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Andrea Riccardi

Storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio
 biografia

Andrea Riccardi: globalizzazione della giustizia

Signor Presidente della Repubblica Federale,
Illustri Esponenti delle Chiese cristiane e delle grandi Religioni mondiali,
Eminenza Card. Marx,
Illustri Ospiti,
Cari amici,
vi ringrazio per la partecipazione a questo Incontro. Sono grato al Signor Presidente della Repubblica Federale che ci onora con la sua presenza e la sua parola.
Nel commovente collegamento con New York abbiamo ricordato l’11 settembre. Abbiamo rivissuto quella tragedia, ma anche la compassione globale di quei momenti. Qualcuno disse: “siamo tutti americani”. Ci fu un’immensa simpatia per gli americani che soffrivano: una giornata di globalizzazione spirituale.
L’11 settembre 2001 apriva in modo tragico il XXI secolo.
Vedemmo con chiarezza come il terrorismo é la più sporca forma di violenza. Quel tragico evento fu letto da molti, però, come conferma di un’interpretazione della storia: la realtà era un conflitto permanente tra civiltà e religioni, in particolare tra islam e Occidente. Così si sostenne. Si è sviluppata, in questi dieci anni, una cultura generalizzata del conflitto.
Nel quadro di questa cultura, il dialogo è apparso una pericolosa ingenuità. Si è invece riabilitata la guerra come strumento per affermare il diritto, difendersi, lottare contro il terrorismo. Già c’erano vari conflitti aperti, come tra palestinesi e israeliani (ferita che fa soffrire da più di sessant’anni due popoli e il Medio Oriente). Il terrorismo ha fatto sentire la sua mano vile tante volte nei dieci anni passati. Si è generalizzata una cultura del conflitto, quasi risposta naturale a un mondo considerato in preda agli scontri di civiltà.
E’ stata smentita la speranza di pace, consacrata dagli eventi dell’89 in Europa. L’89 fu la vittoria pacifica e non violenta della forza della libertà: penso alla riunificazione della Germania, alla liberazione della Polonia e dell’Est. Sul finire del sanguinoso Novecento il mondo, stanco dell’equilibrio del terrore, sembrava avviato a un ordine di pace. In Africa, America Latina, Asia erano avvenute pacificamente transizioni alla democrazia. Nel 1986, Giovanni Paolo II, ancora durante la guerra fredda, convocò leader religiosi ad Assisi per pregare per la pace, insistendo sul legame tra le religioni e la costruzione della pace.
Dopo l’11 settembre molti plaudirono al conflitto. Non spiaceva ai terroristi. Ben Laden, in un messaggio minaccioso, diceva: “loro vogliono il dialogo, noi la morte”. La cultura del conflitto esprimeva le paure e le angosce di un mondo globalizzato, spaesato, minacciato da varie parti: sembrava proteggere. Lo spirito d’Assisi sembrò un’utopia.
Non c’è bisogno di insistere sui risultati politici dell’investimento sulla forza. Tra Afghanistan, Iraq e Pakistan giacciono sul campo 130.000 civili morti e varie migliaia di militari. E’ un fatto che lo spirito di diffidenza e antagonismo è cresciuto tra i popoli mentre gli scambi e i mercati si globalizzavano. Ma non cresceva il senso globale di comune appartenenza alla famiglia umana. Strano: il mondo globale è tanto frammentato, senza coscienza globale. Anzi si sono sviluppati pericolosi fondamentalismi religiosi ed etnici.
Con la grave crisi economica in corso, è cresciuto un sentimento impellente e primordiale: bisogna pensare a sé e diffidare dell’altro! Siamo diventati più concentrati su di noi e sui nostri problemi, più indifferenti al mondo. Invece la vita di paesi lontani ci insegna molto. Siamo a sei mesi dal terribile cataclisma in Giappone: vorrei dire la nostra stima e ammirazione per i nostri amici giapponesi che ci hanno toccato con il loro comportamento coraggioso.
Dopo l’89 che aveva esaltato il coraggio della libertà, è venuta poi a mancare la libertà dalla paura, dal terrorismo, dalla violenza. E mancava anche la libertà dal bisogno, per milioni che si trovano nella miseria, dopo il fallimento degli obbiettivi del Millennio, tra cui la riduzione della povertà. Anzi il numero dei profughi, rifugiati e migranti è aumentato, ponendo nuovi problemi che non possono attendere. Non solo quelli in Europa, ma i tantissimi interni al continente africano.
Questi dieci anni ci consegnano purtroppo un mondo più angosciato. E’ cresciuta la cultura del conflitto, anche per l’aumento della violenza diffusa in vari paesi del mondo, frutto di lotte politiche, di mafie, di criminalità. Una violenza diffusa che qualche volta assume l’aspetto di una guerra civile. Non abbiamo perso anni preziosi?
Dopo il collegamento con New York, cari amici, vorremmo oggi ritornare ai sentimenti di simpatia e compassione globale di quel giorno: lo spirito di solidarietà vissuto l’11 settembre. Qualcosa di intenso e vero come le giornate felici dell’89 in Europa. 
Se siamo in tanti, a Monaco di Baviera, in questo decennale, lo dobbiamo alla volontà di rivivere quello spirito di simpatia. Il card. Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, ha voluto invitarci in questa città bella e affascinante, dove la natura ha il suo posto, mostrando che questa prospera Europa è fortemente interessata a costruire una civiltà di pace. Lo ringrazio per l’intelligenza e la generosità dell’invito. Ringrazio con lui il personale dell’Arcidiocesi per il suo generoso impegno e per la grande accoglienza. Come ringrazio i circa cinquecento volontari della Comunità di Sant’Egidio, tedeschi e non, che collaborano a questo incontro.
Non posso salutare tutti i presenti, tanti e autorevoli. Ricordo il Presidente della Repubblica Slovena, che ci onora con la sua parola e la sua presenza. Rivolgo il mio pensiero affettuoso e rispettoso a Sua Beatitudine il Patriarca di Romania, Daniel, uno degli attori spirituali dell’Europa odierna. Sono anche grato per la sua presenza a Sua Eminenza l’Esarca della Bielorussia, Filaret, che ha testimoniato per anni la speranza in un mondo senza speranza. Il 1 settembre 1989, più giovani, eravamo con il metropolita Filaret a Varsavia, invitati dal caro card. Glemp, che saluto con affetto. Celebrammo, il 1 settembre 1989, la preghiera per la pace a Varsavia e percepimmo la forza dello spirito non violento dell’89 che fece cadere un regime di ferro senza spargimento di sangue.
Vedo tra di noi protagonisti di quel movimento di libertà che si svolge nel mondo arabo. Li saluto con simpatia, convinto che il soffio di libertà abbia un grande valore in sé. Mi piace salutare tra di noi il Presidente della Repubblica di Guinea Conakry, coraggioso testimone di libertà e protagonista della transizione democratica del paese, a cui la Comunità di Sant’Egidio è tanto vicina. Tutti i convenuti, con storie e fisionomie spirituali diverse, sono testimonianze viventi delle energie umane e religiose del mondo contemporaneo, che ci fa ben sperare nel futuro.
Dopo l’11 settembre 2001, non fu ingenuità la compassione globalizzata: fu senso di destino comune. Un’intuizione profonda, dispersasi nella pratica e nella cultura del conflitto. Dopo l’11 settembre, Giovanni Paolo II volle che i leader religiosi tornassero ad Assisi per dire no al terrorismo con la preghiera delle religioni. Volle che l’ultimo giorno del Ramadan fosse dedicato al digiuno per i cattolici, per manifestare come non vi fosse odio tra le religioni. Solo con lo spirito si vince la cultura del conflitto che ha plasmato comportamenti personali e orientamenti politici, in questi dieci anni.
Dobbiamo porre, con rinnovata forza, il problema della pace. Pace non è retorica, ma bisogno impellente di simpatia, di unione, di dialogo. La pace è necessità di gente diversa che vive vicino. Pace vuol dire fine dei conflitti aperti. Ma pace è anche costruzione politica: per l’Europa significa unione tra i paesi europei nell’esercizio di una comune responsabilità nel mondo. Pace vuol dire, nei paesi più poveri, libertà dalla miseria. Pace vuol dire sicurezza di fronte al terrorismo. Pace é far crescere una società del vivere insieme in città cariche di tensioni. La pace non è utopia, ma realismo. Pace è parola alta del vocabolario dello spirito, ma anche quotidiana e necessaria come il pane.
Sì, il prossimo decennio non può essere sprecato. C’è bisogno di una svolta, perché tutti –popoli, religioni, etnie- siamo destinati a vivere insieme dall’ambiente locale agli scenari internazionali. Per questo è necessario dire no al terrorismo e a ogni fanatismo. Anzi, più si vive insieme, più bisogna creare un linguaggio di pace. E’ problema cruciale per il XXI secolo.
Parlare di pace oggi sembra un lusso durante la crisi economica. La crisi ci renderà più concentrati su noi stessi e sulle nostre società? Più antagonisti? Pagano la crisi i più poveri. Ci vuole invece –scrive il card. Marx- una “globalizzazione della giustizia”  per un ordine più solidale, anche di fronte a “antiche e nuove bande di ladri”.
Nell’attuale crisi economica, le religioni possono aiutare a cambiare mentalità: ricordano come il valore della vita non è data dalla quantità di benessere. La felicità viene dall’investire in quel che non passa. La sobrietà nei consumi rende libero lo spirito e apre ai bisogni degli altri. Al contrario la crisi economica può renderci umanamente e spiritualmente più miseri.
Il prossimo decennio non dev’essere sprecato. Ci sono le risorse per una svolta. Ma nessuno sembra responsabile. Non i due imperi della guerra fredda. Tanti sono protagonisti in un mondo multipolare. Eppure, con tanti protagonisti, c’è bisogno di  una cultura e  di un linguaggio di pace per vivere armoniosamente.
C’è la forza dello spirito. Gli uomini e le donne dello spirito possono molto, se prendono l’iniziava, cambiano la loro vita e pacificamente provano a cambiare quella degli altri. Non tutto è economia. Bisogna fare appello alle risorse spirituali dell’umanità. E’ il senso del nostro convegno che guarda alla Giornata ad Assisi nell’ottobre prossimo voluta da Benedetto XVI. Le religioni hanno un grande compito. In ogni religione la pace è inseparabile da Dio. Sono venticinque anni, anno dopo anno, che lo spirito di Assisi, l’amicizia tra le religioni, ci riunisce in città differenti: abbiamo tenuto aperto il dialogo sui temi dello spirito e della storia, evitando che appassisse quando i ponti crollavano o erano bombardati. Mai più le religioni possono farsi strumentalizzare per dividere il mondo e sacralizzare gli odi!
In questo mondo, spaventato dalla crisi economica, ci vuole un soffio che rianimi la speranza e guidi alla coscienza di un destino comune. Le religioni mostrano che gli uomini tutti compiono un unico grande viaggio. E’ una coscienza basilare, semplice come il pane e necessaria come l’acqua. Ma talvolta questa coscienza si perde nell’intrico degli odi, nelle perversioni della cultura o tra gli interessi in conflitto. Bisogna rianimare in tutti cantieri dell’unità la tensione unitiva, semplice e basilare. Religioni e culture possono rianimare questa basilare e semplice coscienza: “Siate semplici con intelligenza!” –insegnava il grande Giovanni Crisostomo.
Giovanni Paolo II disse ad Assisi nel 1986: “mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il gran bene della pace… quale meravigliosa ed entusiasmante chiamata da seguire”.
Quale entusiasmante chiamata da seguire! La pace, alimentata dallo spirito, diventa un cantiere di opere di unità, di incontro, di liberazione dal bisogno, di arricchimento umano e spirituale pur nella crisi economica. Perché il mondo trovi l’entusiasmo e non sia accasciato nella paura dell’altro e nell’angoscia del futuro! Tra lo scontro di civiltà e la globalizzazione volgare, ridotta solo all’economia, c’è il largo campo della costruzione dell’unità nella diversità. Su questo abbiamo rischiato in venticinque anni; non siamo stati delusi; su questo spazio vogliamo costruire il futuro!