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Jean-Arnold de Clermont

Pastor of the Reformed Church, France
 biography

Il tema e il titolo di questa tavola rotonda erano stati scelti ben prima del dramma di Oslo, che noi abbiamo tutti nella memoria. Ma come non ricordarlo ancora, come immagine che fa da sfondo ai nostri dibattiti: perche la protesta paranoica dell’assassino di Oslo consisteva esattamente nel rifiutare ciò che oggi, in tutti i nostri paesi, ci destina a vivere insieme, autoctoni e alloctoni, cittadini di lunga data e di piu recente acquisizione.  E l’obiettivo stesso di questa tavola rotonda, secondo me,   è discernere quello che costituisce il motore o, se preferite, il cuore del nostro “convivere”.

Il mondo tal qual’è...
Prima di tutto dobbiamo guardare al mondo per quello che è; sarebbe a dire, per quel che concerne l’emigrazione, un mondo che conta più di duecento milioni di migranti – l’equivalente della popolazione del Brasile – il 3 % della popolazione mondiale – di cui il 50 % donne – e non più di un terzo dal sud verso il nord. Noi ne conosciamo le cause: i disordini politici e climatici, le guerre e la fame, la volontà di vivere meglio o molto semplicemente di vivere (tout court), la volontà di acquisire una formazione e una cultura; più globalmente, la ricerca di un avvenire migliore per se e per la propria famiglia.
In ogni caso, le migrazioni sono insite nel progetto stesso del mondo così come noi abbiamo cominciato a concepirlo in Europa. Uno dei fondamenti del nostro “convivere” europeo è la libertà di circolazione delle persone e dei beni. Si profila qui una certa visione del mondo europeo; un mondo aperto agli scambi economici e all’incontro delle culture; ma soprattutto un mondo fondato sulla fiducia in ogni paese e cultura per incontrare gli altri senza temere di perdere la propria identità.
Da qui la mia prima domanda: quello a cui aspiriamo per l’Europa non lo desideriamo noi per il mondo intero?

Un mondo che bisogna ancora costruire
Eppure molto resta ancora da costruire, tanto in Europa che nel mondo, per rispondere alle esigenze della solidarietà. La priorità è lo sviluppo dei paesi d’origine per evitare le migrazioni per necessità. Questo chiama ad un’altra politica di cooperazione fra i paesi del Nord e quelli del Sud, a rapporti politici diversi da quelli che spesso esistono, per esempio, tra la Francia e le sue ex-colonie, una volontà internazionale di rispondere alle sfide dello squilibrio economico mondiale... Questa è la condizione prima senza la quale la nostra politica riguardo le migrazioni non potrà essere presa sul serio.
Parallelamente c’è una vera e propria politica d`accoglienza dei migranti da mettere in atto, valorizzando il loro ingresso come fattore di sviluppo tanto dei paesi d`origine che dei paesi ospitanti. Bisogna orientarsi verso dei veri e propri accordi di partenariato con i principali paesi d`origine dei migranti. Perchè, lo sappiamo, i migranti giocano un ruolo determinante nella promozione dello sviluppo e nella lotta alla povertà nel loro paese d`origine, così come contribuiscono alla prosperità dei paesi che li ospitano. Bisogna rendersi conto di questo, farlo sapere, e farne derivare una vera e propria politica delle migrazioni. E se lo facciamo, contribuiremo senza dubbio a ridurre il peso delle migrazioni| cosiddette “irregolari”.
Al cuore di questa nuova politica di accoglienza bisogna mettere il rispetto dei diritti umani. Nessuna ragione, neanche quella della difesa degli interessi nazionali, può giustificare l`omissione di questo rispetto elementare. Il diritto all`istruzione, alla salute, alla giustizia... Quando questi diritti sono irrisi dobbiamo dire no. E` il non rispetto di questi diritti che rappresenta la vera grande minaccia alla pace sociale e alla sicurezza. Noi sappiamo che isolare popolazioni numerose in zone di non – diritto è un fattore evidente di esplosione sociale e di sviluppo dell`insicurezza, sono situazioni in cui non restano più altri mezzi di sussistenza che l`illegalità, la violenza e la droga.
Da qui la mia seconda domanda: quali sforzi siamo disposti a fare perchè la politica dei nostri paesi verso i migranti non sia principalmente una politica di sicurezza?

Un mondo voluto da Dio...
Ma c`è una ragione che, per me, prevale su tutte le altre quando parlo del nostro destino al convivere, ed è l`orizzonte che la Parola di Dio mi svela. Egli ci ha tutti destinati ad avere Abramo per padre, per essere dopo di lui liberati da ogni schiavitù e benedetti di ogni benedizione. In Cristo noi siamo chiamati a riconoscerci fratelli e sorelle in umanità, e a guardare il mondo e le nazioni come esistenti a beneficio della salvezza. Secondo il profeta Isaia: "Il popolo che era nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che erano in terra tenebrosa, nell`ombra di morte, una luce si è levata. Allora Gesù cominciò a proclamare: Cambiate radicalmente, il regno dei cieli è vicno!" . Questo cambiamento radicale al quale il Cristo ci chiama consiste nell`appropriarci di questa promessa del profeta che si realizza nella sua persona; non temere più il futuro ma vivere nella certezza che il mondo nuovo inaugurato da Gesù ha bisogno della nostra attiva partecipazione. Così io ricevo da lui un mondo fraterno e solidale del quale egli mi chiama a dare dei segni giorno dopo giorno... dare dei segni che il nostro destino, fondato in lui, è vivere insieme.
Da qui la mia terza domanda: quale visione di un mondo solidale noi siamo pronti a proporre e difendere nei nostri paesi segnati dal ritorno dei nazionalismi?