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Andrea Masullo

Greenaccord, Italy
 biography
Nel 1967, un illustre manager di industria italiano, Aurelio Peccei, in una conferenza manifestò la sua preoccupazione per la velocità della crescita economica, che correva in parallelo con il degrado ambientale e con l’aumento delle disuguaglianze fra NORD e SUD del mondo. Alexander King un eminente scienziato scozzese, venne casualmente a conoscenza del discorso di Peccei e ne fu talmente impressionato da proporgli un incontro. L’incontro avvenne a Roma nel 1968, presso l’Accademia dei Lincei, dove decisero di approfondire il nesso fra crescita economica, degrado ambientale e disuguaglianze planetarie; è così che nacque il Club di Roma. Il 17 e il 18 ottobre prossimo si celebrerà il 50° anniversario della fondazione del Club; è significativo che questo evento si svolgerà presso l’Institutum Patristicum Augustinianum, a conferma della grande attenzione che la Santa Sede sta dando alla questione ambientale, attenzione culminata con la pubblicazione dell’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, che di questo nesso fra degrado ambientale, sistema economicofinanziario e degrado umano e sociale ne ha fatto l’asse portante, utilizzando il termine “ecologia integrale” ed evocando la necessità di una “conversione ecologica”.
 
Negli anni successivi il Club di Roma affidò a un pool di scienziati del MIT il compito di realizzare una previsione dell’andamento dell’economia mondiale attraverso un modello complesso che mettese in relazione la popolazione, il prodotto industriale, la disponibilità di risorse, la produzione alimentare e l’inquinamento, grandezze che si influenzano reciprocamente. Nel 1972 fu pubblicato il rapporto “I limiti della Crescita”, che previde che la rapidità della crescita industriale, avrebbe portato, entro la prima metà del 21° secolo, all’aumento dell’inquinamento e al declino della disponibilità di risorse, che avrebbero a loro volta causato un calo di beni, servizi ed alimenti e quindi della speranza di vita.
 
Oggi si stanno avverando queste previsioni. Il 1° agosto di quest’anno l’umanità aveva già utilizzato tutte le risorse che la biosfera riesce a rigenerare nell’arco dell’intero anno. Le concentrazioni di gas serra negli ultimi due anni sono state le più alte degli ultimi 800.000 anni e crescono a una velocità 100 volte superiore rispetto a prima della rivoluzione industriale. Si prevede che entro il 2050 ci saranno 250 milioni di profughi a causa dei cambiamenti climatici. La crisi climatica, la diffusione planetaria di inquinanti e rifiuti radioattivi, i danni al ciclo vitale dei nutrienti, stanno creando i presupposti della 6°estinzione di massa, al punto che nel 2000, due illustri scienziati, il chimico dell’atmosfera Paul Crutzen, e il biologo Eugene Stoermer, hanno coniato il termine Anthropocene per definire l’enorme impatto che l’uomo sta avendo sulla biosfera. Se l’illuminismo nasce dalla reazione dell’uomo alla scoperta della propria fragilità di fronte alla potenza della natura, oggi scopriamo la fragilità della natura di fronte alla potenza dell’uomo.
 
Secondo l’economista Herman Daly, i 2/3 del prodotto lordo dei paesi industrializzati, sono il frutto di attività svolte per riparare i danni del restante terzo; quindi a buon ragione possiamo chiamare l’economia consumista, economia del danno, piuttosto che economia del benessere. Crescono inoltre le disuguaglianze nella distribuzione del reddito. In Europa il 10% della popolazione detiene il 37% del reddito totale; negli Usa il 47%. Nell’Africa sub-sahariana, nel Brasile e nell’India, il 10% dei più ricchi riceve circa il 55% del reddito nazionale. Al top delle disuguaglianze c’è il Medioriente dove il 10% più ricco riceve il 61% del reddito totale.
 
In questo contesto esplode nel 2008 la più grave crisi finanziaria del dopoguerra. Il fallimento della banca Lehman Brothers causa una catena di fallimenti di istituti bancari in tutto il mondo, mettendo a nudo la fragilità e l’immoralità di una finanza speculativa, orientata all’accumulo piuttosto che allaproduzione di ricchezza; una finanza sbilanciata sulla scommessa di una perenne crescita futura che non tiene conto che la base reale della crescita sono le risorse naturali, accessibili e trasformabili in beni e servizi.
 
Il prolungarsi della crisi ormai da dieci anni diffonde insicurezza e disorientamento in una umanità cresciuta nell’ottimismo consumista verso il futuro; si scopre con evidenza che la finanza concentra e non distribuisce ricchezza. Alla mancanza di prospettive dei giovani dei paesi ricchi si associa il crollo del sogno consumista nei giovani dei paesi poveri. L’economia dimostra di non governare, ma di essere governata dalla finanza e la politica sembra muoversi su canali obbligati senza spazi di mediazione: la politica mutilata della capacità di mediazione che ne è il fondamento, appare ai più come mero esercizio di un potere che risiede altrove. Le crisi ambientali, economiche e finanziarie mostrano come mai accaduto prima quella dimensione globale che caratterizzò l’intuizione visionaria di Aurelio Peccei e del suo Club di Roma, di fronte alla quale il cittadino si sente ancor più fragile e smarrito. Il terreno sociale è ormai pronto per l’avvento del populismo sulle macerie della paura e della disgregazione sociale. L’effetto più grave della crisi globale è proprio la disgregazione delle reti ecologiche e delle reti sociali, cioè proprio degli elementi su cui si misura il benessere e la qualità dello sviluppo.
 
Il populismo ha un effetto moltiplicatore su tutte le crisi descritte, offrendo risposte semplicistiche a problemi complessi, che aggravano i problemi ma soddisfano ed anestetizzano il senso collettivo di incertezza offrendo una via d’uscita semplice. La ricerca facile e rassicurante di un colpevole delle crisi è frequente nella storia: ieri gli ebrei e gli zingari. Oggi all’istintiva identificazione del capro espiatorio nel diverso, per etnia, cultura o religione si aggiunge l’esigenza psicologica di esorcizzare la situazione in cui nessuno può essere più sicuro di non cadere; il nemico da combattere sono i nuovi poveri, i migranti, gli zingari, il più debole nella lotta sempre più agguerrita per farcela, lo sconfitto dalla crescente aggressività necessaria per raggiungere l’élite sempre più ristretta dell’accesso al benessere. La convergenza fra crisi ambientali, crisi economiche e guerre rende strumentali le definizioni aggettivanti dei migranti: migranti economici e rifugiati, dimenticando che le crisi economiche e le crisi ambientali, hanno gli stessi effetti devastanti delle guerre delle quali costituiscono spesso l’origine. La risposta facile della logica del “noi contro gli altri” che nega e nasconde la complessità dei problemi nega anche una fondamentale ovvietà: di fronte alle crisi globali nessuna persona e nessuno stato può salvarsi da solo, e il primo passo per uscirne è riconoscersi come unica famiglia umana, in una unica casa comune.
 
Papa Francesco al punto 194 della “Laudato Si’” dice: “Affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale», la qual cosa implica riflettere responsabilmente «sul senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni». Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. (Laudato si’, 194) 
 
Da qui nasce la sfida di una educazione ambientale integrale. Non si tratta di diffondere i pur benemeriti corsi di scienze naturali, ma di sostituire alla frustrante delusione del crollo dell’illusione consumista, la realtà della propria dimensione in un mondo globalizzato. Si tratta di diffondere una nuova etica di appartenenza ad un'unica famiglia umana in una unica casa comune
 


Discorso di Andrea Masullo
Discorso di Andrea Masullo