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Francesca Zuccari

Gemeinschaft Sant’Egidio, Italien
 biografie

Viviamo in un tempo difficile. Molta gente soffre nei paesi ricchi a causa della crisi economica che non accenna a passare: nel Sud del mondo intere regioni sprofondano nella miseria come il Corno d’Africa afflitto da una gravissima carestia. I poveri crescono ma insieme cresce l’imbarazzo e il fastidio verso di loro. Sono troppi, è troppo complicato trovare una soluzione ai loro problemi. Cresce in tutto il mondo la diseguaglianza e con essa una sorta di apartheid tra ricchi e poveri: in tutte le grandi città i mendicanti vengono cacciati dalle vie centrali anche, ed è paradossale, nelle città africane. E’ meglio non vederli, non incontrarli, la cosa migliore sarebbe ignorarli.
Spesso proprio i poveri divengono il bersaglio dell’insicurezza diffusa, quasi fossero loro la causa dei mali delle nostre città. Tanto che sembra inevitabile difendersi dalla loro presenza, dalle loro richieste piuttosto che difenderli, come sarebbe doveroso, dalle avversità della vita.
In un libro uscito in Italia qualche tempo fa dal titolo significativo “La morte del prossimo” l’autore mette in luce che questa nostra società, sempre più individualistica e tecnologica, crea distanza tra gli uomini, allontana il vicino e lo rende estraneo: questa estraneità è la morte della pietà e dell’umanità stessa.
Dall’altra parte la crisi economica ha incrementato una mentalità materialistica per cui ha valore solo quello che si compra e che si vende: gli spazi del gratuito (la famiglia, l’amicizia, la solidarietà) sono corrosi e assediati.  Sembra esserci sempre meno tempo per gli altri perché bisogna lavorare molto per garantirsi il futuro: così il servizio gratuito ai poveri diventa uno spazio residuale nella vita di pochi.
Tempi difficili per la solidarietà, tempi difficili per i poveri: “tempi cattivi” direbbe l’Apostolo Paolo raccomandando ai cristiani di vigilare. Ma proprio questi tempi non rappresentano una grande sfida per i credenti? Una società che allontana i poveri e li disprezza è una società che allontana e disprezza la presenza di Dio nella storia. Infatti nel cuore della fede, di tutte le fedi religiose c’è un legame profondo con i poveri. Il povero è l’altro, è l’uomo spogliato di tutto è l’essenza dell’umano nella sua debolezza e insieme è immagine di Dio.
 In questi “tempi cattivi” noi credenti abbiamo la responsabilità di rimettere i poveri e i loro problemi al centro dell’attenzione generale; di più, abbiamo la responsabilità di dire la bellezza umana dell’amicizia con loro. Non possiamo accettare che il valore, la bellezza della solidarietà sia marginalizzata: la vicinanza ai poveri non deve essere ridotta ad un aspetto secondario nella vita del credente, una tendenza privata dei più generosi.
C’è un carisma affidato ai credenti che è la costruzione di un sentire umanistico, di un pensiero sull’uomo e sul suo futuro. La solidarietà verso i più deboli, la carità nei suoi tanti aspetti ha infatti umanizzato nei secoli società imbarbarite: pensiamo a cosa a voluto dire il monachesimo di San Benedetto o il movimento francescano. Nei momenti bui della storia il legame con i poveri ha rappresentato una salvaguardia della cultura dell’umano.
E ancora chi sono stati attraverso i secoli i fedeli difensori dei poveri se non i credenti? Il novecento ha segnato la caduta delle ideologie che proclamavano la liberazione degli oppressi: chi è rimasto accanto ai poveri in tanti angoli del mondo spesso dimenticati? Uomini e donne di fede e di preghiera come tanti missionari che si incontrano nelle regioni sperdute dell’Africa a curare i malati, in luoghi dove non è più rimasto nessuno. Storie straordinarie spesso poco conosciute di amore, dedizione e fedeltà pagate a volte con la vita. Tra i cristiani di tutte le confessioni, sono tanti i martiri della carità che hanno lasciato un’eredità preziosa alla storia di questo nostro mondo aprendo squarci di umanità con l’offerta totale di se stessi per amore dei poveri: penso ad Annalena Tonelli, a Suor Leonella Sgorbati in Somalia, alle Poverelle di Bergamo in Congo. Tanti se ne potrebbero citare ancora.
L’amicizia con i poveri è il cuore del cristianesimo. L’incontro con il povero, imparare il suo nome, conoscere e commuoversi per la sua storia è un fatto umano e sociale, ma insieme è anche una realtà mistica e spirituale. Joseph Ratzinger in un piccolo libro Fraternità Cristiana che ci fu utile nei primi anni della nostra comunità scriveva: “Prossimo è anzitutto il bisognoso che incontro, perché egli è semplicemente come tale, un fratello del maestro che mi diventa presente nei più piccoli tra gli uomini”. I poveri non sono esterni alla Chiesa ma ne sono parte integrante, sono nostri fratelli, addirittura ci precederanno nel Regno dei cieli indipendentemente dalle loro qualità morali o dalla loro gratitudine.
Ma come parlare di esperienza spirituale quando si tratta di dare un aiuto concreto? I poveri sono stati e sono la scuola spirituale della Comunità di Sant’Egidio: nata in ambiente borghese la comunità attraverso i poveri è diventata esperienza universale, esperta del patire e della misericordia. Per questo siamo grati ai poveri perché la concretezza del rapporto con loro ha difeso la Comunità dalle semplificazioni, dalle ideologie, ci ha fatto superare l’assistenzialismo e ci ha fatto scoprire i poveri come fratelli e come parenti. Un’alleanza che è il nome di Sant’Egidio, parte della nostra identità.
Certo l’amore per i poveri non è un fatto naturale: è prima di tutto, come dice Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est, un amore comandato. I poveri infatti all’inizio non attraggono: ma nel tempo, con la fedeltà, pian piano, si scopre la bellezza di questo amore gratuito e la bellezza del povero. C’è una bellezza umana e divina nei poveri. C’è una umanità da scoprire in loro perché non sono un caso sociale o una categoria sociologica. Sono uomini e donne concreti con la loro storia, la loro dignità e profondità da scoprire sotto i tratti a volte sfigurati dalla fatica di vivere e come tali hanno bisogno di amicizia di parlare, di essere chiamati per nome.
La loro presenza è misteriosamente e umanamente potente: cambia più di un discorso. Insegna il valore della fedeltà, aiuta a conoscere la fragilità della vita, spinge a pregare e a capire l’insistenza della preghiera.
Insomma amando i poveri si riceve il centuplo. Si scopre, da persone banali e comuni quali siamo, che possiamo essere decisivi per favorire resurrezioni vere e proprie. Si scopre l’efficacia dell’amore. Si vedono i miracoli dell’amore di Dio che si esprime anche  attraverso di noi. Si rende visibile la potenza di Dio che fa sì che non ci sia nessuno così povero da non poter aiutare un altro più povero di lui. Senza i poveri la nostra vita, lo dico per me personalmente, e quella della Chiesa rischiano di essere menomate. Per questo non c’è nel mondo, in più di settanta paesi, ormai in tutte le lingue e culture una Comunità di Sant’Egidio senza essere amica dei poveri. Dal rapporto personale con un povero concreto, e si comincia sempre così, Sant’Egidio ha scoperto la sofferenza di interi mondi di poveri ne ha assunto i dolori come fossero i propri perché siamo con i poveri parte della stessa famiglia. A partire dai poveri la comunità ha iniziato a lavorare e lotta quotidianamente in tante situazioni per la pace, perché la guerra è la madre di tutte le povertà.
Amare i poveri diventa anche un offerta culturale in tempi di sbandamento e spaesamento nel grande mondo della globalizzazione. Propone la gratuità, il non vivere solo per se stessi e la bellezza del vivere insieme in un mondo che si sente assediato dagli altri, anche in un’Europa che sembra perdere gli anticorpi verso l’antisemitisno, l’antigitanismo, l’intolleranza verso chi è diverso. Non come una ricetta ingenua e sdolcinata, irenica in un mondo che va da tutta altra parte, ma proprio come una proposta di liberazione dalla paura, e capacità creativa di rifondare la convivenza umana.
E’ la proposta per tutti di un amore senza calcolo e senza obbligo di reciprocità, che non si delude mai e tutto spera, tutto giustifica, tutto crede. Questo amore è l’unico vero antidoto ad un mondo governato dal mercato, dalla convenienza individuale o di gruppo.  In sintesi è una buona notizia anche per il mondo. La buona notizia dell’amore di Dio, amore gratuito che non giudica e libera dal male.
Allora i poveri sono un segno dei tempi che fa maturare una visione del futuro. Noi viviamo in una società che non vede futuro, schiacciata sul presente e per questo senza speranza. Chi sta vicino ai poveri non può accettare rassegnatamente il presente. Qualcosa deve cambiare perché c’è troppa sofferenza. Ma cosa può fare ciascuno di noi con la sua povera fede? E’ nota la frase della Mishna ebraica codificata da Maimonide: “ Chi salva un uomo salva il mondo intero”. Ma anche nel Corano si trova scritto “ Chiunque avrà vivificato una persona sarà come avesse dato vita all’umanità intera”. Per i cristiani, per i credenti, il valore di una vita non è un valore economico, anche una sola vita vale una lotta e la lotta per una sola vita travalica i confini di quell’esistenza.
Chi ama i poveri non può cedere al pessimismo: perché i poveri stessi in un mondo senza visioni sono maestri di speranza. I poveri devono tornare ad essere i protagonisti della storia: ci aiuteranno così a sognare e a costruire un futuro migliore per noi e per loro. L’amore per i poveri infatti muove l’intelligenza a cercare le vie del possibile e il cuore a non rassegnarsi mai alla violenza.
Allora in questo tempo di crisi i credenti hanno la grande responsabilità ma anche la grande grazia davanti alla storia di farsi voce dei poveri, prendere sul serio il loro dolore e la loro speranza e riaprire il futuro alla speranza, perché proprio a partire dai poveri si può cambiare il mondo e avvicinare l’uomo a Dio.