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Vladimir Gaudrat

Abate di Lérins, Francia
 biografia

Anche se alcuni come per esempio Raimon PANIKAR, hanno cercato di definire in maniera generale un archetipo monastico che corrisponda a una dimensione costitutiva della vita umana , vorrei fare il cammino inverso che parte dal carattere plurale della vita monastica. Visto che non mi sento né competente, né investito per parlare in generale, partirei da una realtà concreta in un luogo ben definito, cioè l’Abbazia di Lerins alla quale appartengo da più di 25 anni e della quale sono l’abate da 10 anni.

Questo monastero si trova nel sud della Francia su una piccolissima isola nel Mediterraneo ed è stato fondato all'inizio del quinto secolo da Sant'Onorato un giovane patrizio Gallo-Romano. Nonostante due interruzioni relativamente brevi, sono 16 secoli che c'è una comunità monastica su quest'isola. Se si studia un po' questa storia, si è colpiti da una parte dal sentimento di continuità nel tempo e dall'altra parte dalla successione di modi molto diversificati di vivere la vita monastica. I monaci che hanno vissuto su quest'isola si sono sempre fortemente sentiti eredi della stessa tradizione anche se avevano delle prassi molto differenti. E' il vero senso della tradizione che implica fedeltà e distacco. Secondo una frase evangelica , la vita monastica oggi deve tirar fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche con uno sguardo duplice. Con l'occhio dell'intelligenza, cerca di comprendere la lunga storia del monachesimo a partire dalle sue origini, lo interpreta per scoprirvi ciò che è fondamentale. Con l'occhio del cuore fissa le realtà del futuro, dove Dio sarà tutto in tutti, per combattere la tentazione di assolutizzare ciò che passa. E' questo doppio sguardo di accoglienza e di distacco, oggi allargato alle dimensioni del mondo, che i monaci devono sforzarsi di conservare per imparare a rispettare tutti gli uomini  e vedere come la tradizione monastica trova il suo posto in un mondo segnato dagli scambi interculturali.

Vorrei ora parlare semplicemente di due aspetti fondamentali della mia tradizione monastica, quello del monachesimo latino, segnato da un riferimento plurisecolare alla Regola di San Benedetto, composta alla fine del VI secolo per imparare a camminare sotto la guida del Vangelo . Questa riflessione si ispira ad un lavoro fatto in comune dagli abati benedettini e cistercensi della Francia. Si connette in parte al discorso che Papa Benedetto XVI ha fatto recentemente al Collegio dei Bernardini a Parigi. Affronterei questi due aspetti partendo dalla mia situazione concreta, cioè di un monaco cistercense, erede di una tradizione interpretativa della Regola di San Benedetto la cui origine risale alla fondazione del monastero di Citeaux nel 1098.

In primo luogo c'è anzitutto la ricerca di Dio. E' il primo criterio di discernimento offerto da San Benedetto . Intorno a questa ricerca eminentemente personale si organizza tutta la vita monastica. Per riprendere le parole che Benedetto XVI applica ad un'altra epoca, questa ricerca implica in mezzo alla confusione dei tempi, di impegnarsi per trovare ciò che ha valore e rimane per sempre, di trovare la vita stessa. Questa ricerca si basa sulla Parola di Dio ascoltata, cantata, meditata che suscita e interroga un’esperienza interiore. Già San Bernardo e i Cistercensi del XII secolo parlano del libro dell'esperienza che rimanda al libro delle Scritture . In un mondo dove il risentimento e il soggettivo sono valori centrali, il monaco deve imparare ad articolare l'oggettività dell'ascolto e del confronto con una Parola che ci trascende perché viene da Dio, con la soggettività dell'esperienza interiore. Tutta la vita nel seno del monastero, attraverso le sue prescrizioni molto concrete, attraverso l'importanza della liturgia con la sua ritualità, attraverso il lavoro dell'intelligenza per meglio comprendere le Scritture, offre con l'impegno che implica, un quadro liberatorio per l'avventura spirtuale. Il monaco deve urgentemente poter testimoniare il carattere assoluto e attrattivo della ricerca di Dio. Deve manifestare altrettanto la vera libertà che una Regola offre. Ma questa Parola che viene a toccare ogni persona in particolare, nel più profondo del suo cuore e che viene ad interrogare anche la sua intelligenza, dà allo stesso tempo origine ad una comunità

Da lì deriva il secondo aspetto fondamentale della vita monastica che consiste nella fraternità. Anche se la vocazione alla vita solitaria conserva tutto il suo valore, il monachesimo del XXI secolo deve sviluppare un'arte della fraternità. Quest'arte è prima di tutto la testimonianza della possibilità di vivere una vita di comunione, nonostante tutte le povertà e tutte le differenze.  Questa non proviene in primo luogo dallo sforzo dell'uomo, ma deriva dalla comunione delle Persone Trinitarie tra di loro. Cerca completamente di essere condotto dall'amore divino che è dono perfetto. Quest'amore è ciò che lega profondamente ricerca di Dio e vita comune, perché l'amore stesso è conoscenza, secondo un adagio volgarizzato da San Bernardo e i cistercensi del XII secolo. Conduce attraverso « l'estasi della carità » ad una conoscenza reale di Dio. Quest'arte della fraternità si incarna nel quotidiano di una vita comune e del servizio, nella condivisione del lavoro. Visto che è continuamente minacciato, non può realizzarsi che attraverso il perdono reciproco che è la prima manifestazione della presenza dell'amore di Dio tra gli uomini. La paternità spirituale, tanto importante per il monachesimo, non si può capire senza il legame con la fraternità. E' una paternità che rinvia al Cristo  e il suo scopo è di formare dei fratelli. In un epoca in cui, nonostante le apparenze, c'è un gran bisogno di maestri e di padri, una tale definizione mi sembra la più adatta per evitare falsi maestri. Questa fraternità deve essere percepibile e deve estendersi molto largamente al di fuori delle comunità monastiche attraverso la preghiera e l'accoglienza. Deve estendersi a tutti gli uomini e aprirsi ad un dialogo per la pace. I monasteri devono tendere a diventare luoghi santi secondo la bella definizione che troviamo nelle costituzioni dei cistercensi della stretta osservanza e che viene da Padre Christian de Chergé che ha voluto fare del monastero di Tibhirine un luogo di dialogo e di pace: « Secondo il disegno di Dio, i monasteri sono istituiti come luoghi santi, e lo sono non solo per coloro che sono vicini nella fede, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà   »