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Leopoldo Sandona'

Responsabile del Festival Biblico, Italia
 biografia

La terra di nessuno o il dialogo per tutti?
Dialoghi integrali e alleanze per il futuro

 
Premessa
Trattando del contributo delle religioni in tema ecologico, scelgo di approcciare i testi fondamentali del Magistero di papa Francesco non soltanto come apporto di una visione autenticamente cattolica del reale ma anche – e soprattutto in questo caso – perché dischiudono un significato particolare di dialogo. A partire dal testo di Laudato si’ è possibile tornare alle fonti del Magistero, scritto e non scritto, di Francesco, anzitutto a partire da Evangelii gaudium. Il dialogo si manifesta come dialogo politico, non solo a livello intersoggettivo ed interpersonale: se è vero che l’incontro è un altro modo di dire il dialogo, quest’ultimo si apre ad un’inevitabile dimensione di tipo sociale, economica e comunitaria. Ma insieme questo dialogo chiama in causa religioni, popoli, saperi, tutti gli uomini e ciascun uomo. Da un lato ci troviamo di fronte ad un dialogo che non rimane affare personale ed intimistico tra uomo e uomo, dall’altro il dialogo politico e comunitario non dimentica ma porta in sé il dialogo dell’incontro interpersonale, facendone dialogo che riguarda tutti gli uomini e ciascuno. Dentro tale dialogo i testi interrogati aprono in modo imprescindibile la dimensione del futuro . 
Emblematicamente possiamo prendere il caso – evocato dal titolo – che Laudato si’ disegna per gli oceani “terra di nessuno” (LS, 174); le legislazioni correnti non sono in grado di intervenire sull’inquinamento degli oceani ma questi, inquinati, fanno sentire le loro conseguenze sulla vita di tutti. Il dialogo politico che non riesce a diventare operativo si rovescia su tutti, non affrontando le questioni portanti e pagando poi, anche a livello economico, le conseguenze del non intervento. Quante terre di nessuno abbiamo davanti, come gli oceani? Non solo i territori geografici, desertificati dal cambiamento climatico, ma anche i territori umani, le geografie antropologiche gridano dalla terra verso cielo – come il sangue di Abele il giusto – il proprio abbandono. Quanti poveri, esodati, nuove generazioni, anziani, malati terminali, diversamente abili, carcerati, bambini mai nati ci parlano di terre di nessuno che chiamano in causa la responsabilità di tutti? Quanta cultura dello scarto alberga attorno a noi?
Dunque il dialogo sull’ambiente diviene emblematico di una direttrice dialogica in grado di illuminare i luoghi geografici, antropologici abbandonati e non presenti nel dibattito pubblico, ma indica anche alcuni aspetti imprescindibili del dialogo, quasi a testimoniare un banco di prova per il futuro che nella sua prospettiva di integralità apre processi di alleanza verso il futuro. Il dialogo “serve” per risolvere delle urgenze, ma tali urgenze “servono” al dialogo per cogliersi in maniera sempre più raffinata.
 
Il dialogo a partire da Laudato si’ ed Evangelii gaudium
L’Esortazione apostolica che rappresenta l’indicazione fondamentale del Magistero di Francesco, scritto e non, colloca accanto alle famose quattro regole (EG, 222-237) un piccolo trattato sul dialogo (EG, 238-238) che ci riporta al manifesto per eccellenza del dialogo, Ecclesiam Suam di Paolo VI . Il dialogo qui si mostra come cammino, processo non statico (EG, 238), quasi una fonte che irriga le strade della chiesa nel mondo per favorire lo sviluppo integrale e il bene comune, nei confronti degli stati, della società, dei saperi e delle religioni, ma anche assieme agli stati, alla società, ai saperi, alle religioni. Possiamo così leggere i diversi elementi dialogici presenti nei due testi attraverso le famose regole già citate.
Il tempo è superiore a spazio. Indicazioni dialogiche
Se comprendiamo il tempo come apertura alla pienezza, come essere rivolti al futuro che fa iniziare dei processi senza fermarsi alla breve scadenza (EG, 222-223), il tema ambientale ne viene illuminato in maniera significativa. Di fronte alle necessità del momento il dialogo è tanto necessario quanto iniziale, perché si tratta di aprire processi che andranno oltre le attuali generazioni (LS, 165). Ciò implica una comprensione di responsabilità verso il futuro che rende la nostra azione tanto unica quanto umile, perché essa è necessaria ma non sufficiente in se stessa. Agire a breve termine, come fa la politica in voga in nome di una subordinazione all’economia, risulta miope (LS, 178). Il dialogo politico e il dialogo in quanto tale si situano dunque in una posizione di apertura al futuro, di avvio di processi che non devono essere forzatamente chiusi entro un termine predefinito ma che chiamano ad una responsabilità che si fa futuro condiviso . Così la continuità, oltre la visione dell’immediato, diviene dote fondamentale della politica così come di tutte le istituzioni che chiedono solidità e solidarietà oltre la tendenza momentanea (LS, 181). Tale approccio si lega inscindibilmente ad un utilizzo etico del tempo, come monitoraggio rispetto alle progettualità e come capacità di tenere fede agli impegni presi. I processi politici devono rivelarsi trasparenti, ponendo il dialogo oltre la contrattazione senza negare la capacità di mediazione (LS, 183). Se ogni trattativa ha dei limiti temporali oggettivi, questi non devono contenere forzosamente le dinamiche di incontro ma devono porsi esse stesse al servizio di questa dinamica. La domanda etica ed emergenziale non è critica sterile sul passato, ma domanda sul futuro (LS, 185), che invita ad una sobrietà (LS, 193) in grado di ridisegnare la stessa idea di progresso . Siamo su una locomotiva impazzita senza freni e senza guida, come appare essere talora il sistema economico-finanziario internazionale che ha fagocitato la politica, o è possibile un’ascesi del potere in grado di rinunciare all’indefinita crescita di un potere distruttivo?
Dunque il tempo apre processi di dialogo, ma possiamo affermare che lo stesso tempo è convertito dal dialogo e dall’incontro delle persone, che mettono al centro dei processi non loro stesse ma l’oggetto dell’interlocuzione, quasi facendosi da parte.
L’unità è superiore al conflitto. Indicazioni dialogiche.
Sopportare e accettare il conflitto, senza utopie ma trasformandolo dall’interno, offre importanti indicazioni (EG, 227-228). Possiamo in questo senso recuperare un significato profondo del termine solidarietà, da non intendersi semplicemente come aiuto all’altro, ma come «uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono rag¬giungere una pluriforme unità che genera nuo¬va vita» (EG, 228). Nella consapevolezza che tutti siamo compresi in una comunità di destino, la solidarietà che crea unità non è un sentimento irenistico, ma una necessità da cui non si sfugge. 
Così in termini ambientali se l’ingegno tecnologico è riuscito ad alleviare molte necessità dei vari popoli, l’ingegno dialogico manca per rendere i ritrovati tecnologici patrimonio di tutti. In questa direzione non basta un dialogo solo istituzionale, né una comprensione nuova dei propri stili di vita costantemente da rimotivare , ma le scelte dall’alto dei grandi vertici internazionali e delle grandi politiche vanno di pari passo con le iniziative dal basso (LS, 164). Il dialogo dei saperi qui diviene decisivo perché accanto ad un ingegno tecnologico urge il recupero a tutti i livelli di una saggezza pratica non disgiungibile dai processi politici, economici e sociali. Non si deve tanto cercare una nuova sintesi enciclopedica, quanto un cammino dialogico e rinnovato dei saperi oltre la parcellizzazione (EG, 242). Tutta la società può venire arricchita grazie a questo dialogo che apre nuovi orizzonti al pensiero e amplia le possi¬bilità della ragione. Anche questo è un cammino di armonia e di pacificazione che va compiuto perché i saperi parlino al mondo in modo diversificato ma coerente.
Dentro il processo di definizione dell’unità la chiesa non si sostituisce al dibattito pubblico tra gli attori, ma anima il dibattito (LS, 188). Così lo stesso dialogo a partire dalle religioni si pone come significativo per tutta l’umanità. Esse sono fonti decisive per rispondere alle sfide dell’umanità (LS, 200) e camminano insieme  e a sua volta il dialogo specifico attorno ad un tema comune diviene fonte di rinnovamento (EG, 250). Dentro il quadro della libertà religiosa e della necessaria reciprocità, il cammino dialogico diviene forma di riconoscimento di ciò che lo Spirito anima in diverse forme di saggezza pratica (EG, 254).
L’unità oltre il conflitto non si dà dunque come facile irenismo ma come cammino difficoltoso, radicale, che si situa in un’apertura di processi senza far vedere immediatamente il termine di tale cammino.
La realtà è superiore all’idea. Indicazioni dialogiche.
Siamo così alla realtà superiore all’idea, nella reciprocità con la teoria ma senza negare un ruolo anche per una comprensione concettuale del reale .  L’interdipendenza planetaria ci porta a pensare ad un solo mondo (LS, 164). In fondo tutti gli altri principi enunciati in Evangelii gaudium e ripresi tra le righe in Laudato si’ vanno ad attestare che la realtà ci chiama ad una sana umiltà e ad un sobrio senso pratico delle cose. Inoltre il riferimento alla realtà ci permette di contestualizzare la singola situazione. Pensare di esaurire tutto in un tempo finito ci fa perdere la prospettiva rispetto alla storia, così come individualizzare rispetto al tutto porta a delle forme conflittuali. Il distacco dalle cose implica invece una prospettiva di apertura nei confronti del futuro ed in questo senso la realtà viene maggiormente rispettata. Se quindi troviamo apparentemente meno relazioni tra questo principio e il quinto capitolo dell’Enciclica, in realtà tale principio appare sotteso a molti dei processi delineati.
Il tutto è superiore alla parte. Indicazioni dialogiche.
Se l’interdipendenza planetaria ci aiuta a pensare in modo non parcellizzato, richiamandoci alla responsabilità verso il tutto, questo dato realistico ci spinge anche alla considerazione del tutto (EG, 234-235). Il mondo globalizzato ha raggiunto il tutto, tramite la finanza speculativa che ha sovrastato la politica, ma tale totalità è una totalità chiusa e collettiva. Il tutto cui si rivolge papa Francesco appare invece essere aperto e non contrario all’affermazione del ruolo del singolo. A livello politico questa posizione si traduce nell’urgenza della creazione di un’Autorità politica mondiale (LS, 175; CiV, 67), frutto di una governance che unisca spinta dal basso e scelte dall’alto. Come per la governance degli oceani, così ci sono tante terre di nessuno, come per esempio la questione della povertà. Anche a livello economico la diversificazione produttiva potrebbe apportare un vantaggio economico (LS, 192), nel riferimento al tutto ma rispettando le parti. Il riferimento ai più deboli così non è solo una posizione etica di tipo individuale, ma posizione strategica per ridurre le disuguaglianze ed in certo senso per creare a lungo termine valore economico e relazionale (LS, 198).
Inoltre il dialogo tra gli Stati non deve far dimenticare che ogni cristiano è strumento di riconciliazione (EG, 239) , ed unire così il dialogo delle istituzioni e il dialogo dei singoli. La politica così non deve avere la forma di un nuovo totalitarismo, ma approcciare in maniera integrale (LS, 197) le diverse questioni che contestualmente emergono, senza scindere spinta dal basso e dinamiche di palazzo .
In questo senso – quasi sinteticamente rispetto ai principi enunciati – emergono tre elementi nel testo di Laudato si’ che si offrono come spunto dialogico per eccellenza. Pazienza, ascesi e generosità (LS, 201) sono elementi del dialogo politico sull’ambiente ma che possono toccare ogni emergenza. Il dialogo richiede pazienza, che etimologicamente ci rimanda a qualcosa di subìto passivamente, di patito; il dialogo non è quindi solo sforzo attivo ma lasciar essere, aprire processi, attendere e saper guardare oltre l’immediato. D’altro canto l’ascesi – termine per eccellenza guardiniano – ci riporta ad un potere che potremmo esercitare ma che riflessivamente decidiamo di non esercitare, il potere della rinuncia e del farsi da parte, la capacità di raffinare le proprie capacità dialogiche nel dialogo pratico che si fa dialogo intimo con gli altri. In questo senso ascesi e pazienza vanno insieme perché fanno parte dell’unico cammino di perfezione, da cui siamo portati. La generosità è la forma attiva di questo trittico che riporta non tanto ad un atto di emotivo impulso, quanto alla capacità di generare oltre di sé. Anche in questa direzione il dialogo richiede un esodo da se stessi e dalle posizioni preconcette. 
 
Allargamento dialogico
Tutte queste indicazioni concorrono a delineare un dia-logos – ragione dialogica – che allarga lo sguardo per riconoscere bene più ampio. La maieutica dialogica sembra in questo senso definire le doglie di un travaglio verso un mondo costantemente rinnovato. Il cammino dell’allargamento passa attraverso un modello poliedrico di dialogo, in cui le posizioni, anche nella loro diversità, permangono in un’unità che va oltre la loro somma e che insieme riconosce le specifiche peculiarità (EG, 236-237). D’altro canto le indicazioni della ragione dialogica, comprensione del reale ma anche saggezza pratica dell’agire, stanno a testimoniare l’intima unione di sapere – in primis teologico – e di vita, secondo quella mistica popolare che legge in termini comunitari e popolari il sapere teologico. La ragione dialogica, dunque, lungi dall’essere logos astratto e separato, indica la strada di processi in divenire, che vanno anche oltre i partecipanti al dialogo ma che richiedono fino in fondo la stessa forza dialogica dei partecipanti.  
A partire dalle tematiche ambientali e in relazione ai quattro principi di Evangelii gaudium delineati è possibile così cogliere un allargamento specifico rispetto alle questioni ambientali in primo piano ma anche rispetto ai vari campi di dialogo descritti nello stesso documento.
Dialogo di/con Stati
Il tempo allarga la prospettiva, la compie e la amplifica rispetto allo spazio. Dentro un processo generale che inverte la rotta gli Stati sono chiamati a compiere passi coraggiosi, per certi versi andando oltre le rispettive sovranità. Così nell’unità del tutto rispetto alle parti il cammino verso un’integrazione delle aree politiche continentali appare inevitabile, sebbene non facilmente prevedibile in termini cronologici: ciò non vale solo per l’integrazione europea, ma anche nella direzione di un’auspicabile autorità politica mondiale che possa almeno vigilare su alcuni elementi fondamentali (clima, commercio, migrazioni, proliferazione degli armamenti, finanza speculativa). L’unità in questo senso non appare un processo irenistico ma un continuo processo di riconciliazione e riappacificazione, che trova esempi illuminanti nelle storie di fine Novecento di Sudafrica, Nord Irlanda e non solo. L’approccio al reale che si fa unità e riconciliazione nel tempo implica un’uscita dal secolo utopistico e ideologico, con una realtà che si incarica di rilanciare sempre nuovamente il dibattito. 
Dialogo di/con società e saperi
Dalla sfida dialogica i saperi escono rinnovati, non tanto in se stessi quanto nelle frontiere che caratterizzano il luogo in cui abitare il sapere al passo con i tempi. Non si tratta né di ipotizzare sintesi enciclopediche né di lasciare ogni sapere nella sua forma particolare, ma ogni sapere deve viversi come un elemento con porte e finestre rivolte all’esterno, sempre in dialogo con altri saperi, oltre la polverizzazione degli stessi. Tali saperi sono insieme costantemente connessi con la società, in un’interrelazione generativa in cui la realtà trae spunto dall’approfondimento teorico ma in cui insieme il sapere si dà sempre in relazione al reale. 
Dialogo di/con religioni e non credenti
Infine il dialogo come non mai si definisce in quanto    cammino con altri credenti, contro gli integralismi, in un dialogo nella realtà e nell’amicizia di vita . Tale dimensione dialogica diviene esempio di come il luogo del dialogo divenga motore dello stesso, ma insieme di come il dialogo che nasce da una questione specifica finisca per trasfigurare gli stessi attori del dialogo.
Così, nella cura della casa comune, scopriremo che dialogando e prendendoci cura di tutte le terre di nessuno che rimangono fuori dal dibattito saremo in grado sempre di più di prenderci cura di noi stessi, della nostra identità, delle nostre comunità. L’esteriorità dialogica e la costruzione del futuro non riducono gli spazi del sé ma aiutano a vivere nella terra di tutti – e nei territori umani incontrati nel dialogo – trovando lo spazio per ciascuno, delineando nel presente lo spazio per un futuro divenuto quanto mai incerto.