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Juergen Linden

President of the International Charlemagne Awards Foundation, Germany
 biography

Aachen è una normalissima città tedesca ed europea: poco meno di 300.000 abitanti; ci sono 40.000 studenti, la quota degli stranieri è del 13%, provenienti complessivamente da 170 paesi. Il gruppo di stranieri più consistente è rappresentato dai turchi. Abbiamo industrie, molto commercio e servizi, buone università ed istituti di istruzione. Le industrie più presenti sono quelle automobilistiche, meccaniche e chimiche. Abbiamo tuttavia anche quasi il 9% di disoccupazione.

Vent’anni fa nessuno conosceva il termine “globalizzazione”. Ormai, da tempo la globalizzazione è giunta fino a noi.

Innanzitutto da noi, come ovunque, il mondo è diventato più colorato e stratificato; la quota di persone provenienti dall’immigrazione – dato che non viene rilevato - ammonta ad almeno un quarto della popolazione complessiva.

Oltre a ditte europee abbiamo, qui da noi, ditte cinesi, indiane e con altre origini asiatiche, mentre le ditte di Aachen hanno sedi negli USA, in America Latina ed in Asia.
Le vetrine degli esercizi commerciali sono piene di prodotti di tutto il mondo.
Le università e gli istituti di istruzione superiore hanno sedi in Tailandia ed in Oman, fanno gemellaggi in più di 60 paesi e, ovviamente, hanno scienziati che si spostano, insegnano e fanno ricerca. La città, come anche la regione, lottano per assicurarsi sedi di enti ed imprese, posti di lavoro, grandi eventi, grandi cervelli, nicchie in ambito culturale, nello sport e nell’istruzione.

La macroregione è in concorrenza con altre regioni, le contrapposizioni sono state acuite dalla globalizzazione.

Noi sappiamo che oggi l’Europa assume un ruolo diverso nel mondo, rispetto a quello che aveva quando ero bambino io. Soprattutto nel mondo asiatico, e soprattutto tra i giovani, vi è una incredibile sete di successo, molta ambizione, voglia di realizzare obiettivi dinamici. Viene avvertito il desiderio di avere più libertà e più benessere, e si lavora molto per ottenerli.

La nostra città è di media grandezza, ma sappiamo anche che vi sono altri posti dove, a differenza di noi, vivono molte più persone.

La globalizzazione è arrivata in ogni angolo del mondo, e non è più reversibile.

Questo fatto, tuttavia, è causa di divisione tra la popolazione. Una parte vorrebbe tornare indietro, per avere nuovamente la nazione come punto di riferimento; vorrebbe rinchiudersi nel suo ambito locale o regionale, per isolarsi da tutto ciò che è estraneo. Le persone che vi aderiscono pensano di poter chiudere le frontiere, tenere distanti le persone ed evitare scambi commerciali. Costoro sono appoggiati da una particolare corrente di opinione in ambito intereuropeo, che identifica la crisi finanziaria dell’Unione con la globalizzazione, considerata una strada sbagliata. Parimenti, nella tendenza all’urbanizzazione dell’Europa viene vista una minaccia alle città di piccola e media dimensione, agli ambiti rurali.

A costoro si contrappone tuttavia un altro grande gruppo di persone, che ha individuato nelle sfide connesse alla globalizzazione grandi opportunità per il futuro, anche per la nostra città: gente che fa affari, persone che arricchiscono la cultura.

Da un punto di vista emotivo, questa contrapposizione pone seri problemi.
Da un punto di vista logico, non vi è alternativa alla globalizzazione.

Dal mio punto di vista, ciò che è decisivo è la qualità della vita delle persone. Nel momento attuale, il punto cruciale è la questione sociale.

L’integrazione è la parola chiave degli ultimi 5/6 anni. Nelle nostre città facciamo parecchio in questa direzione. Il successo ottenuto, tuttavia, si può misurare soltanto a piccoli passi. Perciò questo tema deve essere considerato prioritario.

Tra i disoccupati gli stranieri sono nettamente soprarappresentati. Altrettanto avviene per i sottoccupati. Tra chi usufruisce di trasferimenti o altre prestazioni sociali la quota degli stranieri è di quasi 1/3 del totale. Nell’istruzione superiore la quota dei figli degli immigrati è ben al di sotto del 10%. Persino nella scuola materna e nell’asilo nido la percentuale dei figli degli immigrati è minore della percentuale dei bambini stranieri presenti sul territorio rispetto alla popolazione infantile totale.

Se consideriamo che l’istruzione è la chiave della soluzione, è da essa che bisogna iniziare.

L’istruzione è la premessa affinché le imprese siano concorrenziali, la scienza abbia standard internazionali e una città o una regione abbia condizioni di base che la rendano competitiva rispetto ad altre.

Un programma formativo che coinvolga i bambini già da piccoli, una buona qualità pedagogica negli asili dell’infanzia e, nelle scuole, misure per alunni con particolari esigenze, sono necessità che già oggi vengono avvertite dalla politica e messe in pratica. Tuttavia, probabilmente dovrà passare una generazione prima che se ne vedano i risultati.

Oltre a tutto ciò abbiamo bisogno di solidarietà. La solidarietà è più che una filosofia di vita. E’ un investimento per il futuro. Infatti, la giustizia sociale è la condizione basilare affinché possiamo avvicinarci all’ideale della pace e della libertà nel mondo, e affinché sia garantita la dignità degli esseri umani, nel mondo e anche da noi.
Un progetto di questo tipo forse è una novità per la politica. E’ tuttavia necessario che essa venga coinvolta, e che si stipulino convenzioni con essa, soprattutto in fase di realizzazione. Il progetto necessita però anche che persone provenienti da situazioni professionali e sociali diverse ne siano convinte, e necessita anche un po’ di passione. Abbiamo bisogno di idealismo, per dirla semplicemente. Per quanto, per molti, questa parola possa suonare come qualcosa di illusorio e teorico, è sicuramente necessario.