Condividi su

Ole Christian Maelen Kvarme

Vescovo luterano, Norvegia
 biografia
Conosciamo ormai questo proverbio: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità” Trentun anni fa Papa Giovanni Paolo II convocò leader di religioni e culture diverse ad Assisi, e così si accese una candela che diffuse la luce in molti angoli del mondo. Il potere dell’oscurità continua ad incombere attorno e dentro noi. Ma noi ci confrontiamo con essa, non per maledire, ma, per esprimermi con le parole dell’Evangelista Giovanni: “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta”.
 
Il tema di questa conferenza è “Strade di Pace”. Nel nostro panel ci è stato chiesto di confrontarci con l’argomento “lo spirito di Assisi: una profezia per il nostro tempo?” Vi sono tre parole che continuano a descrivere queste conferenze di Sant’Egidio nello spirito di Assisi: la preghiera ed il dialogo per ottenere la pace. E’ possibile che queste parole diventino un richiamo profetico nel nostro tempo? Vorrei ora tentare di scoprire la dinamica di questo movimento profetico che, dalla preghiera, porta al dialogo, in questo nostro percorso verso la pace.
 
La preghiera – essere in ascolto di Dio
Nella preghiera ci accostiamo a Dio con ciò che è nei nostri cuori, anche dicendo semplicemente: “Abba, Padre.” Allo stesso tempo, la preghiera è una risposta a Dio che prende sempre per primo l’iniziativa. Nelle prime pagine della Bibbia vi sono due domande che ci vengono poste. Dio chiama Adamo, chiama l’uomo, e dice: “Dove sei?”. Si rivolge a Caino e chiede: “Dov’è tuo fratello?”
 
Dio vuole parlare con noi e condividere con noi ciò che è nel suo cuore, per il bene nostro e del mondo. Ascoltare Lui purifica gli occhi, le menti ed i cuori e pone le nostre vite e ciò che ci circonda in una nuova luce. La preghiera è un atto di conversione, nel senso della parola ebraica Teshuva: un ritorno a casa, un ritorno a Dio come il figliol prodigo nella parabola di Gesù. Nel suo tornare indietro prendono forma un cambiamento di rotta ed un nuovo inizio.
 
Il filosofo ebraico Abraham Joshua Heschel ha scritto: “(Per) i profeti … Dio è compassione, ma non compromesso, giustizia, ma non mancanza di clemenza… La loro estrema sensibilità verso ciò che è bene e ciò che è male gli è data dal fatto che sono estremamente sensibili verso la preoccupazione di Dio per ciò che è bene e ciò che è male. Hanno sentimenti di fierezza perché sono profondi nell’ascolto.” I profeti hanno ascoltato Dio con profondità, hanno ascoltato con profondità il contesto in cui si trovavano, e poi hanno parlato ed agito.
 
Credo che ciò è quanto è successo a San Francesco ad Assisi, ed è stata la mia esperienza con Sant’Egidio negli ultimi dieci anni. La preghiera è la prima parola. Si inizia ascoltando Dio, e poi si potrà parlare ed agire per il bene del mondo e delle persone attorno a sé. Per me, lo spirito profetico di Assisi inizia con questa chiamata: tornare a Dio nella preghiera. Ascoltando Dio, riscopriamo chi siamo, dove siamo, e la dignità di ogni sorella e di ogni fratello.
 
Dio di Grazia e di Misericordia
Questa chiamata alla conversione e ad ascoltare Dio implica che vi sia della sostanza nel modo in cui guardiamo a Dio, nella nostra fede in Lui. Con le parole del Salmo 145: “Misericordioso e pietoso è il Signore,…buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature”.
 
Lo Spirito di Assisi è profondamente radicato nella sovrabbondante manifestazione della “misericordia e pietà” di Dio. E’ ciò che ha caratterizzato la vita di San Francesco, ed i papi, a partire da Giovanni XXIII, hanno ripetutamente fatto riferimento a questo elemento centrale della nostra fede. Nel libro “Il nome di Dio è misericordia”, Papa Francesco mette in evidenza come ciò è la chiave per comprendere la Bibbia, la fede e la vita Cristiana. La grazia di Dio è anche stata un elemento centrale della teologia di Martin Lutero, ed in tempi recenti cattolici e luterani hanno trovato un’intesa su questo punto.
 
Noi oggi viviamo in una società globale che agli occhi di molti è senza misericordia e senza grazia. Le nostre società hanno sviluppato strutture complesse per il welfare dei loro cittadini, per arginare i mali rappresentati dal crimine e dal terrore. La grazia e la misericordia vanno al di là di queste strutture e di questi sistemi. Vanno anche al di là delle nostre strutture religiose. La religione non esiste grazie ad esse, ma grazie a Dio, ed alla sua grazia ed alla sua misericordia verso di noi.
 
Come Cristiani crediamo che la misericordia di Dio ci è stata rivelata attraverso Gesù. Ma già a Mosè sul Sinai è stato rivelato che “il Signore è misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34, 6), un elemento centrale della fede professata nelle sinagoghe. Nelle loro preghiere quotidiane, anche i musulmani professano continuamente che Dio è misericordioso e clemente. Nonostante le nostre differenze, la misericordia, e la vita nella misericordia, sono un elemento che si trova nel cuore della maggior parte delle religioni.
 
Per me la voce profetica di Assisi è una chiamata affinché sia data una chance alla grazia, e la misericordia prevalga tra noi. Il più delle volte ciò capita nel silenzio – una preghiera del cuore e mani stese, un gesto di misericordia ed una parola buona. Ma pensate a cosa potrebbe succedere, se tutti insieme permettessimo che lo spirito di grazia e misericordia rinnovasse e penetrasse all’interno delle nostre vite e le nostre società!
 
Dalla preghiera al dialogo
Avendo in mente tutto ciò, comprendo il significato del ritmo di queste conferenze di Sant’Egidio. Prima preghiamo, poi dialoghiamo. Non preghiamo insieme, mischiando le nostre tradizioni in maniera sincretistica. Vi è un profondo rispetto per l’integrità della fede e delle differenze tra noi. Ma tutti noi preghiamo, e preghiamo con le parole delle nostre Sacre Scritture, prima di addentrarci nella conversazione comune.
 
Vi sono varie linee guida per il dialogo e per gli incontri interreligiosi. Un monaco benedettino disse una volta: “quando entri nel dialogo, prima dovresti ascoltare con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Poi dovresti parlare con tutto il tuo cuore, tutta la tua mente e tutta la tua forza.” Probabilmente anche voi avrete riconosciuto la citazione del quinto capitolo del Deuteronomio: “Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze.”. Prima la preghiera, poi il dialogo.
 
Seguendo questo ritmo, vi è una libertà fondamentale, ma anche un impegno comune. La preghiera ci impegna a rispondere alla chiamata di Dio e ad ascoltarlo; ciò ha un seguito nell’impegno di ascoltarci a vicenda. Quest’impegno è anche la nostra libertà. La preghiera purifica i cuori e le menti ed apre i nostri occhi verso l’altro e verso il mondo che è intorno a noi. Grazie a questa libertà sono incoraggiate amicizie, e quando ascoltiamo e parliamo l’uno con l’altro, siamo liberi a scoprire strade di pace e di convivenza.
 
La profezia, la povertà e Strade di Pace
Non è facile trovare strade di pace. Oggi sarebbero pochi coloro che ripeterebbero quanto dicevano i falsi profeti al tempo di Ezechiele. Di loro egli diceva: “Ingannano infatti il mio popolo dicendo: ‘Pace!’, e la pace non c'è” (13, 10). Oggi, piuttosto, troppi giovani ed anziani soffrono dalla mancanza di speranza. O, il che è peggio, chiudiamo i nostri cuori e ci distanziamo da coloro che soffrono – i milioni di rifugiati che fuggono dalla guerra e dalla fame e che si riversano nelle nostre società.
 
Ma i profeti biblici erano persone di speranza. Parte della loro speranza è incisa nella pietra presso il palazzo dell’ONU a New York: “una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri” (Is 2,4; Mi 4,3). Ma questa speranza è preceduta dalla visione di persone che dicono: "Venite, saliamo sul monte del Signore... perché ci insegni le sue vie”. La loro speranza è espressa nella chiamata a tornare sui sentieri di Dio, un ritorno alla Sua compassione per i poveri, per le vedove, per chi è senza madre e senza padre, per gli stranieri.
 
San Francesco ha scelto di vivere come povero tra i poveri. Quando Papa Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II parlò di una “Chiesa povera e per i poveri”. Il mio personale percorso con gli amici di Sant’Egidio è anch’esso stato un processo di conversione. Mi hanno aiutato a riscoprire la compassione per i poveri nel ministero di Gesù, e che le strade di pace devono essere con i poveri e per i poveri.
 
La fede religiosa ha inizio a partire dal cuore di Dio e dal cuore dell’uomo, da cui può penetrare le società, e può anche attraversare confitti per giungere a strade di pace. Allo stesso modo dei profeti della Bibbia e dell’Uomo di Galilea, lo Spirito di Assisi è un mite sussurrare che tocca i nostri cuori e riorienta il nostro vivere quotidiano. Oppure, in tempi diversi, è una testimonianza pubblica che sfida le autorità ed i poteri politici. E’ una voce sia calma che potente. Si confronta con l’oscurità, non come profezia di condanna, ma accendendo una luce di speranza:
  • Comincia con la chiamata a ritornare a Dio nella preghiera.
  • Ascoltando Dio, continuiamo a renderci conto che il potere del male può essere vinto soltanto dalla Sua grazia e dalla Sua misericordia.
  • Incontrando Lui facciamo la scoperta l’uno dell’altro e così procediamo nel dialogo e nell’amicizia.
  • Questo dialogo è per sé stesso un segno di speranza in un mondo che soffre e può portarci, insieme, a trovare strade di pace con i poveri e per i poveri.