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Kpakilé Félémou

Comunità di Sant’Egidio, Guinea Conakry
 biografia
Eccellenze, Signori e Signore, 
 
Parlare dell’Africa non è sempre facile perché ci sono troppe tentazioni, principalmente due:
- per gli afro-ottimisti, c’è la paura di non essere ascoltati;
- per gli afro-pessimisti, il rischio è quello di continuare a presentare l’Africa secondo il modello dei grandi media mondali, l’Africa di 20-30 anni fa:  la mancanza di Democrazia, l’Africa dei colpi di Stato militari, malattie e guerre civili combinate insieme, corruzione generalizzata, infrastrutture inesistenti, accesso impossibile all’acqua potabile e alle cure sanitarie, l’Africa dell’AIDS, dal sistema educativo carente, ecc.
 
Qualcuno potrebbe muovere la seguente obiezione: si tratta solo di clichés negativi sull’Africa o è questa la realtà dell’Africa ? Risponderei che è meglio di quel che si pensi. Tra i bisogni dell’Africa del XXI secolo, un ruolo importante lo ricoprono l’informazione e la comunicazione. L’Africa o soffre di un silenzio totale che si abbatte su di essa, oppure se ne parla in maniera inadeguata nei grandi organi di stampa. Quando gli africani parlano dell’Africa, non è raro che essi stessi adottino lo stile degli « afro-centrici »: cioè quelli che ritengono che tutti i mali dell’Africa vengano da altrove. 
 
Come fattore di cambiamento vorrei, per il tempo del mio intervento, parlarvi di alcune chiavi di lettura e dei segni che sono le ragioni della speranza di Sant’Egidio sull’Africa. 
 
Il mio ottimismo realista e meditato sull’Africa è forgiato e nutrito nella Comunità di Sant’Egidio. La grande crescita della Comunità di Sant’Egidio in Africa è una speranza grande sull’Africa. Comunità di preghiera e di comunicazione del Vangelo, amica dei poveri nel senso di un servizio assiduo e gratuito ai poveri, Comunità di educazione alla pace, di dialogo interreligioso, di ecumenismo, Comunità di difesa della vita, Comunità di grande fraternità evangelica: Sant'Egidio oggi esiste in più di 26 Paesi d'Africa, con decine di migliaia di aderenti. Sant’Egidio è anche africana e la miglior prova di questo è stata la firma dell'accordo tra l'Unione Africana e la Comunità, fatto che riconosce il suo profilo africano, oltre a tutte le sue realizzazioni umanitarie e di pace sul continente. 
 
Notiamo - primo segno - che in Africa il dialogo tra le religioni è possibile. L'estremismo religioso è ostacolato da un’attitudine al dialogo che trova le sue radici nella convivenza. Bisogna lavorarci. Nel maggio 2010, il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, il Professor Andrea Riccardi, ha tenuto un’assemblea con più di 100 imam della Costa d’Avorio, per parlare della  pace e per intraprendere una seria lotta contro tutte le forme di violenza. Abbiamo lavorato in questo Paese per evitare la deriva della violenza tra le religioni nel contesto della crisi politica. 
 
Secondo segno: la democrazia piace agli africani. Poco a poco le istituzioni democratiche  si instaurano nel continente e questo è provato non soltanto dalle elezioni – che ormai hanno luogo dappertutto - ma dall'effervescenza della società civile, dai media, dalla libertà di espressione ecc.
 
Terzo segno: una società che cambia. Progressivamente l'Africa si urbanizza e sorge una nuova classe di giovani professionisti globalizzati, sensibili ai diritti umani e al pluralismo, contro le divisioni etniche, ottimista verso il futuro. Un segno di questi cambiamenti sta nel fatto che l'Africa si prepara a diventare il secondo continente senza pena di morte, dopo l'Europa. Per questo Sant'Egidio si batte molto. 
 
L'Africa non è soltanto un giacimento di risorse a cielo aperto, ma anche un giacimento di risorse umane. Soprattutto i giovani sono vivaci, vogliono prendere iniziative e prendere in mano le proprie vite. Bisogna passare, a nostro modo di vedere, dall'Africa intesa come risorsa, agli africani intesi come risorsa. Non basta guardare ai successi economici dei nuovi investimenti (per esempio la penetrazione dell'Asia) per capire il continente. Bisogna spingere lo sguardo in profondità. 
 
Certo è importante - ed è lo scopo del nostro lavoro – vigilare sull’umanizzazione della vita nell’ambiente urbano di quest’Africa che cambia, senza dimenticare l'Africa dei villaggi. Noi lavoriamo contro i fenomeni di violenza diffusa, come il linciaggio, o l'abbandono degli anziani, una novità per il nostro continente in cui non si era abituati al gran numero di vecchi. E’ anche il segno che la vita si allunga. 
 
Una delle nostre preoccupazioni più grandi è per le nuove generazioni. Spesso il primo  servizio, quando la comunità inizia in una città, è la  «Scuola della pace ». E’ lo strumento attraverso il quale Sant'Egidio  mette il bambino al centro degli interessi degli adulti che possono essere i genitori, i vicini, il quartiere, le autorità. In Guinea per esempio siamo ormai i collaboratori privilegiati della Direzione Nazionale dell’Infanzia. Non potrei raccontarvi quanti bambini sono stati salvati, scolarizzati, in Mozambico, in Malawi, in Rwanda, ecc.  BRAVO, un acronimo inglese, è un Programma di Sant’Egidio per l’iscrizione dei bambini allo stato civile, contro l’oblio e i traffici. Il primo paese che ha ospitato questo programma è il Burkina Faso nel 2009. Abbiamo raggiunto i tre milioni di bambini – e anche adulti - iscritti all’anagrafe. E’ il modo per rispondere alla sfida della mancata iscrizione allo stato civile di un bambino su due, come accade in molti Paesi poveri. Come valore aggiunto di questo programma, compaiono la formazione degli operatori dell’anagrafe, la ricostruzione o il miglioramento degli archivi, la sensibilizzazione dei cittadini su scala  nazionale in vista di un cambiamento di mentalità nei confronti dei diritti dei bambini. E’ un lavoro che è stato svolto con la collaborazione diretta e permanente dello Stato del Burkina Faso.
 
L'altro grande programma che abbiamo messo in atto è quello contro l’AIDS. DREAM è un Programma di prevenzione e cura del virus dell’HIV/AIDS, della malnutrizione e delle malattie sessualmente trasmesse. Sant’Egidio ha ottenuto la collaborazione degli stessi africani: membri della comunità, cittadini, pazienti e governanti. Iniziato nel 2002 in Mozambico, esiste oggi in 10 paesi africani. Tra i risultati posso citare : 31 centri che prendono in carico integralmente e gratuitamente i malati di HIV/AIDS; 18 laboratori, 90.000 pazienti sotto trattamento, un milione di assistiti, contando le famiglie dei malati; 19.000 minori di 15 anni in terapia; 10.000 bambini nati sani da madri infette; 16 corsi di formazione panafricana. 
 
L'altro grande cantiere è quello della pace in Africa. Dopo la firma dell’accordo di pace per il Mozambico il 4 ottobre 1992 a Roma, nella sede centrale della Comunità, seguita a 15 anni di una guerra costata 1 milione di morti, si potrebbe dire che Sant’Egidio ha finito per elaborare una cultura, quella che si potrebbe chiamare pacificatrice o del « fare pace ». Basta vedere quante mediazioni o partecipazioni a mediazioni di pace nel mondo, in Africa, in Europa, in America centrale, ecc.
 
Quale conclusione traggo dalla nostra esperienza? E’ quella dell’esistenza di un destino comune tra l’Europa e l’Africa. Destino che i fondatori dell’Europa comunitaria avevano già intravisto nel dopoguerra. Oggi l'Europa può prefiggersi di realizzare una vera cooperazione con un’Africa totalmente cambiata, in un quadro di interesse reciproco. Questo appello non è soltanto per l’Europa, è anche per l’Africa. Non c’è un’inimicizia inevitabile tra Europa e Africa, il divario culturale non è un abisso, la storia divide, ma può anche unire molto. Agli europei dico che andare in Africa in questo momento è un’opportunità geopolitica per il domani. Questa nuova cooperazione può anche essere la risposta al problema dell’immigrazione che tanto agita le società europee. 
Crediamo insieme a questo destino comune, questo convivere di cui i giorni di Barcellona sono un segno evidente.