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Munib Younan

Presidente de la Federación Luterana Mundial
 biografía

E’ interessante che 500 anni fa, Martin Lutero non solo collegava il “Pane” con tutte le necessità fisiche della vita, ma anche al buon governo, al buon tempo, alla pace. Quali sono gli ostacoli alla pienezza della vita – per metterla in termini negativi, quali sono i fattori che contribuiscono alla povertà e alla fame nel mondo?
Secondo Bread for the World, una delle molte organizzazioni che lavorano per combattere la fame nel mondo, “La fame è una condizione politica …. La fame esiste non perché il mondo non produca abbastanza cibo. Disponiamo di conoscenze e tecnologia per superare il problema. La sfida non  è la produzione di cibo e ricchezza, ma una loro più equa distribuzione.”
Come diceva Gandhi: “ Su questo pianeta c’è a sufficienza per i bisogni di tutti, ma non per  l’ingordigia di tutti”
Sotto un profilo storico, osserviamo che i paesi oggi più poveri furono un tempo vassalli dei grandi poteri coloniali del XIX e XX secolo. Anche quando abbandonarono le colonie, gli imperi coloniali lo fecero in modo da avvantaggiarsi, lasciando i paesi che erano appena diventati indipendenti senza risorse e strutture, in conflitto con i loro vicini per porti e confini. C’erano problemi di infrastrutture e ostacoli alla distribuzione.

Una specie di colonialismo “invisibile” continua sotto la forma delle regole del commercio globale che avvantaggiano gli agricoltori dei paesi ricchi, come avviene in USA ed Europa con generosi sussidi. Di conseguenza, i paesi poveri non riescono a rompere i vincoli del modello economico coloniale, che dipende in gran parte sull’esportazione di risorse naturali.

Debito

Sia per volontà sia per caso, le istituzioni finanziarie globali mantengono i paesi poveri chiusi in un inevitabile circolo di indebitamento. Istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, create dichiaratamente per promuovere la stabilità macroeconomica, impongono ai paesi  debitori condizioni che impediscono a quelli  più poveri di fornire servizi di istruzione, sanitari, reti di protezione sociale e opportunità di lavoro- le condizioni necessarie affinché questi paesi possano ripagare i loro debiti e diventare autosufficienti.
I livelli insostenibili del debito, uniti alla corruzione, a democrazie deboli e a politiche clientelari, impediscono la distribuzione di aiuti e gli investimenti delle imprese, rendendo impossibile sfuggire alla povertà.

Militarizzazione

Il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite stima che I bisogni fondamentali di salute e cibo dei popoli più poveri potrebbero essere soddisfatti con 13 miliardi di dollari in più l’anno. Dal 2001, gli USA hanno speso 1242 mila miliardi di dollari per le guerre in Iraq e Afghanistan.  Questo equivale in media a 10 miliardi di dollari al mese da una sola nazione per un periodo di 10 anni. In un mondo che reclama aratri, i poteri globali costruiscono spade. L’industria del commercio di armi tocca ogni paese del globo. Sembra che non ci sarà mai fine alla guerra e sono i  poveri che soffrono quando le risorse dei loro paesi sono distolte da bisogni sociali, istruzione e infrastrutture. A causa delle guerre continua a salire il numero dei rifugiati, dei migranti all’esterno e all’interno dei paesi. Per me le armi costruiscono conflitti e uccidono la vita, mentre l’istruzione costruisce la vita.

Cambiamento climatico
I paesi poveri non possono permettersi il lusso di discutere della realtà del cambiamento climatico. Ne stanno già soffrendo le conseguenze. Una dichiarazione Oxfam afferma che “centinaia di milioni di persone stanno già risentendo di un rapido cambiamento climatico, che sta frustrando i loro sforzi di sfuggire la povertà”
In altre parole, i paesi più poveri soffrono l’impatto maggiore del cambiamento climatico mentre sono quelli che lo provocano meno. Le ricerche dell’ International Institute for Environment and Development mostrano che I 100 paesi più vulnerabili al cambiamento climatico producono solo il 3.2 % delle emission di monossido di carbonio – molti di loro sono nel Sud. Il Dr. Per Prestrud, direttore del Center for Climate and Environmental Research a Oslo, ha detto che l’ondata di calore del 2003 in Europa ha determinato una caduta nella produzione di cibo del 20-25% e che la produttività della vegetazione naturale è caduta del 30% in una sola estate.
 Il cambiamento climatico, in un certo senso, è anche una questione di genere. Il rapporto 2007 di UN Human Development Report prevede che il cambiamento climatico “accrescerà le attuali diseguaglianze di genere” Le donne sono molto più toccate dai problemi di accesso all’acqua, al riscaldamento ,alle medicine ai mezzi di sussistenza.

Una recente pubblicazione del Mission and Development
Program della Federazione Luterano Mondiale ha citato il premio Nobel per la pace del 2004  Wangari Maathai su questo tema: “il cambiamento climatico è più duro per le donne dei paesi poveri, dove le madri vivono in aree colpite da siccità, deforestazione o crollo dei raccolti, mentre gli uomini si spostano verso pascoli più verdi ….Molte attività che distruggono l’ambiente colpiscono in modo molto più consistente le donne, perché gran parte delle donne del mondo e soprattutto dei paesi poveri dipendono molto dalle risorse primarie naturali: terra, foreste e acqua. Le donne sono toccate molto da vicino e di solito donne e bambini non posso fuggire”
Tutti questi fattori svolgono un ruolo importante nel perpetuare la povertà nel modo di oggi.


Unità dei Cristiani

Qual è il ruolo del Cristianesimo? Il titolo di questo intervento che mi è stato assegnato non è solo “Amore per i poveri”, ma “Unità dei Cristiani: Amore per i poveri”. La Chiesa deve assumere la responsabilità per il perpetuarsi di povertà e fame nel mondo di oggi. E’ vero, noi abbiamo sempre predicato l’amore per i poveri, ma  spesso siamo stati inefficaci e a volte siamo stati parte del problema e non la soluzione. La Chiesa ha bisogno di pentirsi dei peccati di omissione e azione e deve fissare una strategia che assegni priorità ad alleviare e sradicare la povertà dal mondo. Non è questo quello che Gesù diceva insegnandoci a pregare: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano?”
In primo luogo la chiesa deve avere un ruolo profetico nell’affrontare le questioni politiche di oggi che toccano i poveri del mondo. I profeti dell’ Antico Testamento furono sempre i difensori dei poveri, delle vedove, degli orfano, dando voce ai senza voce e sfidando l’ingiustizia della società. Nelle chiese di oggi non dobbiamo essere da meno. La diaconia profetica “non è mai solo a parole, ma è fatta di azioni che cercano il modo con cui la trasformazione può avere luogo.”
L’arcivescovo di El Salvador, Oscar Romero si concentrava su questo in un sermone qualche mese prima del suo assassinio nel marzo 1980: la Chiesa è obbligata dalla sua missione evangelica a chiedere cambiamenti strutturali che favoriscano il regno di Dio e un modo di vivere più giusto e fraterno. Strutture sociali ingiuste sono le radici di ogni violenza e disordine. Come sono difficili e di opposizione i risultati del dovere evangelico! Coloro che traggono beneficio da strutture obsolete reagiscono in modo egoista ad ogni tipo di cambiamento.
Per Romero e altri, evangelizzare non è alternativo a lavorare per la giustizia. Il 16  maggio di quest’anno, papa Benedetto XVI ha lanciato un appello ad “evangelizzare la società per una globalizzazione per il bene comune”, in un discorso al Pontificio Concilio Iustitia et Pax, in occasione della commemorazione del 50mo anniversario dell’enciclica Mater et Magistra di papa Giovanni XXIII: Caritas in Veritate, un documento che affronta gli squilibri e le ingiustizie del nostro mondo Secondo, la chiesa deve superare la pratica dell’elemosina, che si fonda sull’idea di  pietà per il povero e che appaga i buoni sentimenti del donatore. Rispettando il credo fondamentale che l’immagine di Dio è in ogni uomo,  la chiesa deve considerare il povero con dignità e non creare dipendenze. L’attenzione è sulla condivisione delle risorse e sulla creazione di reti che mostrino che siamo tutti interdipendenti. Questo si accorda con un antico proverbio cinese per cui è meglio insegnare ad una persona a pescare piuttosto che dargli un pesce da mangiare.
Terzo, il fine della diaconia deve essere l’autodeterminazione e la giustizia. Si scrive nel  documento della Federazione Luterana Mondiale “Diaconia in contesto: trasformazione, riconciliazione e autodeterminazione”: occorre ricordare che autodeterminazione implica sempre uno spostamento di potere, ossia che gli squilibri di potere siano affrontati in modo critico. La diaconia deve sempre sollevare questo problema, non solo nella società e nelle relazioni tra chi aiuta e chi riceve l’aiuto, ma anche con riferimento alla prassi diaconale e a come il potere viene costituito e vissuto nella vita della chiesa.
Troopo spesso la questione del potere è messa sotto silenzio nella chiesa: in alcuni casi viene anche travestita nel linguaggio del servizio.
L’acquisizione di autonomia (Empowerment) trasforma gli individui e attraverso loro trasforma le società. Gli individui vengono resi capaci di coltivare i loro campi, di far avanzare le loro economie locali e di governare le loro istituzioni e di acquisire le capacità per costruire una società civile forte. A loro volta, essi riescono a rendere capaci di autonomia  altri, in uno spirito di accompagnamento.
Quarto, la chiesa deve separare il lavoro diaconale da idee più vecchie di conversione. Parte del nostro rispetto per la dignità degli altri deve includere il rispetto per il loro credo religioso. Uno dei miei primi compiti dopo la nomina come Presidente della Federazione Luterana Mondiale fu di fare una dichiarazione pubblica relativamente al Pakistan, che ha sofferto per la terribile inondazione dell’estate scorsa – oltre ad aver recentemente subito terremoti e conflitti politici. Scrissi, “L’inondazione non fa differenze di tipo etnico, politico o religioso; neppure noi dobbiamo farne. Questo è il tempo di restare uniti dietro la nostra comune umanità”.
A seguito del terremoto indiano del 26 dicembre 2004, che produsse un enorme tsunami di morte e distruzione, nessuno di noi della chiesa luterana pensò due volte quale sarebbe stata la nostra risposta. In luoghi come l’Indonesia, la gente cominciò a chiedere “Perché ci state aiutando?” La risposta ovviamente fu quella che essi sono figli di Dio, con cui condividiamo una comune natura umana. Come potevano non aiutare questi fratelli e sorelle nel bisogno? E non ci aspettavamo nulla in cambio. Questo è stato il nostro approccio in tutto il mondo.
Quinto, la chiesa ha bisogno di lavorare di più su un modello di comunione che non sia sempre quello del nord che aiuta il sud, ma quello del nord e del sud che si accompagnano l’un l’altro e del sud che accompagna il sud.
Sesto, la chiesa e le istituzioni ad essa legate devono passare dalla concorrenza alla cooperazione. Per molti anni le buone intenzioni di molte chiese sono state meno efficaci per mancanza di cooperazione reciproca. Qualche decennio fa, quando si trattava di questioni di povertà e fame, molte chiese ed istituzioni si basavano esclusivamente sui propri programmi di raccolta fondi, sulle proprie reti di comunicazione e sui propri sistemi di distribuzione di aiuti e sul proprio personale missionari. Non c’era una strategia unica e il risultato era spesso concorrenza e duplicazione. Io faccio appello ai leaders di tutte le chiese e delle agenzie collegate alle chiese perché si uniscano in una comune strategia e in uno sforzo cooperativo per far fronte ai problemi della povertà. Questa è la cartina al tornasole del nostro ecumenismo: siamo capaci di unire le nostre forze in una diaconia profetica che realizzi la trasformazione?
Posso riferire di passi avanti positivi in questo senso e vi porto l’esempio dell’Unione ACT. L’Unione ACT, creata il 1 gennaio 2010, raccoglie 111 chiese e istituzioni ad esse collegate (chiese membri della federazione luterana mondiale e del consiglio mondiale delle chiese) che lavorano insieme nell’assistenza umanitaria, nel sostegno e nello sviluppo. Essa è uno sviluppo naturale dell’organizzazione  ACT International che lavora in questi campi dal 1995. 
L’unione lavora in 140 paesi e raccoglie 1.6 miliardi di dollari l’anno nel suo lavoro per un mondo giusto. Per essa lavorano più di 33.000 persone nel mondo, con un Segretariato di 18 persone a Ginevra. Gran parte del lavoro è sviluppo a lungo termine, ma l’unione ACT è pronta anche per operazioni di emergenza. La sua pagina web si concentra attualmente su tre questioni: la Colombia, in sud America, colpita da inondazioni e guerra; lo Sri Lanka con gli aiuti per inondazioni peggiori di uno tsunami; la carestia del corno d’Africa (www.ACTAlliance.org)
L’unione ACT è riuscita ad agire velocemente ed efficacemente con una strategia unica che incanala le risorse di 111 chiese in uno sforzo congiunto. Questo è un passo gigantesco nella direzione di uno sforzo cristiano completamente congiunto per non dire interreligioso, necessario per combattere la povertà del mondo di oggi. Cosa potrebbe avvenire se tutte le chiese e le loro agenzie fossero in grado di cooperare in questo modo per il bene dei poveri?
La nostra responsabilità è grande. Martin Luther King diceva: finchè ci sarà povertà nel mondo io non potrò mai essere ricco, anche se possedessi un miliardo di dollari. Finchè milioni di persone saranno afflitte da malattie debilitanti e non avranno un speranza di vita superiore ai 35 anni, io non potrò mai godere davvero di buona salute, anche se avessi una dichiarazione di salute perfetta dalla Clinica Mayo. E’ strano, non potrò mai essere quello che dovrei essere finché tu non sarai quello che dovresti essere”
Siamo tutti legati insieme in un mondo di povertà e fame. Quando preghiamo Dio per il pane quotidiano, preghiamo in memoria di tutti coloro che hanno bisogno. Quando preghiamo siamo costretti poi ad agire.
Ora et labora.

Dio vi benedica .