Partager Sur

John Charles Allanson Barrett

Président du Conseil méthodiste mondial
 biographie
Perché l’unità?   
 
Il radunarsi a questo incontro di tanti rappresentanti di così numerose chiese Cristiane appare inizialmente di grande effetto. Ma ad una successiva considerazione, risulta deprimente. Gli angeli in cielo devono chiedersi in che modo abbiamo potuto giungere a dividere il Vangelo così come lo abbiamo fatto.
Il mio assunto di partenza è che, sebbene certi Cristiani considerino l’unità irrilevante, o persino come un segno di debolezza, alla maggior parte dispiaccia la nostra disunione. Vorrei aver potuto dire che a TUTTI dispiace la nostra disunione, ma ho passato un certo tempo nel servizio di una chiesa in Asia sud-orientale, e ho constatato con sconcerto che c’era scarso interesse per l’unità. Ritengo pensassero che un po’ di competizione sia salutare e percepissero la preoccupazione per l’unità in Europa come una conseguenza del nostro declino.
 
Ma la celebrazione, quest’anno, del centenario della Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo del 1910 (considerata da molti come il punto di partenza del moderno movimento ecumenico) ci ha ricordato che la volontà di riunirsi non era sorta da una sensazione di disperazione circa il modo di arrangiarsi con risorse in graduale diminuzione, bensì da un autentico zelo di esser il corpo di Cristo nel mondo e di essere più efficaci nella nostra missione. Io penso che in quella conferenza ci fosse un senso di urgenza. Volevano evangelizzare il mondo.
Ritengo che quell’urgenza rimanga. E penso che la nostra disunione sia sbagliata, sia un peccato.
In primo luogo, costituisce una negazione dell’amore cristiano. Uno dei temi del nostro incontro è il dialogo in quanto via per la pace. Ma non facciamone una scusa per non andare più a fondo. Il dialogo non è certamente abbastanza tra cristiani. Ci è stato comandato di amarci l’un l’altro, eppure i cristiani sono spesso colpevoli di trattarsi l’un l’altro con un tale sospetto e con una tale circospezione, che risulta difficile percepire che essi si amino l’un l’altro. È vero, non ci mettiamo più sul rogo a vicenda, ma dov’è quell’intensità di affetto reciproco che è richiesta dall’amore cristiano?
In secondo luogo, è contraria agli espliciti auspici formulati da Gesù per i suoi seguaci. Quando Gesù pregava il Padre  “perché siano una cosa sola, come noi” (Gv. 17,11), Egli esprimeva un intenso desiderio per i suoi discepoli. La nostra comune fratellanza come cristiani sorge dal nostro essere partecipi della fratellanza del Padre e del Figlio. Negare tale fratellanza significa perdere la ricchezza del Vangelo.
In terzo luogo, è una negazione della nostra missione cristiana. La nostra unità, dice Gesù, è “perché il mondo creda” (Gv. 17,21). Non possiamo annunciare il Vangelo della riconciliazione, se lo neghiamo attraverso la nostra disunione. Per questo la questione dell’unità cristiana è rilevante per questo incontro. La nostra disunione è un ostacolo alla pace, perché la Chiesa non può essere un attore di riconciliazione pienamente efficace dal momento che è essa stessa divisa.
 
Permettetemi di chiarire che sto parlando di unità, non necessariamente di unificazione organica. Esistono differenti tradizioni di spiritualità, differenti forme di culto, differenti opinioni teologiche, differenti accentuazioni nella condivisione del Vangelo, ma queste non dovrebbero essere barriere nel rendere culto e lavorare pienamente insieme. La maggior parte delle Chiese riconosce questo e si impegna per l’unità. Ma nel mio modo di vedere non c’è abbastanza impegno conenotato da sufficiente passione per una reale unità.
È vero, molte Chiese sono impegnate in colloqui con altre confessioni per analizzare le differenze teologiche. Anche la mia Chiesa, quella Metodista, è impegnata dal 1966 in seri colloqui con la Chiesa Cattolica Romana e da ciò sono derivati molto progressi nella comprensione reciproca, con un livello di convergenza sulla teologia e sulla tradizione che penso abbia sorpreso entrambe le Chiese. Ma lo scopo di questi colloqui era stato definito all’inizio come “la piena comunione nella fede, nella missione e nella vita sacramentale”. Debbo dire che, mentre oggi possiamo comprenderci meglio reciprocamente, non sono sicuro che siamo più vicini al raggiungimento di quello scopo.
In alcuni casi le Chiese sono addivenute a degli accordi. Un esempio è l’accordo firmato dalla Chiesa Metodista in Gran Bretagna e dalla Chiesa di Inghilterra nel 2003. Cito: “Ci impegniamo, come priorità, a lavorare per superare i rimanenti ostacoli a ... l’unità delle nostre due Chiese, sulla strada per la piena unità visibile della Chiesa di Cristo. In particolare siamo in attesa del momento in cui l’unità più pienamente visibile delle nostre Chiese renderà possibile un ministero unito e intercambiabile. Ci impegniamo a mettere in pratica più pienamente le nostre comuni vita e missione e a condividere gli specifici apporti delle nostre tradizioni, facendo altri passi per giungere a una più stretta collaborazione in tutti   i campi della testimonianza e del servizio nel nostro mondo bisognoso”. Sono conscio che ciò ha portato ad un più elevato livello di cooperazione sul piano nazionale, per esempio nell’istituzione  e nell’amministrazione di scuole confessionali. Ma cosa ha cambiato  a livello locale? Molte chiese,  sia metodiste che anglicane, non sono ancora neppure coscienti dell’accordo.
I leader ecclesiali fanno promesse a vuoto sull’unità. Il cardinal Kasper ha scritto: “L’ecumenismo non ha a che fare con la pubblicazione di documenti. Lo Spirito Santo è venuto col fuoco, non con la carta; e il fuoco brucia la carta”. Così sia!, ma, certamente, ciò significa qualcosa solo se porta a qualche cambiamento. Uno degli aspetti positivi di questo incontro è che qui i leader ecclesiali sono intenzionati a sedere fianco a fianco come collaboratori per il Vangelo, annunciando un impegno a lavorare insieme per la pace. Facciamo in modo che non siano solo parole.
Ho fatto riferimento a Gv. 17. In queste occasioni lo facciamo tutti. Ma penso che il testo a cui dobbiamo guardare sia Mc. 8,34 "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.”. ed Egli prosegue parlando della  perdita della propria vita per causa Sua e del Vangelo come strada verso la pienezza. Questo brano ha qualcosa da dirci in questo dibattito? Recentemente il presidente della Chiesa Metodista Britannica, parlando al Sinodo Generale della Chiesa d’Inghilterra, ha detto che la Chiesa Metodista era pronta a morire per la causa dell’unione. Non ha parlato, come hanno pensato i media, di un di un passaggio ad altra confessione, né tanto meno di una fusione, ma di una volontà di morire per la causa del Regno – una volontà che egli ha sfidato a dimostrare anche la Chiesa d’Inghilterra. Qui troviamo qualcosa d’importante. Gesù ha insegnato che la via per il perdono, la pienezza e la pace è la via della croce, e solo seguendo quella via possiamo essere un segno per il mondo.
 
John Wesley ha pubblicato un sermone sullo Spirito Universale basato su 2Re 10,15: "Il tuo cuore è retto verso di me, come il mio nei tuoi riguardi?". ... Se sì, dammi la mano". Ha sottolineato che la questione non è se condividiamo le stesse opinioni, nè se pratichiamo il culto nello stesso modo – ma è: è il tuo cuore conforme a Dio e sei impegnato nel fare non la tua volontà, ma quella di Dio? Se è così, diceva Wesley, dammi la mano – non abbracciare la mia fede e non condividere le mie opinioni, ma amami come una sorella o un fratello, raccomandami a Dio nelle tue preghiere, incoraggiami a fare il lavoro di Cristo, e unisciti pienamente a me nel fare questo lavoro. L’unità della Chiesa non è solo importante, è fondamentale per essere il corpo di Cristo ed esprimere il suo amore al mondo. Andiamo avanti in questa direzione. È urgente.