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Edelstein e Al Habash: "Il dialogo deve essere vero, a Barcellona con Sant'Egidio possiamo parlare in modo autentico"

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Per Edelstein, ministro israeliano per la diplomazia pubblica e la diaspora, va vista favorevolmente la fine della “la moda di chiamare a fare un bel dialogo persone che non hanno ruoli politici, ebrei o palestinesi che magari nemmeno vivono nella nostra terra. Se vogliamo andare avanti non dobbiamo aver paura di parlare dei problemi, dei rifugiati, di Gerusalemme. Diciamo qui pubblicamente quello che diciamo anche a casa nostra, davanti alla nostra gente. Se siamo qui è perché abbiamo preso la decisione strategica di far sì che i nostri figli non si combattano tra loro in guerra”. In sintonia su questo le affermazioni di Al Habash, ministro per gli affari religiosi dell’ANP, per cui “Non possiamo venire qui a parlare di rose, fare un dialogo solo sui principi, ma dobbiamo partire dalle radici, perché quello che accade sul terreno è importante”.

Diversa la loro storia, identica la passione. Edelstein era un giovane ebreo nell’Unione Sovietica degli anni ’70, dove insegnare ebraico e chiedere il visto per Israele poteva costare il gulag. Ottenuta la libertà nel 1987, lascia Mosca per raggiungere Israele. “Sono ottimista: pensavo che non sarei più potuto tornare a riabbracciare i miei genitori, ma dopo pochi anni tutto è cambiato in Unione Sovietica”. Al Habash commosso racconta del villaggio dei suoi genitori, abbandonato nel ’48 divenuto la Askalon ebraica, e visto per la prima  volta insieme al padre. “Mi mostrava gli alberi, le case, i luoghi in cui giocava e la tomba di mio nonno. Ma pur tenendo conto della storia dei nostri padri, dobbiamo lavorare per il futuro, per i nostri figli e per i figli degli israeliani”.