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Hassan El Halabi

Comunità drusa, Libano
 biografia

Cari amici vengo da un paese che ha vissuto la guerra civile e subito un periodo di tensione e di lacerazione tra le comunità nell’affrontare una serie di pericoli e di sfide. Questo piccolo paese, chiamato la Svizzera del Medioriente per aver saputo conciliare le due civiltà dell’Oriente e dell’Occidente, si è trasformato in un terreno propizio a tutti i conflitti regionali e ai giochi di guerra. Questi diversi eventi hanno senza dubbio compromesso e distrutto la coesistenza comunitaria e l’osmosi, cose di cui si avvale il paese dei cedri con le sue 18 confessioni, all’interno di un sistema politico consensuale, che non ha conosciuto sempre guardiani fedeli né al suo ruolo e ancor meno al suo messaggio.

 
Mi è stato chiesto di intervenire durante questo convegno sulla possibilità di un eventuale dialogo fra l’Oriente e l’Occidente. Ma prima di entrare nel vivo dell’argomento, vorrei accennare brevemente alla situazione attuale della nostra regione.
 
Alcune scuole teologiche presenti in ambienti svantaggiati e marginalizzati hanno avuto un impatto negativo su questi ambienti, diffondendo discorsi religiosi obsoleti, invece di una presa di coscienza religiosa fondata sulla tolleranza, il rispetto delle differenze e l’accettazione dell’altro. Tutto ciò ha alimentato l’odio non solamente verso coloro che non condividono la stessa religione, ma anche verso i loro correligionari, che hanno una visione specifica, così come verso i loro governanti che li hanno privati delle loro libertà essenziali e che li hanno tenuti in uno stato di povertà e di ignoranza crescente. In parallelo, gli estremisti, che dispongono di importanti mezzi finanziari, hanno indottrinato i giovani facendo prevalere la loro appartenenza ideologica e religiosa sulla loro appartenenza nazionale. Inoltre, hanno formato degli imam e li hanno inviati all’estero, per diffondere discorsi di odio e incoraggiare l’estremismo nelle società occidentali, poco abituate a una tale diversità, cosa che ha portato al fallimento dell’integrazione e a rafforzare i sentimenti di odio.
 
Se l’occidente e gli Stati sono abituati all’idea di uno Stato retto da istituzioni e da una costituzione che garantiscano la sovranità del popolo, fonte di ogni autorità, il benessere sociale e un’economia stabile e solida, la maggioranza di questi principi è purtroppo calpestata nella nostra regione, anche se le norme variano da uno Stato all’altro, per non cadere nella generalizzazione. 
 
In Egitto, per esempio lo Stato si è dimostrato potente nella sua organizzazione, nella sua storia e nei suoi costumi, ma la società è immersa in contraddizioni terribili e la corruzione si presenta come un flagello con il quale devono quotidianamente confrontarsi. Si aggiunga a questo problema l’analfabetismo, la povertà, la marginalizzazione e la crescita demografica, che continua ad aumentare in modo da presentare una reale minaccia rispetto agli sforzi messi in campo dallo Stato per realizzare riforme economiche e sociali.
 
In Siria, lo Stato ha dato prova di fragilità e il regime si è basato sull’oppressione e lo sfruttamento delle ricchezze, destinandole a una classe specifica e non alla totalità della popolazione, giungendo così all’esplosione di divergenze etniche e religiose fra i gruppi appartenenti a uno stesso Stato, e che niente più potrebbe renderli alleati o unirli.
 
In Libia, il regime è crollato senza lasciare neppure una vestigia di Stato sul quale si potesse contare per mettere fine alla guerra, cosa che ha generato conflitti tribali, lo scoppio di una guerra, la distruzione delle infrastrutture, così come l’annientamento dell’immensa ricchezza di cui godeva il paese.
 
In Yemen, la guerra attuale è iniziata da un semplice conflitto tribale e confessionale interno, ma in seguito ha preso la forma di una sfida regionale che ha coinvolto le potenze vicine. Lacerato, lo Yemen è servito da campo di battaglia alle diverse forze, e la popolazione continua, fino ad oggi, a pagarne il prezzo, sprofondando nella violenza e nella fame.
 
In Iraq, il potente regime è stato abbattuto in seguito a un complotto internazionale, sotto il pretesto della democratizzazione: la struttura del paese è esplosa ed è stato diviso in più contee. Quanti iracheni vorrebbero ritornare oggi alla situazione precedente, dopo essere stati testimoni della resistenza del loro paese.
 
Il Libano ha vissuto e continua a vivere oggi da più di cent’anni un periodo di lacerazioni interne, che gli impediscono di trovare soluzioni ai molteplici problemi in cui incorre, come per esempio quello del trattamento del dossier dei rifiuti, della recessione economica, del forte debito pubblico, che si eleva a più di 90 miliardi di dollari, che una classe politica corrotta ha fatto registrare negli anni a discapito delle generazioni future.
 
Mi accontenterò di definire un quadro dei paesi in tensione, senza attardarmi sugli altri paesi della regione che sono riusciti a trovare un certo equilibrio, grazie a meccanismi interni di riaggiustamento, fondati su un’alleanza familiare-religiosa, beneficiando di una ricchezza di cui si priva una larga parte della popolazione. Gli auguriamo nondimeno tutta la stabilità, dopo aver visto quello che è accaduto altrove.
 
Dato che abbiamo trattato solo una parte della situazione che regna in Oriente, quando daremo l’immagine che ci viene dall’Occidente?
 
Alla luce di ciò che abbiamo detto, cominceremo in primo luogo a esaminare le ragioni che hanno condotto all’emergenza della violenza nella regione, prima di discutere in un secondo tempo dei mezzi necessari che devono essere escogitati per uscire dal clima che regna in Medio Oriente e del loro impatto sull’avvenire delle minoranze e sulla salvaguardia della loro presenza, prendendo il modello libanese come esempio di base.
L’emergenza della violenza nelle società del Medio Oriente non si limita a un solo elemento, poiché si tratta di un fenomeno complesso, che fa entrare in gioco tutta una serie di fattori personali e psicologici, che vengono ad aggiungersi a fattori culturali, politici ed economici.
Se la nostra regione ha sempre attirato le grandi potenze per la sua importanza strategica e per le sue risorse naturali, la creazione dello Stato di Israele a spese della abolizione dell’identità palestinese e la violenza che l’ha accompagnata hanno generato un sentimento di frustrazione e di desiderio di vendetta, in particolare in seguito al fallimento degli sforzi diplomatici e politici e al mancato rispetto delle rilevanti risoluzioni dell’organizzazione delle Nazioni Unite.
 
Questa situazione ha avuto come esito la configurazione di un sistema repressivo, che punta al mantenimento di un potere oppressivo e alla sottomissione del popolo con il pugno di ferro, con il quale la libertà è calpestata e i meccanismi di governo democratico perturbati; questo ha fatto sì che le elezioni libere e trasparenti abbiano ceduto il posto a un referendum e alla designazione di un candidato unico votato dalla maggioranza della popolazione. Questa tirannia è accompagnata dallo sconvolgimento dei programmi di sviluppo e della crescita dei tassi di povertà e di analfabetismo, che rendono la società un terreno propizio e fertile alle correnti estremiste, in particolare quelle religiose.
La violenza non è solo un fenomeno esclusivo del Medioriente; si tratta di un fenomeno mondiale al quale è impossibile collegare un’identità specifica. Sorpassa tutte le religioni, oltrepassa tutte le società, incombe su ogni civiltà e cultura. Ma se la violenza è attualmente in primo piano in oriente è perché l’Occidente, e in particolare l’Europa e gli Stati Uniti, ha conosciuto una certa stabilità e un clima calmo che si sottrae a ogni idea di violenza.
 
Salutiamo perciò la firma della “documento sulla fraternità umana per la pace nel mondo e la coesistenza comune“ del 4 febbraio 2019 fra Papa Francesco e il grand imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayeb, che si sono uniti contro la violenza in nome della religione. Questo documento costituisce una tappa di grandissima importanza nel dialogo islamo cristiano nella nostra regione, un segno potente di pace e di speranza per l’avvenire dell’umanità. Si tratta di un appello che spinge a rispettare l’uguaglianza tra musulmani e cristiani, sottolineando che questi ultimi non costituiscono per nulla una minoranza, ma fanno parte integrante della nazione e della comunità, allo stesso titolo dei musulmani. Chiede di rinforzare il dialogo interreligioso e di promuovere il rispetto reciproco, per sbarrare la strada a coloro che soffiano sulle braci dello scontro di civiltà.
 
È qui opportuno sottolineare come l’immagine dell’Occidente sia spesso turbata dal fatto che molte categorie della nostra regione attribuiscono la causa dell’instabilità che vi regna all’Occidente, tenuto conto della sua politica che si appoggia in gran parte sullo scontro di civiltà, alimentato dal conflitto religioso, invece di promuovere positivamente le ripercussioni storiche così come le differenze, mettendo in evidenza la dimensione ideologica, come precedentemente esposta.
 
Una delle conseguenze di questa posizione conflittuale consiste nel timore dell’altro - diverso – come il caso dei musulmani che sono stati marginalizzati e considerati come una categoria retrograda, che bisognava affrontare piuttosto che riconciliarsi con essa. Questa reazione ha condotto ad alimentare l’estremismo tanto nelle società occidentali, quanto nella nostra regione, rispetto ai cittadini moderati. Nondimeno questo non riguarda esclusivamente i musulmani, poiché assistiamo a un esempio vivente nelle civiltà dell’est, nel grande conflitto diffuso in Cina a seguito dei suoi interventi commerciali.
 
Quest’ideologia che appartiene all’Occidente risveglia i demoni del passato e riporta sul Medioriente, ma soprattutto sull’Oriente arabo, uno sguardo di superiorità ed arroganza, risultanti dalla loro evoluzione tecnologica, dal loro benessere sociale e dalla loro stabilità, tanto politica che economica. Detto ciò, e poiché la prosecuzione di questo conflitto va contro la pace mondiale, si raccomanda di adottare con l’Occidente il metodo del dialogo, del dibattito e degli interessi comuni.
È chiaro che il Medioriente trabocca di violenze, che potrebbero facilmente raggiungere l’Europa attraverso la porta del Mediterraneo. In effetti, assistiamo a una moltitudine di casi allarmanti che riguardano i rifugiati che hanno preso d’assalto le porte dell’Europa, generando un vero problema all’interno di questi Stati che li hanno ospitati ma che si ritrovano oggi sprovvisti di soluzioni, mettendo in gioco l’unità dell’Europa.
Non c’è alcun dubbio che le misure dell’integrazione dettate da alcuni Paesi europei hanno giocato un ruolo verso l’insuccesso dell’accoglienza delle ondate di rifugiati e anche prima di loro, degli immigrati che sono sbarcati alla ricerca di un livello di vita decente e di una istruzione che fosse conveniente, formando così in un periodo determinato, un elemento fondamentale per la buona circolazione dell’economia di questi Paesi e il bisogno di manodopera imminente dovuta all’atrofia della loro crescita demografica. Allontanati dalle loro comunità, l’isolamento di queste persone si è trasformato in un vero pericolo, minaccia per la sicurezza interna dei Paesi d’Europa. Conseguentemente, il dialogo richiesto porta a tre punti cruciali, fondati sul rispetto dei diritti dell’uomo, promuovendo la conciliazione a dispetto del conflitto, che sono i seguenti:
Le intese bilaterali e collettive per la realizzazione di mutui interessi.
Il dialogo sui valori universali di questi Paesi, come la libertà, il pluralismo, la salvaguardia delle diversità così come il diritto al dialogo e al dibattito.
Il dialogo per la promozione della democrazia e della rappresentanza adeguata, che noi riconosciamo attraverso il “dialogo dei cittadini e della cittadinanza fra i popoli di queste regioni per la realizzazione del benessere sociale”.
 
Tuttavia l’Occidente dovrebbe riconoscere, da parte sua, il bisogno dei Paesi dell’Oriente allo sviluppo assicurando loro opportunità di sviluppo in un quadro sano, interrompendo i conflitti provocati sia dall’introduzione di opposizioni nazionali, sia dallo stimolo di sentimenti confessionali esacerbati, o anche attraverso il rafforzamento di correnti estremiste, che mirano a dividere i nostri Paesi e a lacerarli.
 
La soluzione di questi problemi risiede nell’applicazione della giustizia riguardo la soluzione del problema palestinese, che costituisce il principale detonatore nella regione, così come la cessazione di ogni aggressione contro alcuni Paesi della regione. Proclamare la vittoria dell’Occidente porterà senza alcun dubbio alla esasperazione dei problemi, cosa che ostacolerà i principi del dialogo tra cui quello del rispetto dei diritti dell’uomo, qualsiasi siano le sue appartenenze religiose, ideologiche, nazionali e culturali, cosa già confermata nel documento di Al-Azhar già citato.
 
È utopico domandare all’essere umano di rinunciare alla propria identità, tuttavia è possibile creare delle identità nazionali e globali che comprendono la diversità di società democratiche e liberali. In quel momento il particolarismo diventerà un fattore di comunicazione con gli altri, piuttosto che un motivo di divisione, basandosi sui principi di rifiuto dell’oppressione e di divieto di annullare l’altro, contrariamente a ciò che è contenuto degli scritti, in modo di rifiutare la violenza, di assicurare ai cittadini una vita degna fondata sull’uguaglianza di diritti e di doveri e di promuovere il dialogo e il riconoscimento dell’altro.