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Ambrogio Spreafico

Vescovo cattolico, Italia
 biografia

A volte le religioni hanno elaborato una visione frammentata del mondo. Spesso al centro della riflessione filosofico- teologica è stato posto l’essere umano, come se bastasse centrare l’attenzione su di lui per interessarlo in qualche modo al mondo che lo circondava. E’ quello che papa Francesco definisce nella Laudato si’ “eccesso antropocentrico” (116). In verità questa centralità dell’uomo non ha sempre maturato un senso di responsabilità nei confronti del creato, anzi ha prodotto una convinzione di onnipotenza, come se il resto degli esseri viventi animati e inanimati fossero alle sue dipendenze, intendo della sua volontà di bene oppure dei suoi capricci e del suo senso di dominio. Basta vedere lo scempio della creazione operato dal continuo sfruttamento delle risorse, che non si ferma neppure davanti alle evidenti conseguenze disastrose che sta provocando. 

Vengo da una città, Frosinone, che risulta da diverso tempo al top in Italia per lo sforamento del livello massimo di polveri sottili per numero di giorni in un anno. Un bel record! Ma questo, ovviamente conseguenza di numerosi fattori non solo attribuibili alla volontà umana, riproduce molto bene uno sviluppo economico inadeguato per un territorio così ristretto, segnato dall’abbandono dell’agricoltura, da un’industrializzazione selvaggia, che ha prodotto un benessere oggi non più possibile per le conseguenze di questo passato. A questo si aggiunge la mancanza di un serio impegno per sviluppare sinergie tra le diverse componenti della società civile onde creare delle alternative che rispondano alla crescente disoccupazione e offrano possibilità di sviluppo nella giusta direzione.

Si tratta perciò di maturare innanzitutto una nuova consapevolezza della gravità della situazione in cui noi ci troviamo. Il tempo degli allarmismi è terminato! E anche quello delle chiacchiere! La situazione drammatica del pianeta terra è sotto gli occhi di tutti, dall’innalzamento delle temperature a quello dei mari con la possibile erosione di spiagge e sparizione di intere città sommerse da mari e oceani, dallo scioglimento dei ghiacciai (…) alla desertificazione di intere aree di Africa e Asia,  dall’inquinamento da polveri sottili e …. al buco dell’ozono. Insomma, non c’è per niente da stare allegri! Mi chiedo fino a che punto è diffusa la coscienza di questa situazione e fino a che punto questa coscienza riesce ad imporsi e ad impedire che continui la distruzione della foresta amazzonica piuttosto che lo sfruttamento delle risorse dei mari e della terra senza calcolarne le conseguenze. Chi si impegna per la salvaguardia dell’ambiente in alcune parti del mondo rischia molto. Sono state uccise ogni anno dal 2002 al 2014 circa 100 persone che lottavano per la difesa dell’ambiente. Le cose non sono migliorate negli ultimi due anni. Basta ricordare l’uccisione nel marzo di quest’anno di Berta Caceres in Honduras. Lottava in difesa delle popolazioni indigene perché potessero restare nei loro territori. Giustizia e ambiente sono sempre legati l’uno all’altro, come ben mostra papa Francesco quando parla del grido dei poveri e della nostra madre terra (2 e 49). 

Queste donne e questi uomini non solo erano consapevoli del disastro a cui la prepotenza e la sete di denaro potrebbe condurre la terra, ma ne hanno fatto il motivo della loro lotta e in alcuni casi della loro stessa vita. Avevano capito che il problema ambiente si collegava ad esempio al problema della giustizia sociale o della pace. Mi permetto di dire che sono ancora una minoranza coloro che condividono questa coscienza e che se ne assumono le conseguenze. Mi chiedo anche: e le religioni? Non mi permetto di giudicare gli altri. Tuttavia me lo chiedo seriamente. Per quanto riguarda i cattolici devo riconoscere che ci voleva l’Enciclica di Papa Francesco per risvegliare in noi l’urgenza di porre a tema con maggiore determinazione questo problema. Dico porre a tema, perché finora la nostra riflessione e soprattutto la nostra prassi non sono state così determinate. Ci siamo interessati teologicamente di molte tematiche anche di attualità. A volte abbiamo trattato temi di grande impatto, come tutto quanto ruota attorno ai temi della giustizia sociale e della pace. Ciò nonostante, non abbiamo avuto una coscienza matura di come tanti temi fossero tra loro connessi e soprattutto fossero connessi in un insieme di relazioni, che riguardavano la globalità del creato, del nostro vivere come donne e uomini dentro un ambiente dove con noi vi erano altri esseri, dagli animali alle piante, dai minerali alle acque. Noi non eravamo i padroni assoluti, neppure solo i custodi, ma dovevamo cominciare a capire che il rispetto per gli altri esseri come noi comportava anche il rispetto per il resto degli “abitanti” del pianeta terra.  

Bisognerebbe rileggere il primo racconto della creazione del libro della Genesi (1,1-2,4a), seguendo ad esempio quanto propone Jurgen Moltmann: “Secondo la nuova lettura ecologica della medesima storia della creazione, l’uomo è l’ultima creatura di Dio e quindi l’essere vivente più dipendente. Per la sua vita deve necessariamente ricorrere all’esistenza di tutte le altre creature, alla terra, al cielo e alla luce, e senza le piante e gli animali della terra egli non può assolutamente vivere. L’uomo c’è soltanto perché ci sono tutte le altre creature e la loro comunità terrena… L’uomo quindi è soltanto un membro della comunità delle creature terrene. … Secondo il primo racconto della creazione, la terra non è suddito dell’uomo, ma una grande e unica creatura creativa: produce vita, piante, alberi e animali di ogni specie” (Il Dio vivente e la pienezza della vita, Queriniana, Brescia 2016, p. 85). Liberiamoci dall’idea dell’essere umano come dominatore del creato, secondo una vecchia interpretazione di quel “dominate” di Gn 1,26. Persino il processo scientifico ha dimostrato che il solo dominio porta all’eliminazione indiscriminata e allo sfruttamento ingiusto della terra. Non siamo padroni assoluti di nulla. Qui anche la scienza ha le sue responsabilità, perché anch’essa non può pretendere di porsi come dominatrice assoluta del progresso del mondo. La Bibbia saggiamente pone le scoperte e il progresso nella linea della discendenza di Caino, per mostrarne il valore ma insieme l’ambiguità . 

Dovremmo piuttosto riconsiderare il rapporto tra noi donne e uomini con il mondo che ci circonda, partendo dal presupposto che siamo tutti esseri viventi, e quindi esseri che hanno diritto all’esistenza. Occorre affinare lo sguardo e di conseguenza lo spirito. Certo, se si guardano gli altri, soprattutto alcuni altri, come i profughi o gli zingari, come dei possibili e pericolosi nemici, mi chiedo come si potrà avere un sguardo rispettoso e benevolo verso l’ambiente materiale. Ma senza questo sguardo misericordioso non si arriverà a comprendere che nella concezione biblica non è l’uomo il punto culminante del creato, bensì se mai il sabato, il giorno in cui l’essere umano si mette di fronte al creato e contemplandolo rende lode a Dio, riconoscendo di non esserne il padrone. La lode gratuita e riconoscente è il solo compimento della creazione nel suo insieme. 

Scrive a questo proposito J. A. Heschel: “Il Sabato è il giorno in cui impariamo l’arte di superare la civiltà…. Il settimo giorno è l’armistizio nella lotta crudele che l’uomo conduce per l’esistenza, una tregua in tutti i conflitti individuali e sociali, la pace tra uomo e uomo, tra l’uomo e la natura, la pace all’interno dell’uomo; un giorno in cui è considerato un sacrilegio maneggiare soldi (per noi la domenica invece è diventata il contrario, il giorno della spesa!), in cui l’uomo manifesta la sua indipendenza da quello che il massimo idolo del mondo. Il settimo giorno è l’esodo dalla tensione, la liberazione dell’uomo dal suo stesso fango, l’insediamento dell’uomo quale sovrano del tempo. Nell’oceano tumultuoso del tempo e della fatica vi sono isole di tranquillità dove l’uomo può trovare rifugio e ricuperare la propria dignità. Questa isola è il settimo giorno, il sabato, un giorno di distacco dalle cose, dagli strumenti e dagli affari pratici e di attaccamento allo spirito” (Il sabato, Garzanti, Cernusco s/N, 1999, pp. 37.39)

Papa Francesco parla di un’ecologia integrale e della necessità di acquisire una spiritualità ecologica e quindi di una “conversione ecologica”. Siamo ad Assisi. Qui Francesco come uomo del Vangelo seppe cogliere l’unità del creato. Parlò agli uccelli, al lupo, parlò alle donne e agli uomini, compose il Cantico delle creature. Tutto è connesso, ogni essere vivente è solo un frammento di un insieme. Solo donne e uomini spirituali, animati cioè da uno sguardo profondo che va oltre la centralità di se stessi, sapranno offrire risposte che possono essere visioni di un mondo in cui ognuno deve uscire dall’autoreferenzialità per concepirsi all’interno di un insieme, di cui ognuno è solo una parte minuta. Ma senza le altre una sola parte morirà nella solitudine dell’inconcludenza e della maledizione, per cui tutti gli altri, siano esseri umani o altri esseri viventi, saranno solo degli inutili esseri di cui cibarsi o nemici da eliminare. Conviene oggi cogliere l’urgenza di abbracciare la profezia di Francesco per il bene dell’umanità e dell’universo intero, per evitare che tutto sia sommerso da un processo e uno sviluppo che non siamo più in grado di controllare e di indirizzare verso il bene di tutti.