gente nel nostro paese ha risposto agli atti di violenza il 22 luglio. Oggi vorrei sottolineare due questioni relative all’educazione alla pace: la prima è il senso di esprimere solidarietà, di onorare il "vivere insieme".

Durante il nostro lutto c'era un profondo senso di una solidarietà ritrovata. In tutto il paese la gente è scesa in strada con in mano  fiori, accendendo candele nelle piazze e nelle chiese. Erano giovani e anziani, genitori e figli, e leader politici e religiosi camminavano mano nella mano nei nostri centri urbani. E 'stata una dimostrazione di massa che la nostra risposta non deve essere l'odio, ma la carità e la solidarietà. Tutto questo in seguito si è esteso a scuole e asili con programmi educativi, nonché alle chiese e alle moschee, alle sinagoghe e ad altre istituzioni religiose. Sulla scia del 22 luglio sono stati stabiliti gruppi di dialogo con giovani cristiani e musulmani, nonché centri di dialogo e forum.


Ma non posso facilmente passare oltre il dolore e il lutto quando la pace è infranta, e così numerosi sono i morti e i feriti.

Questa è la mia seconda preoccupazione: dove andremo con le nostre ferite e i nostri dolori, il nostro pianto e la nostra rabbia? 
Nel nostro paese credo che siamo rimasti un po’ sorpresi dalle moltitudini che sono venute nelle nostre chiese, ma anche nelle moschee e altri luoghi di Dio. Per andare oltre la rabbia e il dolore, vi è la necessità di una comunità che ascolta e condivide il nostro dolore e lamento. Davanti a Dio e alla sua presenza si può versare dal nostro cuore il dolore che è al di là di ogni nostra comprensione. È lì che può iniziare il processo di guarigione. La condivisione del dolore e la preghiera rivolta a Dio sono state il segno di una nuova solidarietà.

Come cristiano due concetti biblici vengono qui  in mente come ci si concentra sulla formazione alla pace nel nostro paese. Entrambi sono relazionali. Il primo è il ricordo. L'altro è l'immagine sacra dell'uomo.

Il ricordo

La memoria è intrinseca alla nostra visione del futuro e al nostro modo di agire in questo momento. In Norvegia molti dicono:  mai più un 22 luglio! Questa giorno sarà ogni anno un giorno della memoria. Anche la Bibbia incoraggia continuamente noi e il popolo di Dio a ricordare.

Vengono spesso citati i versetti: "  Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto" - un richiamo di Dio che guida il popolo verso la libertà e sostiene per loro la sua visione della loro libertà, ma anche la loro responsabilità per i poveri e gli oppressi (Dt 5, 15). Ma la Bibbia dice anche: " Ricordati di ciò che ti ha fatto Amalek lungo il cammino quando uscivate dall'Egitto:  come ti assalì lungo il cammino e aggredì nella tua carovana tutti i più deboli della retroguardia, mentre tu eri stanco e sfinito, e non ebbe alcun timor di Dio. "(Dt 25,17-18).

Queste due citazioni mostrano il realismo della memoria biblica: non nasconde la presenza del male e di atti malvagi nella nostra vita e in mezzo a noi, ma l'accento è sulla compassione di Dio, sui suoi atti per la nostra libertà e il  rispetto verso di Lui e degli uni verso gli altri. Questo duplice realismo è poi legato alle parole di Gesù nell'Eucaristia: "Fate questo in memoria di me!"

La croce di Gesù Cristo è la compassione e l'amore di Dio, che sopporta tutte le ferite e l’ingiustizia, e la sua risurrezione è l'inizio di un nuovo futuro per tutti,  per le vittime, i colpevoli e le comunità. È a questo livello più profondo di ricordo che noi, come Chiesa, abbiamo invitato il nostro popolo. Ma questo ricordo ha anche ulteriori implicazioni.

L’immagine sacra dell’uomo e dell’umanità

Ricordare le vittime e assistere i feriti è avere cura dell'immagine sacra dell'uomo – di ogni persona creata a immagine di Dio.  Sia la tradizione ebraica, che cristiana e musulmana insegnano che distruggere un uomo è distruggere un mondo intero, e che salvare un uomo è come salvare tutti gli uomini.

Nella nostra società norvegese, composta recentemente da una pluralità di gruppi etnici, culturali e religiosi, ci siamo ritrovati in qualche modo confusi. Siamo noi adulti che abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi l'uguaglianza di tutti gli uomini e che ognuno è ad immagine di Dio. Nei nostri asili ci si relaziona come si è - semplicemente bambini,  insieme. È solo quando si cresce, si frequenta la scuola e s’impara dai genitori e dagli insegnanti che si presentano i problemi. Oggi questo pone una grande responsabilità ai nostri genitori e insegnanti, e sono tentato di dire: imparare dai bambini piccoli. Per me questo dà una nuova dimensione alle parole di Gesù: ". Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18,3)

In tempi di crisi la dignità dell'uomo è in gioco a più livelli. Anche nei confronti dei colpevoli e di coloro che condividono le loro opinioni e l’odio, anche se non sempre i loro atti. In Norvegia l'autore della strage ha ricevuto il massimo della pena carceraria che abbiamo. Essere responsabile delle proprie azioni è un elemento importante della dignità umana. Questo implica anche che nello scontare la sua pena detentiva, il colpevole debba essere trattato con umanità. Ma prima, durante e dopo il processo, abbiamo discusso sul male e su come trattare i terroristi e coloro che condividono le loro idee, e il dibattito è ancora in corso.
 
Il contributo particolare dei cristiani a questa discussione non è stato solo sottolineare la dignità di ogni essere umano, ma anche le parole di Gesù che ci chiama ad amare anche i nostri nemici. Per costruire una società pacifica ed educare i bambini e gli adulti alla pace, abbiamo bisogno di un sistema giudiziario equo e umano e abbiamo bisogno di comunità limpide, con un dibattito aperto. Ma il dibattito aperto non è sufficiente. L’argomentazione razionale solo raramente supera l'odio, ma l'amore praticato può farlo.

Da dove dobbiamo iniziare, allora? Nella Bibbia la prima espressione di odio e il primo atto di violenza è Caino che uccide suo fratello Abele. L'inimicizia e il rifiuto sono spesso sperimentate prima in famiglia. Più e più volte ci rendiamo conto che l’educazione di base alla pace comincia nelle nostre case e nelle nostre famiglie, per questo ho citato Madre Teresa: "Va’ a casa e ama la tua famiglia". C'è il terreno di base per imparare cosa significhi essere amati e amare gli altri, persino i tuoi nemici.
Nel suo discorso per il conferimento del Nobel, nel 1979, Madre Teresa ha aggiunto: "... Ma una persona che è zittita, che si sente indesiderata, non amata, spaventata, la persona che è stata gettata fuori dalla società – quella povertà è così dolorosa e diffusa, e la trovo molto difficile”.

In una certa misura questa è stata anche la risposta evangelica, quando la gente è scesa nelle nostre strade e i giovani hanno detto: non odio, ma amore, non inimicizia, ma vivere insieme!

Oggi, un anno dopo, quando ci troviamo di fronte al difficile compito di attuare tutto questo nella nostra vita comunitaria, dobbiamo ricordarci l'un l'altro:
 - Ricorda l'orrore e le vittime, ma anche quello che ci siamo detti l'un l'altro un anno fa!
-Ricorda le mani tese e la nostra esperienza di unità.

E noi come cristiani diciamo:
- Ricordati di Cristo, della la sua croce e risurrezione per il bene della nostra guarigione, della nostra salvezza e per un futuro diverso!
- Ricordate e iniziate a celebrare la visione di Gesù e della Bibbia per il nostro vivere insieme in futuro: la visione della nuova Gerusalemme con una grande folla che nessuno può contare, di ogni nazione, popolo, tribù e lingua.