12 Septiembre 2017 09:00 | Petrikirche

Intervento di Armand Puig



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Armand Puig I Tàrrech

Teólogo católico, España
 biografía
La storia
Nel 1983, commemorando i cinquecento anni dalla nascita di Martin Lutero, il Cardinale Willebrands, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, si riferì a lui come «il nostro maestro comune», cioè come «colui che ha fatto della Bibbia... il punto di partenza della teologia e della vita cristiana». Oggi possiamo ripetere queste parole nell’occasione dei cinquecento anni dall’inizio della Riforma (1517-2017). Penso che concordiamo tutti sul ruolo chiave che ha svolto la Riforma nella consegna della Bibbia al popolo cristiano. È vero che nel 1453-1455 era stata realizzata la prima Bibbia a stampa –quella di Johannes Gutenberg a Magonza in due volumi–, ma quell’edizione di 180 copie per abbonamento era finita soprattutto nei monasteri: il testo stampato era quello della Vulgata latina di Girolamo e, quindi, accessibile soltanto ai chierici e alle persone di cultura. La situazione è molto diversa nel 1522 quando Melchior Lotter stampa a Wittenberg le 3000 copie del Septembertestament, cioè, il Nuovo Testamento tradotto in tedesco da Martin Lutero. L’idea sottostante è totalmente cambiata. Il numero di copie e la lingua del volume mostrano lo scopo dell’edizione: portare la Parola di Dio al popolo e nella lingua del popolo. L’edizione di tutta la Bibbia (1534) ha segnato il culmine della traduzione luterana della Bibbia, anche se Lutero, apostolo della Parola, ha introdotto delle piccole correzioni al suo testo fino al 1545, pochi mesi prima della sua morte avvenuta nel 1546.          
 
Questi dati storici sono utili per sottolineare uno dei principali contributi che la Riforma ha dato alla storia della Chiesa: la consapevolezza di dover far giungere al popolo cristiano i tesori ingenti della Parola di Dio affinchè questa diventasse il nutrimento della fede e della vita in Cristo. Nella mens della Chiesa d’Occidente che, nel Quattrocento, abbandona il Medioevo ed entra nella nuova cultura rinascimentale, non c’è spazio per una lettura generale della Bibbia, disponibile per tutti e non soltanto riservata ai chierici. È vero che durante i secoli XIII-XV si susseguono traduzioni della Bibbia (complete o parziali) nelle principali lingue europee volgari, manoscritte oppure stampate. Ma la Bibbia tradotta nella lingua del popolo è vista con diffidenza e cautela dalle autorità ecclesiastiche, preoccupate perchè «il vento dell’eresia» non si abbatta sul popolo cristiano. Questa preoccupazione scatena un atteggiamento di paura di fronte al testo biblico in lingua volgare, giudicato come pericoloso se letto fuori dei canali «controllati» (liturgico e universitario). Basta un esempio. L’Inquisizione regale spagnola fece bruciare pubblicamente centinaia di bibbie a Barcellona e València nel 1483, tanto che andò perduta per sempre tutta l’edizione di 600 copie della Bibbia catalana, tradotta dal latino e stampata a València nel 1478. 
 
Nella Prima lettera di Giovanni (4,18) si legge: «nell’amore non c’è timore». Orbene, la paura è stata responsabile della sfiducia riguardo alla diffusione della Bibbia tra il popolo. È vero che erano stati i catari, condannati per le loro dottrine dualiste, i primi a tradurre il Nuovo Testamento –anche se un rituale cataro era aggiunto alla fine del manoscritto. Tuttavia, la risposta della Chiesa, nel XIII secolo, fu quella di proibire le traduzioni nelle lingue volgari, oppure di sospettare che molti manoscritti biblici potessero contenere dottrine eretiche e farli distruggere. La paura e la sfiducia furono accompagnate da un terzo elemento: la sacralizzazione della lingua del testo biblico, che corrispondeva alla lingua della liturgia, cioè, il latino. Questi tre elementi hanno fatto sì che si creasse intorno al testo biblico un’atmosfera di pericolosità, strappando la Bibbia dalle mani dei laici. 
 
La scelta di Lutero riguardo al testo biblico è chiara. Valendosi della possibilità di usare su vasta scala la recente tecnologia della stampa, Lutero si rende conto subito dell’applicazione pastorale di un suo enunciato teologico (sola Scriptura), e traduce la Bibbia per il popolo in un tedesco unificato per l’occasione, che i lettori accettano volentieri. Lutero è consapevole che la Scrittura è il fondamento della vita ecclesiale e che la sua proposta di Riforma della Chiesa si fonda su una lettura del Nuovo Testamento, specie di Paolo. Infatti tutta la Riforma resta impregnata dal testo biblico, e in questo senso Lutero si avvicina alla grande tradizione dei Padri della Chiesa e degli scrittori cristiani, per i quali nulla si può fare senza la Parola di Dio, che resta il cuore della teologia, della spiritualità e della vita cristiana. Lutero si pone dinanzi alla Parola senza paura, anzi con la sincerità del credente che realizza un percorso fondato su di essa.      
 
Il posto secondario della Bibbia nella vita dei cristiani è stata la conseguenza più grave di un processo storico che incomincia nel duecento e che continua dal cinquecento in poi. In un ambiente di gravissimi scontri a tutti i livelli, non c’è posto per una ricezione positiva della posizione di Lutero riguardo alla diffusione della Parola di Dio e il suo influsso nella vita cristiana. Le affermazioni del Concilio di Trento in rapporto alla Sacra Scrittura configurano la dogmatica cattolica che si protarrà per quattrocento anni, fino al Vaticano II. Non è questa la sede per trattarle. 
 
Tuttavia, attanagliata dal timore della diffusione delle dottrine luterane, considerate eretiche e perniciose, la Chiesa cattolica non riesce a capire le conseguenze pastorali di un eventuale recupero della Parola come cibo spirituale del popolo di Dio, e continua il suo atteggiamento diffidente e pauroso, aumentato dal fatto che la cristianità occidentale si era divisa in due. La paura fa sì che durante i secoli la Bibbia resti «roba dei protestanti» –almeno nei paesi latini. La cosiddetta Controriforma o Riforma cattolica non si farà in nome della Parola di Dio ma sotto uno sguardo di controllo del testo biblico perchè questo non possa «introdurre l’eresia» nella fede cattolica. La Bibbia non è sentita come il grande strumento per vivere il cristianesimo, quella Parola che Dio stesso ha voluto far sorgere in mezzo agli uomini, «veri autori» che esprimono col loro linguaggio quello che lo Spirito di Dio, «vero autore», concede loro di scrivere (Dei Verbum 11). I laici cattolici, per secoli, non potranno avvicinarsi senza essere oggetto di sospetti alla Parola di Dio e ai suoi tesori. Una delle grandi intuizioni della Riforma di Martin Lutero resterà sommersa nel fragore di uno scontro doloroso «che ha ferito l’unità indisivibile della Chiesa» (Dichiarazione di Lund, 31 ottobre 2016).          
 
Il presente
Il Concilio di Trento finisce nel 1563. Il Concilio Vaticano II viene inaugurato nel 1962. Quattrocento anni sono passati perchè la Chiesa cattolica ribadisse la dottrina intramontabile, cioè, che la Sacra Scrittura, secondo la dogmatica cattolica, «insieme con la Tradizione»– è «la regola suprema della fede» (Dei Verbum 21). Questa Costituzione dogmatica dedica un intero capitolo, il sesto, a «La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa». Il capitolo riecheggia le proposte pastorali della Riforma riguardo all’utilizzo massivo e massiccio della Parola in tutti i  momenti della vita delle comunità cristiane. Così, raggiunge il suo scopo il movimento biblico, promosso da esegeti e teologi cattolici ma anche voluto dal Magistero papale (Leone XIII con l’enciclica Providentissimus Deus, 1893, oppure Pio XII con la Divino Afflante Spiritu, 1943). La Bibbia era tenuta in considerazione dalla teologia cattolica sempre di più, ma il grande salto della Scrittura come «cibo e sorgente» per i laici –quello che aveva auspicato e promosso Martin Lutero–avverrà soltanto come frutto maturo dell’azione dello Spirito nell’assemblea conciliare (cfr. Dei Verbum 21).       
Dal Vaticano II in poi, cioè, negli ultimi cinquant’anni, le chiese cristiane hanno cominciato una strada insieme sub Verbo Domini, alla luce della Parola del Signore. E bisogna dire che la Parola e la carità sono le due grandi vie che avvicinano le chiese cristiane, o, se si vuole, la Bibbia e l’amore oblativo –inteso come affetto per i poveri e come fratellanza verso gli altri cristiani. Il dono della Parola e il dono dei poveri e dei fratelli segnano molti momenti di incontro e amicizia tra i cristiani delle diverse confessioni –come mostra questa bella Preghiera per la Pace in terra tedesca. La Parola ha il primato, dall’inizio della Scrittura (Genesi 1,1-2) fino al suo evento centrale che è l’incarnazione del Logos, «Gesù Cristo», la Parola eterna del Padre (Giovanni 1,1-18). 
 
Il primato della Parola è un principio teologico che le teologie evangelica e cattolica sono totalmente concordi nel sottolineare. Nell’impostazione della teologia sistematica, nell’uso dei metodi biblici (non soltanto del fondamentale metodo storico-critico), nella ricerca esegetica, in tanti altri campi la Parola unisce e non separa, accomuna e non divide. Grazie ai contatti di ogni tipo, le letture condivise della Scrittura, le predicazioni vicendevoli, i libri spirituali letti senza restrizioni per l’origine o l’autore, la Parola è diventata quello che era da sempre, ma che bisognava attuare nel concreto: un patrimonio comune. Il vecchio sogno dei riformatori –la Bibbia per il popolo cristiano– è oggi un progetto cristiano comune. Dopo il Concilio è sorto un «ecumenismo della Parola», una vicinanza tra evangelici e cattolici dettata dall’uso comune, e dalla proiezione globale, della Bibbia come crogiuolo della vita cristiana.     
 
Dalla Parola sgorga la carità, la vicinanza all’altro, il diverso, il lontano, ma anche l’attenzione all’uomo ferito accanto alla strada, mendicante di amore (Luca 10,30-37). C’è un linguaggio comune, quello della misericordia, radicato nelle Scritture e conosciuto da tutti i cristiani, che fonda l’«ecumenismo della carità». Chiunque legga il testo biblico senza pregiudizi, col cuore aperto alle chiamate dello Spirito, troverà che in tutte la pagine della Scrittura c’è un appello al riconoscimento del Padre comune e alla compassione verso il fratello comune, ciòe, verso l’altro che mi aspetta. L’alterità fa parte dell’essere umani. L’alterità rimanda, in tanti momenti, a un lavoro comune a favore della pace. Se la Scrittura fu usata negli anni di scontri e guerre tra cattolici e riformatori come strumento di distruzione, e tante volte la Scrittura diventò un arma per sconfiggere l’avversario, ora le chiese cristiane sono diventate consapevoli degli sbagli commessi e dei peccati di violenza e odio contro gli altri cristiani. C’è una purificazione della memoria che deve riconoscere i tanti fratricidi commessi, in modo che ci sia un impegno comune per la pace in tutte le terre. L’«ecumenismo della pace» è il nome che tante volte deriva dall’«ecumenismo della carità».
 
La Parola e i suoi frutti (carità e pace) segnano l’inizio di un rapporto nuovo che a cinquecento anni dell’inizio della Riforma deve realizzarsi tra cattolici e evangelici in questa stagione complessa dell’inizio del terzo millennio. La violenza globale, il terrorismo senza volto, le guerre infinite, chiedono, da parte dei cristiani, un ritorno alla Parola che porti a un rinnovamento di una vita vissuta secondo il Vangelo del Signore Gesù Cristo. Riprendendo le parole di Gv 17,23, il mondo può conoscere la Parola di vita se i cristiani diventano ciò che la stessa Scrittura chiede loro di essere: ascoltatori della Parola, cultori della carità, operatori di pace.   
 
Dei Verbum 21 incomincia con queste parole: «La Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo». Il termine «venerazione» viene usato qui e nel num. 26 sia per la Parola che per il Sacramento dell’Eucaristia. Ma in questo momento della storia, segnato da un mondo globalizzato, la Bibbia rischia di perdere quel ruolo indiscutibile che possiede nella vita dei cristiani appartenenti alle  chiese uscite dalla Riforma, e, dall’altra parte, rischia di fermare la sua crescita spirituale tra i cristiani cattolici dopo gli ultimi cinquant’anni. L’indifferenza riguardo alla religione è una sfida comune che tocca in modo diretto l’utilizzo della Bibbia come nutrimento della fede e della vita. È dunque necessario riproporre la Parola di Dio come oggetto di «venerazione» o «devozione» tra quelli che conoscono il Signore oppure quelli che lo vogliono conoscere. È necessario crescere nell’adesione alle Scritture, trovare il sapore della Parola, incontrare il Signore morto e risorto attraverso la devozione alla Bibbia, evento di salvezza per tutta l’umanità.