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Nedim Gürsel

Writer, Turkey
 biography

LETTERA A UN FIGLIO DI IMMIGRATI

 
Per dire qualche parola sull’immigrazione e sul suo alter ego l’integrazione, tema così attuale nel nostro mondo globalizzato, considerato il dramma dei rifugiati, specialmente siriani, ma non solo, ho pensato di scrivere un lettera a un figlio di immigrati. Qui ad Assisi non siamo lontani dalle rive del mar Mediterraneo, divenuto purtroppo un cimitero di bambini annegati mentre chiedevano una sola cosa: vivere. Condividere la stessa vita e i nostri stessi valori in uno dei nostri paesi.
 
«Vivere come un albero in solitudine e libero, 
E come una foresta in fratellanza, 
Questo è il nostro desiderio»
 
Caro figlio mio,
Questi versi di Nâzim Hikmet, il grande poeta morto in esilio dopo aver passato i migliori anni della sua vita nelle prigioni dell’Anatolia mi hanno spesso accompagnato lungo i miei viaggi in tutto il mondo.
Non ho mai corso il rischio, come te, di attraversare il Mediterraneo su un’imbarcazione di fortuna e di affrontare la morte. I miei viaggi erano piuttosto un modo di vivere, un modo di essere nel mondo per scrivere. Per scoprire e condividere con gli altri la mia esperienza di scrittore in esilio. Ma nel mio caso come nel tuo converrebbe parlare di sradicamento. E come parlare di sradicamento, della ricerca di una nuova identità, senza evocare la metafora divenuta ai nostri giorni un luogo comune: l’albero e le sue radici. Ma l’uomo non è un albero. Se ha delle radici ha anche dei piedi. Può andare dove vuole. Voglio dire che l'esilio che è uno sradicamento può essere vissuto come un'esperienza arricchente, anche come una fioritura. È su questo aspetto che occorre spostare l'attenzione per te che vivi in Europa una lacerazione dovuta all'esilio dei tuoi genitori. E la tua ricerca di una identità non deve affatto rassomigliare alla discesa agli inferi di Orfeo per cercare Euridice.
Quando le ideologie collassano con grande rumore, lasciando all'orizzonte radicalismo, fanatismo, nazionalismo e razzismo, ma anche la reazione identitaria solo per i beni di rifugio, è il momento di realizzare il sogno del poeta, questa "presenza comune", di cui ha parlato anche René Char in piena occupazione del suo paese da parte dei nazisti.
Il mosaico dei paesi che oggi fanno parte di quello che potremmo chiamare "spazio comune europeo" ha preso forma nel corso dei secoli dallo scontro fecondo di influenze opposte. «Una cultura sarà tanto più viva quanto più la sua apertura verso le altre culture sarà grande», come dice lo scrittore spagnolo Juan Goytisolo. Vorrei anche dire che la cultura, qualunque essa sia, altro non è che l'aggregato degli incroci e delle influenze che ha subito. L'esperienza del mio paese, la Turchia, erede di un impero multi-etnico, multinazionale e quella di altri paesi vicini nati dal disfacimento di questo impero mostrano chiaramente che i periodi di buona salute e di espansione coincidono con la proliferazione di aperture e contatti con l'esterno. Purtroppo stiamo assistendo al ritorno del fanatismo e del nazionalismo esacerbato che impediscono il dialogo interculturale e rimettono in discussione il loro proprio amalgama, necessario tuttavia alla loro propria evoluzione. L'affermazione aggressiva di identità culturali o di religione potrebbe essere "assassina" per riprendere il titolo di un libro di Amin Maalouf: «Poiché le identità possono sempre meno irrigidirsi come sistemi che si escludono a vicenda non sono mai date una volta per tutte. Si costruiscono e si trasformano nel corso della storia »
Se ti parlo di tutto questo è per dirti che la tua situazione di figlio di immigrati potrebbe legittimare una ricerca di identità, ma non deve in alcun modo essere pretesto di un ripiegamento su questa identità.
 
Vorrei infine concludere questa lettera citando un altro poeta turco, mistico questa volta, la cui voce singolare ci giunge dal lontano passato. Puoi ripeterla ai tuoi simili:
«Per te stesso ciò che pensi
Ti è necessario per credere ad altri
Questo è il significato dei quattro libri
Se vi è un senso che possa valere»
Buon per te, il futuro ti appartiene.