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Paola Germano

Comunidad de Sant'Egidio, Italia
 biografía
Lo si voglia o no, Europa e Africa sono due mondi collegati dalla geografia, dalla storia, dalle lingue: questo prospetta un futuro in comune, in cui la comunità umana cresce e si rafforza nell’incontro con l’altro e non deperisce nella chiusura, e questo è vero per costruire ogni comunità umana, sia essa politica, sociale o religiosa. Oggi l'Europa resta il mondo su cui si appuntano le speranze degli africani, certamente si tratta di trovare nuove risposte alla questione migratoria, di ripensare l’integrazione come ricostituzione di un tessuto umano e possibile nei nostri paesi. Dal febbraio 2016 la Comunità di Sant’Egidio grazie all’attivazione di corridoi umanitari ha permesso l’arrivo di circa 900 siriani provenienti dal Libano, donne, bambini, uomini malati, anziani hanno fatto il viaggio della speranza con un volo di linea e non sui barconi della morte. Hanno sorvolato il mare e non l’hanno attraversato rischiando di morire. Il prossimo ottobre arriverà il primo gruppo dei 500 profughi del Corno d’Africa. Questo programma realizzato insieme alla Tavola Valdese e alla Federazione Evangelica delle Chiese e con il Ministero dell’Interno e degli Esteri italiano è un modello di accoglienza diffuso e comunitario. La mia amica Daniela Pompei parlerà in modo approfondito di questa proposta nel Panel 18. 
 
Il dibattito pubblico internazionale sull’immigrazione, oggi  si orienta a rafforzare la cooperazione e i rapporti con i paesi africani coinvolgendoli in una politica incisiva per ri-affezionare i cittadini al loro Paese. Si dice “aiutiamoli a casa loro”, con interventi sociali adeguati e una politica che permetta ai giovani di lavorare nel loro Paese. Questa è anche l’idea di fondo del lavoro di decenni di Sant’Egidio: aiutare a rendere l’Africa centro, un messaggio euroafricano di speranza per le giovani generazioni che nell’età della globalizzazione si sentono ‘periferici’ e vogliono raggiungere il centro. L’Africa non è per la Comunità di Sant’Egidio una realtà lontana, ma una casa che sentiamo anche nostra e molto vicina, dove vivono, pregano e lottano migliaia di nostri fratelli. Oggi in Africa il nome di Sant’Egidio è conosciuto per la pace e la solidarietà con le popolazioni di quel continente. L’esperienza ci ha insegnato che è possibile attraverso un processo virtuoso di ascolto, attraverso la formazione e la responsabilizzazione degli africani, sostenere il patriottismo di uomini e donne che amano il loro paese, che sono e vogliono lavorare per il Rinascimento dell’Africa. Nei 31 paesi africani in cui la Comunità di Sant’Egidio è presente uomini e donne credenti, non vivono per se stessi, ma per gli altri, per i più poveri. Le comunità, composte interamente da membri africani e dirette da responsabili africani, promuovono numerose iniziative di lotta alla povertà e di sostegno alle fasce deboli della popolazione in molti modi: l’impegno per la ricerca della pace, la prossimità verso i più poveri, la lotta per l’abolizione della pena di morte. Gratuitamente, s’impegnano per la solidarietà. Sono amici dei carcerati, dei malati di AIDS, degli anziani, mentre organizzano per i bambini Scuole della Pace, luoghi di formazione alla vita e alla pace. L’Africa in gran parte è un continente di bambini, ma in una terra dove ogni giorno si lotta per la sopravvivenza, non c’è spazio e tempo per loro. Molti paesi africani stanno riducendo le spese per l’insegnamento e sempre meno bambini hanno accesso alla scuola. Sant’Egidio lavora per creare dei luoghi dove c’è spazio e tempo per loro, raccogliendo nelle scuole della pace oltre 40000 bambini in tutta l’Africa: permettere a questi piccoli di studiare vuol dire garantire loro un futuro. Allo stesso tempo le adozioni a distanza, generosamente sostenute da tante famiglie europee, garantiscono a un popolo di piccoli non solo il necessario per mangiare, ma anche il sostegno alle cure mediche e l’iscrizione scolastica. Ma molti bambini africani hanno un volto ma non hanno un nome, almeno non ufficialmente. Si stima che nell’Africa sub-sahariana un bambino su due non è iscritto all’anagrafe, e in alcuni paesi la situazione è anche peggiore. Solo per fare un esempio, in Malawi, un paese estremamente rurale, di circa 18 milioni di abitanti, si stima che i registrati alla nascita siano meno di 1 milione. Per la società, per le istituzioni, questi bambini non esistono. Dal 2008 sant’Egidio ha lanciato il Programma BRAVO!  una campagna per l’iscrizione anagrafica dei bambini per dargli un nome, un documento, perché abbiano accesso alla scuola, perché siano riconosciuti, a tutti gli effetti, cittadini dei loro Paesi. Senza la registrazione i bambini, “invisibili” agli occhi dello Stato, rischiano di essere soggetti al trafficking, vittime di schiavitù, abusi sessuali, matrimoni precoci e lavoro minorile. Sono stati raggiunti quasi 4 milioni di bambini – e anche adulti - iscritti all’anagrafe. Come valore aggiunto di questo programma, compaiono la formazione degli operatori dell’anagrafe, la ricostruzione o il miglioramento degli archivi, la sensibilizzazione dei cittadini su scala  nazionale in vista di un cambiamento di mentalità nei confronti dei diritti dei bambini. E’ un lavoro che è stato svolto con la collaborazione diretta e permanente degli Stati in cui il Programma opera: Malawi, Mozambico, Burkina Faso. Termina proprio in questi giorni, una campagna di BRAVO in un distretto tra i più rurali e popolosi del Malawi, dove nei villaggi in un mese sono stati registrati 100.000 bambini. I numeri dimostrano come le famiglie opportunamente informate comprendano l’importanza di registrare i propri figli e non vogliono mancare questa opportunità che viene loro offerta. 
 
L’Africa oggi esprime anche una grande domanda di salute. Viviamo in un mondo globalizzato e interdipendente, ma in molti paesi africani, l’accessibilità alle cure per le popolazioni è ancora un sogno. Il rafforzamento dei singoli sistemi sanitari rappresenta oggi una priorità nell’agenda di sviluppo per i paesi più poveri, tanto che è stato fissato dalle Nazioni Unite come uno degli Obiettivi del Millennio (MDG) per il prossimo futuro. Già alla fine degli anni Novanta emergeva la sfida di un mondo separato da tanti gap economici e sociali cui si aggiungeva il fenomeno drammatico della pandemia da HIV/AIDS. Un diverso destino attendeva chi si ammalava in Europa e chi in Africa: ai pazienti dei paesi sviluppati erano offerte le medicine che riducono in modo sostanziale la mortalità. A poche ore di aereo dall’Europa invece si moriva disidratati, disperati, abbandonati, per una malattia che altrove si era imparato ormai a contenere. Ai sieropositivi africani veniva, di fatto, negato il trattamento e si offrivano solo consigli di educazione sanitaria e interventi di prevenzione benché il 95% delle infezioni avvenisse proprio nel sud del pianeta. Bisognava prendere un’iniziativa forte, come cristiani non ci si poteva rassegnare davanti all’ingiustizia e alla malattia.  Bisognava cominciare e dimostrare che era possibile, e accessibile, di là dai pregiudizi e delle complessità, non solo la terapia per l’AIDS, ma anche tutto il complesso di misure e fattori che avrebbero potuto contribuire a renderla efficace: educazione alla salute dei pazienti, sostegno nutrizionale, diagnostica avanzata, formazione del personale, cure immediate. In questo contesto nel 2002 Sant’Egidio ha avviato in Mozambico, DREAM (Disease Relief through Excellent and Advanced Means) un programma di prevenzione e cura, per l’AIDS e la malnutrizione inizialmente, oggi esteso non solo alle malattie infettive ma anche alle malattie croniche e alla prevenzione dei tumori, offrendo cure gratuite complete a un livello di eccellenza dal punto di vista scientifico e tecnologico. Oggi, DREAM è presente in undici paesi africani, con numerosissimi centri di salute e laboratori di biologia molecolare sparsi sia nelle città che nelle aree rurali dell’Africa. Si prende cura di 350.000 sieropositivi, e si stima che in totale il programma abbia portato benefici a 2.500.000 persone attraverso un importante aiuto alimentare e l’educazione sanitaria. Un grande programma sanitario che a partire dal diritto alla cura soprattutto per i più poveri è divenuto un’opportunità, chance di sviluppo, occasione per una svolta decisiva in tanti campi: dalla sanità all’educazione, dai diritti umani a una nuova coscienza femminile, dalla cultura del lavoro allo sviluppo di una società civile. Il lavoro di questi anni ha condotto il Programma a essere riconosciuto dall’OMS e da diverse Agenzie Internazionali, come esperienza modello, best practices, che oltre a far nascere sani 100.000 bambini da madre malata di AIDS, ha formato decine di migliaia di persone, permettendo ai paesi in cui opera di avere oggi uno staff sanitario qualificato in grado di fronteggiare le malattie. Se oggi l’accesso universale alla cura per l’HIV è un obiettivo condiviso da parte di tutti i governi africani e dalle organizzazioni internazionali, è grazie alla tenacia di alcuni pionieri, tra cui Sant’Egidio e DREAM, uno degli attori principali e dei fattori propulsivi della trasformazione radicale dell’intera sanità pubblica dei molti paesi in cui opera sia per quel che riguarda le attrezzature, sia per le risorse umane addestrate e impiegate. 
 
Due aspetti hanno contribuito al successo del programma: l’importanza di un partenariato vero con i governi dei paesi in cui opera, con decisioni condivise e impegni a lungo termine; e la visione di un programma di sviluppo e non di emergenza.  La scelta è stata di confrontarsi con i governi, i ministeri della sanità dei vari paesi, in dibattiti serrati e a volte difficili per ridisegnare insieme e attrezzare i sistemi sanitari africani nella sfida all’AIDS e non solo. Il metodo di Sant’Egidio è l’alleanza, non aggressiva contro qualcuno, non legata alla cultura del nemico, ma ricordando Giovanni XXIII cercando ciò che unisce e non ciò che divide.
 
Nel segno dello sviluppo è certamente stata fondamentale l’introduzione di tecnologie informatiche per la gestione dei centri sanitari. La necessità di supplire alla carenza di manodopera specializzata, di condurre una formazione permanente degli operatori, di realizzare un management di eccellenza dei centri di salute e di ottimizzare le comunicazioni ha condotto alla creazione un sistema informativo di prim’ordine, raramente disponibile persino in Europa. Ciò ha permesso nel tempo al Programma di essere gestito direttamente da africani entusiasti e orgogliosi di essere in grado di governare non solo i numerosi centri di cura ma anche i sofisticati laboratori di biologia molecolare realizzati da DREAM nei differenti paesi in collegamento costante con numerosi specialisti europei, i quali, a titolo gratuito, consentono l’accesso a consulenze mediche di alto livello anche in situazioni di estrema povertà o di scarsezza di mezzi diagnostici. Questa pratica corrente, rappresenta indubbiamente un fattore di sviluppo delle potenzialità e favorisce una formazione continua dei clinici africani, necessaria in paesi, dove i medici sono pochi e le specializzazioni rare. Il supporto  di una rete di collaborazioni scientifiche di centri europei d’eccellenza, ha reso al tempo stesso l’Europa, un hub di riferimento per diversi paesi africani, contribuendo allo sforzo di “capacity building” che il nostro continente, attraverso programmi di eccellenza come DREAM, può mettere in campo. I mondi si sono avvicinati e si è creata una vera e propria community di cura, di arricchimento e formazione reciproca, non solo per i medici africani ma anche per quelli europei. Un interscambio che ha avuto anche il pregio di riportare nel continente tanti professionisti della salute europei come non accadeva più da qualche tempo.
 
Investire nei giovani non è uno spreco di denaro. Può non avere un risultato immediato, ma a lungo i risultati arrivano e sono molti e positivi. La formazione può richiedere pazienza pluriennale, ma ha un effetto moltiplicatore e una ricaduta di sviluppo sulle società africane. 
 
DREAM rappresenta una parola nuova sull’Africa, non solo nei suoi aspetti sanitari e scientifici, quanto ancor più nel profilo umano che lo segna. Per la Comunità di Sant’Egidio è sempre centrale il valore della persona e di ogni vita, da qui è scaturita la scelta di realizzare un programma di cura che avesse al centro la persona malata, l’uomo e la donna concreti con i loro bisogni non solo di salute ma anche umani.  E’ stato fondamentale, l’aver prima ascoltato e poi coinvolto stabilmente i pazienti in processi educativi e di cura, rompendo l’isolamento e lo stigma che la condizione di malattia si porta dietro, realizzando una vera e propria comunità di accoglienza, di cura e promozione umana.
 
E’ nata, ormai da anni, l’associazione “I DREAM” che coinvolge ormai migliaia di pazienti, soprattutto donne in terapia. Le testimonial, dopo una lunga formazione, svolgono un’azione d’educazione sanitaria alla pari, che va ben oltre le semplici nozioni sul virus dell’HIV e investe tanti altri aspetti della vita: l’alimentazione, l’igiene della casa e delle persone, la prevenzione di patologie infettive e molto altro. Molte delle  pazienti, ritrovate le forze, si fanno madri non solo dei propri figli, ma per altri bambini malati che affluiscono ai centri. In questi anni il loro ruolo è divenuto sempre più pubblico e molte ormai, parlano in dibattiti televisivi e alla radio, sono intervistate dai giornali. Così le donne, da principali vittime dell’AIDS diventano protagoniste della liberazione dalla malattia e il loro lavoro si traduce in una ricchezza per i paesi in cui vivono. E’ noto a tutti come nella famiglia africana il ruolo delle donne sia decisivo, per la salute e la sopravvivenza della famiglia in un contesto in cui le donne sono frequentemente il capofamiglia. Mancano gli uomini per vedovanza, migrazioni, guerre. Le donne devono farsi carico della casa, dell’educazione dei figli, con sostegni finanziari scarsi o nulli. Seppure penalizzata dal peso della tradizione e dei ruoli sociali, da tante sofferenze e violenza, la donna africana regge l’economia informale, gestisce la famiglia e l’economia generale dei loro paesi. L’amicizia, la solidarietà, il sostegno a tante donne malate attraverso DREAM ha prodotto un riscatto e una fecondità contagiosa per la società.Tanta violenza contro le donne, tanta sopraffazione, sono un attacco alla vita e al futuro, e rendono sterile la vita dei paesi. Investire sulle donne in Africa non è una questione “ideologica” o femminista, ma di cambiare una cultura con la forza del Vangelo. Le testimonial di DREAM, sono donne convinte che la vita che hanno nuovamente ricevuto è come un dono che deve essere speso per gli altri, che non può essere tenuto egoisticamente per sé; hanno ricevuto la vita e volentieri la donano di nuovo, una vita piena come non l’avevano mai conosciuta prima. Le loro mani invisibili, silenziosamente costruiscono l’Africa, ne strutturano le fondamenta della società oggi e con la forza del Vangelo producono una corrente di umanità che è una forza di liberazione per tante donne africane.
 
Fin dall’inizio DREAM si è proposto di curare gratuitamente, tutti i malati che ne avevano necessità, senza fare distinzioni, nella convinzione che la cura rappresenta un diritto umano fondamentale uguale per tutti, oltre che un passo importante nella prevenzione dell’infezione da HIV. Questa scelta ci ha è esposto negli anni alla critica di non essere un programma sostenibile economicamente. Non si può negare che l’impegno per l’accesso universale alla terapia sia un enorme onere economico, ma come gli economisti hanno dimostrato questa soluzione, si rivela nel tempo la più economica. La cancelliera Merkel, giustamente, ha parlato della necessità di un grande piano Marshall per l'Africa per salvare vite, evitare dolore, aiutare lo sviluppo dell’Africa. Spesso la corruzione costituisce un ostacolo e blocca lo sviluppo d’interi paesi. Fare interventi completamente gratuiti, diventa un’offerta culturale in un tempo di sbandamento e spaesamento per ricreare la convivenza umana. In realtà la gratuità delle cure, un valore cristiano molto criticato e contestato, mette in moto meccanismi virtuosi e ha una ricaduta sulla società civile generando un grande cambiamento culturale. Come papa Francesco ci ricorda "La gratuità è un atto rivoluzionario che agevola lo sviluppo sociale". 
 
La “monetizzazione” della vita sociale, per cui tutto è in vendita (si vedano le promozioni a scuola, le cure sanitarie), alimenta ormai anche in Africa, la crescita di una mentalità competitiva di cui la pressione sulla vita dei singoli è fortissima. Bisogna concentrarsi sul proprio successo. In questa prospettiva, si colloca il disprezzo degli anziani inutili e dei poveri, dei malati, dei carcerati, dei più deboli che avvelena le società rendendole spesso violente e disumane.
 
La popolazione africana sta crescendo a un ritmo senza precedenti. Naturalmente, anche la popolazione di anziani sta aumentando, grazie al miglioramento della salute e a una maggiore longevità. A questo cambiamento demografico non corrisponde una risposta dei governi con politiche nazionali adeguate, un fenomeno nuovo cui l’Africa non è strutturalmente e culturalmente preparata.
 
Laddove non esiste ancora un sistema pubblico di welfare, chi è anziano è spesso solo di fronte alle difficoltà della vita. Nel continente africano la crisi dell'anziano si profila anche lì, dove finora gli anziani hanno beneficiato dell'assistenza e della protezione dei loro parenti prossimi, del loro clan, della comunità locale. Oggi anche in queste aree diventa più difficile preservare tali relazioni nel momento in cui il numero degli anziani cresce e contemporaneamente, a causa dell'emigrazione e dell'urbanizzazione, le tradizionali strutture che si occupavano della loro assistenza, quali ad esempio la famiglia estesa, sono sottoposte a cambiamenti radicali. Sono purtroppo frequenti i casi d’isolamento, di abbandono e le accuse di stregoneria nei loro confronti. In vasti settori della società è ancora forte, infatti, il pregiudizio per cui si ritiene che chi è avanti negli anni eserciti la stregoneria, e viva a lungo "rubando" la vita ai più giovani. Una credenza rafforzata dall'alta mortalità dei giovani adulti, causata dalla diffusione dell'AIDS e altre malattie. Il pregiudizio nei confronti di chi è più anziano si traduce in atteggiamenti violenti, fino a uccisioni, soprattutto da parte dei più giovani.
 
L’amicizia con i giovani della Comunità che si recano a visitarli rompe tale isolamento e al tempo stesso è un aiuto concreto per ricevere acqua, cibo e medicine, trovare una casa, ma anche alla solitudine. Ma soprattutto il legame che si crea tra giovani e anziani trasforma entrambi, la diversità di condizione diventa reciproca attrazione. Per gli anziani, che sentono nell’incontro con giovani di non essere messi in disparte ma anzi cercati da persone che non hanno altro motivo che compiere un gesto di amicizia. Per i più giovani che scoprono con felice sorpresa come sia possibile vivere momenti belli di amicizia con loro, in cui la condizione di diversità dell’anziano non fa più paura, ma anzi diventa occasione di una maggiore delicatezza nel rapporto, che si fa tenerezza. Quest’amicizia diviene poi attrattiva per altri, si contagia, i vicini ostili cominciano a riavvicinarsi agli anziani, si offrono di aiutarli, si crea così un cambiamento nel villaggio, nel quartiere, una nuova simpatia verso gli anziani. La relazione tra giovani e anziani assume il valore di un architrave sociale: un tessuto prezioso, una risorsa per la vita familiare e sociale, un elemento di coesione profonda che ricuce il rapporto tra le generazioni e promuove una nuova cultura di rispetto e solidarietà verso chi è anziano. Vorrei citare un passaggio di una riflessione di Andrea Riccardi su questo tema: “Una società che non sa fare spazio ai suoi anziani, perde il senso di sé, perde il suo volto umano. E’ una società in cui il valore della vita di tutti viene calpestato….e una società dal volto umano è solo quella che ha il volto del giovane e dell’anziano insieme”.
 
In Africa chi conosce bene i poveri incontra il carcere. Ma finire in prigione in Africa è come essere condannati a morte. La mancanza di cure, di cibo, il sovraffollamento, il completo abbandono e isolamento rendono questi luoghi delle tombe per tanti. Le Comunità di Sant’Egidio si recano più volte al mese nelle carceri distribuendo aiuti alimentari, medicine, vestiti e coperte, fornendo l’aiuto legale e altro. La visita permette sia di conoscere le necessità più urgenti dei prigionieri e di individuare eventuali violazioni dei loro diritti, ma anche una comunicazione con l’esterno del carcere non solo favorendo i contatti con le famiglie ma anche favorendo l’ingresso in carcere di persone di buona volontà e del mondo esterno attraverso iniziative di vario genere. Questa contatto in molti casi fa cambiare anche l’atteggiamento dello stesso personale carcerario verso i detenuti. L’amicizia con i detenuti non solo guarisce molte ferite, ma apre alla riconciliazione sociale, ristabilisce spazi di umanità, aiuta altri a guardare i detenuti con occhio diverso, crea una rete di protezione intorno a loro. Alcuni sono detenuti da anni per aver rubato del cibo, del sapone, una gallina, tre fazzoletti. Per questi piccoli furti si scontano spesso pene molto lunghe. Chi non può pagare per estinguere la pena, resta in carcere più a lungo. Per i poveri, quindi, le porte della prigione restano chiuse, anche quando il tempo della carcerazione è terminato. Ma a volte accade che le porte si aprono, grazie al lavoro della Comunità per il riscatto dei prigionieri. Infatti, sono sufficienti 4 euro per restituire la libertà a un uomo. 
 
L'amicizia è il modo di Sant’Egidio di vivere la fede come laici in un mondo complesso e assetato di futuro. L'amicizia con un anziano debole sviluppa l’invenzione di trovare risorse per sostenerlo, l'amicizia con un rifugiato apre la curiosità sulla sua cultura e allarga i miei orizzonti. L'amicizia apre le porte a nuovi mondi. Attraverso l'amicizia, i cristiani possono vivere il loro senso di responsabilità verso i poveri, verso gli uomini e le donne di altre religioni, nonché i popoli.
 
Una sapienza antica che deve essere riscoperta per costruire un futuro comune nelle nostre società. L'amicizia, lavorare insieme diventa lo strumento per ricreare un tessuto sociale e imparare a vivere insieme e per la pace. Vivere per gli altri è un argine alla violenza, alle divisioni, alla paura,  all’autoreferenzialità del nostro mondo. Diceva lo scorso anno, all’incontro di Uomini e Religione, l’arcivescovo ortodosso di Albania, Anastasio: “Il contrario della pace non è la guerra, ma l’egoismo”. Per sradicare le radici della guerra, dalla violenza, del potere del denaro, della corruzione, bisogna sciogliere i tanti egoismi della vita. Chi cambia un uomo, un quartiere, chi rende felice un anziano e un povero, salva il mondo! L’Africa  oggi esprime una grande domanda di futuro e di vita diversa. E’ affamata di buone notizie ed è ricca di risorse non solo della terra ma soprattutto umane. L'Europa dovrebbe oggi guardare al continente africano con uno sguardo 'nuovo', propositivo e positivo, per costruire ponti che avvicinano e non muri che separano, con interventi concreti e di lunga durata. È una grande sfida, dobbiamo lavorare sodo insieme in una collaborazione globale. Le dipendenze reciproche non sono causa di diffidenza ma possibilità di unità di comprensione, utili per lo sviluppo e un futuro comune, l’opportunità di  costruire una civiltà del vivere insieme.