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Jean-Dominique Durand

Presidente de la Amistad Judeo-Cristiana, Francia
 biografía

Papa Francesco, per un’Europa più umana

 
Il 6 maggio scorso, papa Francesco pronunciò in Vaticano un importante discorso dedicato all’Europa, quando ha ricevuto il prestigioso Premio Charlemagne che riconosce l’azione di una personalità a favore dell’Unità europea. Si trattava per il Santo Padre di chiamare l’Europa a un sussulto, perché la vede in declino, stanca, ripiegata su se stessa. Nel suo precedente ampio intervento sulla questione europeistica al Parlamento europeo, il 25 novembre 2014, aveva parlato in un modo provocatorio, dell’Europa come di una nonna, stanca, anziana, senza più vitalità, sterile, quindi un’Europa in declino, senza creatività, « che si va, dice, trincerando ». Vorrebbe che questa Europa torni una madre giovane, piena di energia, capace di accompagnare « nuovi dinamismi nella società ». 
L’apostrofa per spronarla : 
« Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà ? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati ? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli ? »
Mostra il fossato che si é scavato tra le intuizioni dei Padri dell’Europa, in particolare Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi. Cita a lungo la famosa Dichiarazione del 9 maggio 1950, che lanciò il processo di costruzione di una vera comunità europea, sulla doppia base della solidarietà e della generosità concreta. Il papa chiama i cosiddetti Padri fondatori dell’Europa « araldi della pace e profeti dell’avvenire », ma oppone le loro intuizioni alle realtà di oggi : « Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti ». Eppure il loro messaggio e le loro realizzazioni concrete sono per il papa più che mai di attualità, e permettono di « aggiornare l’idea di Europa », cioè
« Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità : la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare. »
Al contrario, fa una critica severissima della politica attuale che si accontenta « di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato » invece di « porre coraggiosamente basi nuove, fortemente radicate ». Dopo Robert Schuman, evoca Alcide De Gasperi e il suo concetto di « Patria Europa » e Konrad Adenauer sulla responsabilità politica comune.
Si tratta di rispondere alla sfida di rinnovare le tradizioni umanistiche dell’Europa. Allora il papa invita dapprima a riflettere sulle radici dell’Europa che definisce come « una famiglia di popoli » come disse già al Parlamento europeo a Strasburgo nel 2014. Non entra nel dibattito sulle « radici cristiane » che fu un tema importante per Giovanni Paolo II. Non utilizza l’espressione proprio per andare al di là, per insistere al contrario sulla diversità culturale dell’Europa, da sempre: 
« le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e apparentemente senza legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale. » 
Al posto delle radici cristiane, insiste sull’ « ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli », e capace di costruire dei ponti tra le culture e abbattere i muri che separano. 
Ma la Chiesa ha una missione, quella di contribuire « alla rinascita di un’Europa affaticata », quella di « ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa ». 
L’avvenire dell’Europa si colloca quindi nel dialogo, nella capacità a « diventare modello di nuove sintesi e di dialogo », nell’apertura, nell’incontro delle civiltà e dei popoli. 
 
Tale prospettiva non può costruirsi senza il contributo e la mobilitazione dei giovani che sono nel momento attuale segnati dalla disoccupazione, la precarietà, la sottoccupazione. Il papa torna di nuovo sulla sua dura critica del liberalismo e della finanza internazionale già espressa nell’ enciclica Laudato Sí e nel suo discorso ai Movimenti popolari a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, il 9 luglio 2015. Richiede l’attuazione di un sistema economico equilibrato, del tipo dell’ « economia sociale di mercato », che fu realizzata negli anni 1950 sotto l’impulso dei democratici cristiani tedeschi, in particolare di Ludwig Erhard. Invita, fedele difatti alla Dottrina sociale della Chiesa, a 
« passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione. »
Solidarietà, generosità, dialogo tra le culture, sono le parole chiavi per rilanciare l’Europa : « Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa : dialogo ». La preoccupazione del papa è di costruire « una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione ». Pensa evidentemente alla questione migratoria.
 
Francesco conclude il suo discorso con l’espressione, sul modello di Martin Luther King ma che non è citato, di un sogno : « sogno un nuovo umanesimo europeo », il sogno di un’Europa che rispetta la vita, soccorre il povero, accoglie chi « non ha più niente e chiede riparo », che valorizza gli anziani, dove i giovani e le famiglie hanno il loro posto, « che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. » 
Con questo discorso, papa Francesco si colloca nella continuità dei suoi predecessori. Tutti da Pio XII, hanno espresso il loro sostegno alla costruzione di un’Europa unita. Nel contesto del dopoguerra e della guerra fredda l’unità era vista come una necessità per impedire nuove avventure belliciste e totalitarie, come una condizione per costruire la democrazia e la pace. Pace e solidarietà erano gli obbiettivi maggiori dell’Unione. Lo sono sempre oggi. E’ interessante notare che si colloca anche nella memoria democratica cristiana della costruzione europea. I suoi riferimenti agli uomini di Stato De Gasperi, Schuman, Adenauer, all’economia sociale di mercato permettono al papa di insistere su la necessaria memoria per ritrovare le intuizioni giuste e forti dei fondatori, e liberarsi « da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati ».
Francesco riprende tutta questa eredità. Però attraverso la sua definizione dell’identità dell’Europa fondata sulle sue culture diverse, ma dove la Chiesa deve giocare pienamente il suo ruolo di evangelizzatrice in uno spirito di servizio, e dell’Europa come famiglia di popoli senza utilizzare la parola Stato, il pontefice apre delle vie nuove per affrontare un tempo di tempeste. Resta da comprendere ciò che i suoi uditori, cioè i più alti responsabili politici europei, faranno proprio nell’esercizio delle loro responsabilità concrete.