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Françoise Rivière

Director General adjunto de la UNESCO, Francia
 biografía

Eccellenze, Signori e Signore,

« Et pax in terris hominibus bonae voluntatis », dice un passo del Vangelo che figurò a lungo nella liturgia cattolica. La traduzione corrente era « E pace in terra agli uomini di buona volontà ». E’ una traduzione possibile, ma poco plausibile. Poiché la pace non è la ricompensa per chi si è comportato bene, ma l’opera di chi ha saputo volerla. Una traduzione alternativa potrebbe essere « pace in terra grazie agli uomini di buona volontà », che mi sembrerebbe più esatta.

In ogni caso il nostro incontro si collega a questa lezione. Posto sotto gli auspici della Comunità di Sant’Egidio, non è forse esemplare di quanto possono fare uomini di buona volontà alla ricerca della buona volontà di altri uomini? E’ noto il grande contributo che lo spirito di Sant’Egidio ha dato alla riconciliazione tra acerrimi avversari, e in più di un caso anche alla pace. Oggi ci è data l’occasione per rendere omaggio all’ispirazione e all’azione di questa comunità, forte del suo entusiasmo, della sua abilità, della sua discrezione, che hanno costruito, sulla pratica del rispetto come principio d’azione, il rispetto unanime di cui è circondata.
E a questo punto naturalmente vorrei ringraziare questa terra e la sua gente, la Chiesa di Cipro, Sua Beatitudine l’Arcivescovo Crisostomos, i responsabili governativi, per la calda accoglienza che ci hanno riservato a noi tutti. E’ per il privilegio di essere vostri ospiti che oggi ci troviamo in un significativo crocevia della famiglia umana.

Bisogna per questo arrivare a parlare di “civiltà della pace” e porre questo concetto in continuità con l’idea di “religioni e culture in dialogo”? E’ quanto abbiamo il compito di discutere nel corso di queste giornate.
“Civiltà della Pace” può essere inteso in due modi:
Il primo, restrittivo, in contrasto con il bellicismo: tutti conoscono il proverbio latino “si vis pacem, para bellum”. Il secondo, estensivo, sembra annunciare un’era nuova, una civiltà di pace, - ciò che l’UNESCO, in altri tempi, ha chiamato una “Cultura della pace”.

E’ esattamente la definizione che ne dà l’Atto costitutivo dell’UNESCO. Proclamato all’indomani della Seconda Guerra mondiale, l’Atto costitutivo dell’UNESCO parte da una constatazione: quella della fragilità “di una pace risultante soltanto da accordi politici ed economici dei governi”.
“Le guerre nascono nell'animo degli uomini ed è l'animo degli uomini che deve essere educato alla difesa della pace”: questa famosa frase presuppone che la difesa della pace sia già seminata nell‘animo umano, che basti farvela crescere, come si fa “lievitare il pane”, e che l’incontro tra gli uomini, preparato in questo modo, possa diventare pacifico. Non si parla qui di una civiltà, né come processo né come quadro, ma della libertà sovrana di ciascun individuo, ritenuto corresponsabile del destino del mondo. La speranza di pace si inscrive in una convinzione umanista.
Il dialogo è sempre interpersonale; può aver luogo soltanto tra l’uno e l’altro, e mai tra insiemi informi o dai contorni fluidi. Questo complica un po’ le cose, perché è più facile organizzare incontri tra istanze collettive che nutrire e facilitare il dibattito tra i circa sette miliardi di esseri umani che sono oggi solidalmente responsabili del futuro del pianeta e depositari della dignità umana.
Allora forse, e gradualmente, si delineerà quanto il titolo del nostro incontro evoca con i suoi auspici: vedremo forse in atto un processo di civiltà.

Non esistono sulla terra né civiltà distinte, che sarebbero reciprocamente impermeabili, né una mancanza di civiltà che richiami l’instaurazione futura di una “civiltà di pace” con tutti i crismi. C’è soltanto una civiltà umana, che è un processo che prosegue senza interruzioni. Resta da precisare cosa, nello stato attuale del mondo, favorisce o al contrario ostacola questo processo continuo.
A noi spetta assecondarlo comprendendo il suo genio, che è stato da milioni di anni quello di trarre profitto dalla concordia tra gli uomini, dalla loro buona intelligenza, dalla loro attitudine progressivamente accresciuta a cambiare e creare significato. Le culture, le religioni sono frutti pregevoli di questo. Anche la scienza, le arti, le lingue, i generi di vita, allo stesso modo.
Nutrendo l’ambizione di farvi servire utilmente il potenziale di intelligenza e di influenza di cui dispongono istanze religiose, culturali, istituzionali, sociali e anche personali insigni, il nostro incontro potrà soltanto essere fecondo, e saluto con ammirazione quanti, nel corso degli anni, hanno saputo dare piena incisività al potenziale benefico di queste forme superiori della civiltà umana.
Grazie.