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David Rosen

Rabino, Director de la Junta del KAICIID, Israel
 biografía

Non vi è nulla che possa essere paragonato al cambiamento avvenuto nelle relazioni ebraico-cristiane “nel nostro tempo”. Un popolo che la Chiesa nel passato descriveva come condannato, rigettato da Dio, in combutta con il diavolo, oggi, con le parole di San Giovanni Paolo II viene chiamato “fratello maggiore prediletto della Chiesa dell’alleanza eterna”, con il quale la Chiesa ha un rapporto “intrinseco” particolare.

 
Naturalmente questa rivoluzione è stata suscitata dalla Shoah, l’Olocausto.
E’ ovvio che la Shoah è stata un impresa pagana, come la ha descritta il Papa Emerito Benedetto XVI. Tuttavia, non avrebbe potuto avere il successo che ha avuto, con lo sterminio di sei milioni di ebrei, se, lungo i secoli, non fosse stato preparato il terreno con ciò che è stato chiamato “l’insegnamento del disprezzo” verso gli ebrei. Ciò è stato l’atteggiamento predominante all’interno del mondo cristiano, che ha considerato gli ebrei come rigettati e maledetti da Dio e condannati ad errare fino “alla fine dei tempi”. Come il documento vaticano del 1998 dal titolo “Noi Ricordiamo” ha riconosciuto, questo approccio ha contribuito significativamente alla disumanizzazione degli ebrei, cosa che ha reso più facile che la tragedia della Shoah assumesse dimensioni così enormi.
 
Tuttavia, nel contesto di tale tragedia alcuni individui straordinari sono emersi come fari di luce. Angelo Roncalli fu uno di queste persone eccezionali e sante che, quando era Legato Pontificio in Turchia, non solo era uno dei primi estranei ad essere a conoscenza della macchina dello sterminio nazista, ma salvò anche migliaia di ebrei dagli artigli della morte. Quando divenne Papa Giovanni XXIII e convocò il Concilio Vaticano II, desiderò rettificare queste distorsioni terribili del modo in cui il Popolo Ebraico era percepito da parte del mondo cristiano. Il famoso incontro con il grande storico francese Jules Isaac confermò tale determinazione. Affidò il compito al Cardinal Augustin Bea; dovette affrontare l’opposizione non solo dei vescovi arci-conservatori, convinti che gli ebrei erano già dannati, e non bisognasse dare l’impressione di assolverli, ma anche dai vescovi all’interno del mondo arabo, timorosi che una pronuncia in senso positivo riguardo al popolo ebraico potesse essere scambiata per una presa di posizione politica sulla situazione nel Medio Oriente.
Era anche avversata da molti che provenivano dalle terre dell’Estremo Oriente, dove di ebrei non se ne vedevano neanche da lontano: molti di loro non capivano perché la Chiesa dovesse essere tanto preoccupata degli ebrei, considerando molto più importante il rapporto con l’induismo ed il buddhismo.
 
In modo affascinante ed ironico, Nostra Aetate emerge a partire dal desiderio di alcuni elementi all’interno della Chiesa, soprattutto Giovanni XXIII ed il Cardinal Bea, di esplicitare il rapporto con il Popolo Ebraico, ma riuscirono a farlo soltanto a patto di parlare anche del rapporto della Chiesa con l’Islam e con le religioni orientali – con le religioni mondiali.
Pertanto il rapporto della Chiesa con l’Ebraismo poteva essere riabilitato soltanto a patto di considerare il proprio rapporto con il resto del mondo, e l’estrema necessità della Chiesa di aggiustare il proprio rapporto con Israele, con il Popolo Ebraico, la condusse a riconsiderare il proprio rapporto con le fedi del mondo.
Quasi senza averne l’intenzione, il rapporto bilaterale Ebraico-Cristiano venne posto in un contesto (un ambito?) universale, ed allo stesso tempo rese effettivamente più facile l’intesa della Chiesa con le religioni del mondo.
 
Come è stato messo in evidenza da più parti, il grande cambiamento, incorporato nella sezione 4 della Nostra Aetate, è precisamente l’approccio complessivamente positivo verso gli ebrei. Evidenziando il fatto che sia sbagliato vedere gli ebrei come condannati e rigettati, e che il rapporto di alleanza tra Dio ed il Popolo Ebraico debba essere visto in modo positivo, tutte le altre affermazioni devono essere interpretate in questa luce. Significava vedere gli ebrei non soltanto come precursori del cristianesimo, ma anche considerare che hanno un ruolo costruttivo e significativo nel piano di Dio per l’umanità. Non era una semplice rivoluzione, era una rivoluzione copernicana. Significava che la Chiesa stava rivoluzionando l’intero suo approccio verso il Popolo Ebraico.
 
Il Papa Giovanni Paolo II portò questa rivoluzione ad un nuovo apice, sia designando l’antisemitismo un “peccato verso Dio e verso l’uomo”, e la “liturgia penitenziale”, che includeva la preghiera per la ricerca di perdono per i peccati commessi verso gli Ebrei nel corso dei secoli – un testo che egli inserì nel Muro del Pianto durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa nel 2000. L’affermazione del 1986 nella Sinagoga di Roma, sopra ricordata, secondo cui gli Ebrei sono i “fratelli maggiori prediletti” della Chiesa, venne seguita da quella di Papa Benedetto XVI, che chiamò il Popolo Ebraico “padre nella fede”, che, come scrisse al Rabbino Capo Di Segni, godono di una predilezione speciale da parte della Chiesa. Sia lui che, in seguito, Papa Francesco, hanno sottolineato ripetutamente l’incompatibilità tra l’autentica fede cristiana con l’antisemitismo, ed ambedue hanno seguito le orme del loro predecessore nel visitare la Sinagoga Maggiore a Roma e recandosi in pellegrinaggio in Israele, la Terra Santa.
 
Papa Francesco è conosciuto in tutto il mondo come un autentico amico del Popolo Ebraico. Nella sua prima Esortazione Apostolica, la Evangelii Gaudium, ha riaffermato questi insegnamenti riguardo al Popolo Ebraico affermando che “L’affetto che si è sviluppato ci porta sinceramene ed amaramente a dispiacerci per le terribili persecuzioni di cui furono e sono oggetto, particolarmente per quelle che coinvolgono o hanno coinvolto cristiani”.
Inoltre, Evangelii Gaudium dichiara che “Dio continua ad operare nel popolo dell’Antica Alleanza e fa nascere tesori di saggezza che scaturiscono dal suo incontro con la Parola divina. Per questo anche la Chiesa si arricchisce quando raccoglie i valori dell’Ebraismo”.
 
Come indicato, questa trasformazione è stata facilitata da un contesto più universale, e rese possibile una visione più universale. Indubbiamente, vi è un messaggio universale nella trasformazione in sé. Se, infatti, un rapporto così fossilizzato, così avvelenato, così negativo può essere trasformato in uno oggi così positivo e costruttivo, allora non vi è nessun rapporto che non possa essere oggetto di trasformazione, per quanto possa essere avvelenato, problematico, viziato dalla politica. Veramente tutto è possibile. Possiamo trasformare tutto e possiamo trasformare il nostro mondo in ciò che le nostre religioni insegnano che dovrebbe essere.