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Grégoire Ahongbonon

Associação "Saint Camille de Lellis", Benin
 biografia

Vorrei innanzitutto, prima di cominciare, ringraziare la Comunità di sant'Egidio che mi ha permesso di venire a presentare la mia esperienza, un’esperienza che parla anche della vergogna dell’umanità. Perché oggi, nel terzo millennio, trovare ancora uomini e donne in situazioni che non possono essere spiegate, condannati ad essere legati, incatenati per la loro malattia è un grave problema per l’umanità.
Spero che questo incontro possa aprire gli occhi e vedere ciò che si può fare per dare a questi malati dimenticati da tutti una possibilità in più. E spero che ciascuno di noi possa aprire gli occhi per guardare questo video che ci spiegherà quello che vivono queste persone, ma anche quello che Dio, nella sua grande misericordia, ha voluto costruire, prendendo qualcuno come me, che non sa nulla, che non ha fatto studi particolari, che non è un medico, solo un piccolo riparatore di guasti, per iniziare a dare vita a questa avventura.

Molte di queste persone hanno malattie psichiatriche, le loro famiglie disperate li hanno lasciati qui perché non sapevano dove andare. Le preghiere quotidiane sono l’unica terapia che ricevono.
Questo centro di preghiera è uno dei più grandi del Togo, uno dei tanti che si trovano in Africa occidentale. Questo pastore evangelico sta promuovendo qui l’opera di Dio. Quando arriva qualcuno malato preghiamo per lui e, per grazie di Dio, guarirà. Un uomo, una donna, legato ad un blocco di pietra: non è colpa della famiglia, non sanno cosa fare!
Gregoire Ahongbonon ha dedicato la sua vita nel tentativo di fornire una alternativa per chi è malato di mente. I malati mentali sono i più dimenticati tra i dimenticati, sono considerati come dei posseduti, sono trattati come rifiuti, rifiuti umani della società. Ahongbonon è il fondatore della associazione Saint Camille de Lellis, un’associazione che gestisce 8 centri, in Burkina Faso, Benin e Costa d’Avorio.
Abbiamo visitato il centro in Benin, uno dei paesi più poveri del mondo. Il governo non dedica molte risorse all’assistenza sanitaria, le terapie per le malattie mentali sono praticamente inesistenti, sono l’ultima preoccupazione per le autorità. In Benin c’è soltanto un ospedale psichiatrico. Se non ci sono soldi non si riceve alcuna terapia.
Negli anni ’80 ha subito un grave problema di depressione, ha pensato d uccidersi e ha cominciato a vivere una vita veramente miserabile.
Si è reso conto che in Africa occidentale le persone con malattie mentali non ricevono terapie, quindi ha fondato questa associazione per dare cure a chi ne avesse bisogno.
Ogni mese arrivano 300 pazienti in Benin: ricevono una diagnosi, ovviamente vitto e alloggio, e piccole dosi di farmaci psicotropici.
In un centro è giunta una persona, è stata lavata, le sono stati dati dei vestiti puliti. Sono persone che bevono l’acqua che scende dalle grondaie. John, questa persona, è stata sottoposta a valutazione medica.
Molte persone qui hanno malattie mentali gravi, come schizofrenia, disturbo bipolare. Piersant (?) è uno psichiatra volontario e ha affermato che i farmaci che assumono questi malati sono efficaci anche senza psicoterapia. Fanno effetto molto velocemente, nel giro di qualche giorno.
Ma Saint Camille non può monitorare i pazienti nel lungo periodo e questi rischiano di essere sottoposti ad una terapia eccessiva. Alcuni pazienti soffrono di episodi psicotici acuti e vengono trattati attraverso la terapia medica. Ma a volte sono degli schizofrenici che dovrebbero continuare a prendere medicine.
Mangi bene? Assumi abbastanza acqua? Le infermiere ricevono una formazione di base, quindi sono loro che si occupano di questi pazienti, però ci sono delle sfide per loro perché molto spesso restano da sole.
Non è fondamentale guarire tutti, ma preservarne la dignità: questa è la nostra lotta.
Al saint Camille i pazienti imparano anche a guadagnare, attraverso un mestiere. Ramon Madou (?) era uno dei pazienti di saint Camille, ha iniziato ad assumere farmaci per il disturbo bipolare e ha messo in piedi un forno che gestisce con altri pazienti ed ex pazienti. “Il lavoro è quello che mi rende un essere umano. Posso trovare gioia nella vita, come mi accadeva in passato”.
Prima di arrivare a saint Camille la famiglia di Madou aveva provato qualsiasi cosa per aiutarlo. “Ogni anno avevo una ricaduta. I miei genitori mi portavano dai guaritori tradizionali e spendevano tutto quello che avevano per me”. Come molti altri è stato poi incatenato a un centro di preghiera come questo. Questi luoghi di culto e di cura sono l’ultima speranza per famiglie con pochissime opzioni.
Ahongbonon ci sta portando a vedere un centro di preghiera dove c’erano più di 250 malati.
Quando abbiamo iniziato a lavorare, le famiglie hanno notato che c’erano dei risultasti e li hanno portati da noi, li hanno liberati da quelle catene.
I centri di preghiera sono ancora fiorenti in Togo. Adesso andiamo a vedere uno dei più grandi, si chiama “Gesù è la soluzione”, è gestito da Paul Numovi(?). “Gestisco questo centro da 12 anni. E’ diventato uno dei più grandi nel Togo. Ai pazienti non viene chiesto di pagare per le terapie, a volte le famiglie, però, portano un dono dopo la guarigione che poi viene donato alla Chiesa”. Qui è dove alloggiano. Ci ha portato dietro al centro di preghiera, dove vengono tenuti i malati. Ci sono 153 uomini e donne in questo centro.
I pazienti restano settimane, mesi, spesso anche anni senza ricevere alcuna diagnosi. “Benvenuto, come ti chiami?” “Victorine. Non ero malata, non sono pazza”.
Queste persone dormono fuori, in qualsiasi condizione metereologica, finché non mostrano un segno di guarigione.
“Se inizio a pregare per qualcuno, poi guarisce e, in quel caso, il paziente stesso mi chiederà di essere lavato, perché se diciamo noi di andarsi a lavare dirà di no”.
Ahongbonon voleva espandere il centro anche nel Togo, voleva che le persone malate di mente avessero un luogo sicuro dove andare. “Perché quando un uomo è in catene è l’umanità che è in catene, quando vedo un uomo legato a un ceppo in catene vedo la mia immagine ed è l’immagine di ognuno di noi”.

Grazie mille per l’attenzione. Sono venuto, come dicevo prima, per condividere con voi questa esperienza che viviamo e che deve interpellare le nostre coscienze, tutte. Ieri sono stato molto felice quando si è parlato di ponti da costruire e questi ponti vanno costruiti iniziando da noi stessi. Bisogna iniziare a costruire questi ponti nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie.
I ponti da costruire sono tanti e spero, auspico che questo incontro di oggi possa dare una possibilità per costruire ponti, per liberare questi malati.
Poi c’è la guerra. Ci sono persone che hanno la possibilità di scappare, ma loro sono condannati a morte: solo la morte potrà liberarli. Spero che questo incontro di oggi dia la possibilità a costoro di entrare nei nostri cuori. Se Dio ha voluto che un uomo come me, che non ha avuto la possibilità di studiare, sia all’origine di questa storia, è una cosa importante. Si ha paura di queste persone ed è questa paura che crea la sofferenza.
Oggi come si può pensare, nel terzo millennio in cui si parla di evoluzione, di sviluppo, a bambini, uomini, donne che sono ancora incatenati con catene come queste.
I malati che ho incontrato erano malati che venivano incatenati. Il primo malato era un malato incatenato, nudo e legato ad un albero. Era rimasto legato a quell’albero per 7 anni, ad attendere la propria morte. Oggi quello stesso malato è guarito, si è sposato e ha creato la propria famiglia.
Non abbiamo diritto di continuare ad avere paura di chi è vittima della malattia mentale. E’ nostra responsabilità oggi fare qualunque cosa per dare anche a loro una nuova possibilità. Non sono nati malati, lo sottolineo, e nei nostri centri ci sono oltre 200 malati per centro e i responsabili di questi centri, le persone che si occupano dei malati, sono ex malati a loro volta. Quindi non bisogna più avere paura. Diamo loro una nuova possibilità: liberiamoli dalle catene!
Non hanno fatto nulla per meritare una simile sorte. Cosa avranno mai fatto per meritare una simile condanna, per essere dimenticati! E’ la nostra immagine. Come Adamo quando è stata  creata la donna ha riconosciuta che era carne della sua carne, ossa delle propria ossa. Quelle persone che sono incatenate, che sono nelle strade sono ossa delle nostre ossa, carne della nostra carne