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Matteo Zuppi

Cardenal, arzobispo de Bolonia (Italia), Presidente de la Conferencia Episcopal Italiana
 biografía

Desidero ringraziare la Comunità di Sant’Egidio per questa tela di dialogo della quale non finiamo di stupirci perché affatto scontata. È una tela che con l’artigianato paziente della pace la Comunità continua a tessere in un mondo lacerato e così poco capace di pensarsi spiritualmente insieme. È una tela resistente, che unisce credenti di fede diverse, che spesso si sono combattute e che ancora oggi parlano con difficoltà, laici e umanisti. E’ una tela che permette a tanti di scegliere la pace e il dialogo. E anche questo non è poco. Nessuno qui è disoccupato nell’impegno per la pace. La pace è affare troppo importante per essere di qualcuno e ci riguarda tutti. Qui si ricompone quel bellissimo disegno che la violenza e la guerra distrugge. Ogni filo di colore capisce il suo significato proprio solo disponendosi accanto all’altro e l’arte del dialogo – arte di vivere e vivere è arte del dialogo e il dialogo è l’arte di Dio – è proprio questa: metterci insieme per realizzare il disegno magnifico dell’umanità in pace perché Dio ci ha creato diversi non per combatterci o vivere come isole ma per amarci e scoprire chi siamo mettendoci accanto all’altro, scoprendo così la sua e la mia bellezza e utilità. 

Ogni anno questa tela acquista sempre tanti nuovi significati, a volte purtroppo tragici. Il grido della pace nasce perché siamo raggiunti dal grido drammatico della sofferenza, a volte fortissimo e tenerissimo come il pianto di un bambino o chiuso nelle ferite profonde del cuore quelle che durano per sempre. È il grido di aiuto e protezione emesso dal pianto, dal lamento grande di ogni Rachele che piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più (Ger. 31,15). Ecco perché siamo qui: per tutte le vittime che affidano il loro testamento che è la loro stessa vita. Tutte esse volevano e vogliono vivere ed avevano e hanno il diritto di vivere. Siamo qui per le lacrime – che sono sempre uguali per tutti – che scesero dalle loro guance e scendono da chi è sopravvissuto. “Dio conta i passi del nostro vagare e raccoglie le lacrime nel suo otre, le scrive nel suo libro”, recita il Salmo (Ps 56, 9) e noi siamo qui perché questo otre di lacrime, spesso osservato con indifferenza o colpevole incapacità dagli uomini, chiede di essere asciugato dalla pace. Vogliamo leggere i libri delle lacrime, per scegliere la via della pace e non accettare la legge dell’impotenza, del parlarsi addosso perché “tutto è inutile”. Non possiamo dire di non sapere e non vogliamo accettare l’amara legge del non si può fare nulla!  Abbiamo capito nella pandemia che tutto in realtà ci riguarda, che è proprio vero che siamo tutti sulla stessa barca e che l’unica via è diventare Fratelli tutti. Ecco perché vogliamo gridare forte e farlo assieme la parola della vita, senza la quale non c’è vita: pace. Non vogliamo dimenticare. C’è un esercizio di memoria che compiamo assieme, ricordando, capendo, studiando, conoscendo quello che succede. Per arrivare alla pace certo dobbiamo guarire la patologia della memoria dei torti e delle ragioni e guarire noi dalla superficialità, dalla polarizzazione, dagli schemi ideologici.  (FT35). Papa Francesco rileva però che “velocemente dimentichiamo le lezioni della storia”. Il suo auspicio resta che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi” e che non sia stato “l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare”. Dopo la seconda guerra mondiale tutti avevano chiaro che la terza sarebbe stata l’ultima. Alcuni poeti si domandavano: “quante volte devono volare le palle di cannone prima che siano bandite per sempre?” o “quante orecchie deve avere un uomo prima che possa sentire la gente piangere?” o “quante morti ci vorranno finché non lo saprà che troppe persone sono morte?” e anche “quando sarà che l'uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare”. E noi quanto dobbiamo aspettare? Cercarono una risposta anche dopo la prima guerra mondiale. Quando Papa Benedetto XV disse che «questa lotta tremenda, la quale ogni giorno più apparisce inutile strage” fu visto da tutti come un traditore, complice del nemico. Se lo avessero ascoltato! Non era affatto un appello generico: chiedeva un disarmo simmetrico, il rispetto della autodeterminazione dei popoli, le istanze internazionali erano la soluzione da cercare. Gli uomini di pace sono realisti, non ingenui! Allora auspicò la creazione di una Lega tra le nazioni che potesse garantire la pace in futuro: “Sarebbe veramente desiderabile … che tutti gli Stati, rimossi i vicendevoli sospetti, si riunissero in una sola società o, meglio, quasi in una famiglia di popoli, sia per assicurare a ciascuno la propria indipendenza, sia per tutelare l’ordine del civile consorzio”. E uno dei fini era ridurre, se non addirittura abolire, le enormi spese militari che non possono più oltre essere sostenute dagli Stati, affinché in tal modo “si impediscano per l’avvenire guerre così micidiali e tremende, e si assicuri a ciascun popolo, nei suoi giusti limiti, l’indipendenza e l’integrità del proprio territorio”. Diversi chiesero di abolire la guerra. Altri ripresero le intuizioni di Zamenhof con il suo “esperanto” (“Colui che spera”) per far comunicare fra loro i popoli del mondo e favorire la pace. Non fu sufficiente. Solo dopo i milioni di morti della seconda guerra mondiale ci fu una decisione chiara per dare vita alle Nazioni Unite, lotta contro tutte le ideologie totalitarie e per la difesa dei diritti di ogni persona. Al suo ingresso c’è ancora una statua che raffigura una pistola la cui canna viene chiusa da un nodo. Adesso sentiamo troppo parlare di riarmo. Facciamo nostra (FT 173) in questa prospettiva la richiesta di una riforma perché l’Organizzazione delle Nazioni Unite “possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni” per “assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato”. E perché questo avvenga “occorre evitare che questa Organizzazione sia delegittimata”, per non porre gli interessi particolari di un Paese o di un gruppo al di sopra del bene comune mondiale. Combattiamo la pandemia della guerra come abbiamo combattuto quella della del Covid. Fratelli tutti è il nostro esperanto che ci aiuta a parlare la stessa lingua, a capirci, a liberarci dall’incomprensione che produce tanta paura e violenza. Il tedesco Max Josef Metzger, «prete e martire» ucciso dai nazisti nel 1944 perché predicava la pace affermava: «Noi dobbiamo organizzare la pace, co¬sì come altri organizza la guerra» e in una lettera scritta dal carcere al papa nel 1944 as¬serì: «Se l’intera cristianità avesse fatto una potente, unica protesta, non si sarebbe evitato il disastro?». Ecco perché siamo qui e gridiamo con lui e con tutti quelli che hanno sognato e per certi versi preparato incontri come questo la nostra scelta per la pace. Ad iniziare da noi, perché come diceva don Primo Mazzolari “c’è guerra quando non c’è spirito di fraternità, quando non c’è tolleranza, quando c’è invidia, quando c’è incompatibilità a vivere insieme. Tutte le volte che ci portiamo via un po’ di terra in più, un po’ di pane in più, un po’ di mare in più, un po’ di sole in più, questa è la guerra. E c’è guerra anche quando si manda la gente sul patibolo, quando la si mette al muro”. Non vi può essere pace nel cuore dell’uomo che cerca pace solo per sé stesso. Per trovare la pace vera dobbiamo desiderare che gli altri abbiano pace come noi e dobbiamo essere pronti a sacrificare qualcosa della nostra pace e della nostra felicità affinché gli altri abbiano pace e possano essere felici, chiedeva Thomas Merton. Di fronte alla tragedia della guerra capiamo il rischio che corre oggi tutta la famiglia umana, perché la guerra «non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante» (FT 256). E spaventa. La consapevolezza dopo la pandemia di appartenere a una medesima umanità era aumentata ma (FT30) senza dialogo restano solo le armi.  E dialogo non rende affatto uguali tutte le ragioni, non evita la domanda delle responsabilità e non confonde mai aggressore e aggredito anzi, proprio perché le ricorda bene può cercare le vie per smettere la geometrica e implacabile logica della guerra, che è, se non trova altre soluzioni, al rialzo.   “Non c’è pace senza volontà indomita per raggiungere la pace” dice Papa Francesco, chiedendo energie per “un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie.” È essenziale scegliere la pace e i mezzi per ottenerla. E dovremmo chiederci: abbiamo fatto tutto quello che potevamo con intelligenza e determinazione? Lo abbiamo fatto con la stessa passione che avremmo se si trattasse dei nostri figli? Sono i nostri figli! Non dimentichiamo, non cadiamo nell’inganno: (FT 261: “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. Anche ogni guerra che continua. Facciamo nostro l’appello di papa Francesco per l’Ucraina e chiediamo che l’impegno per la pace e la giustizia, che vanno necessariamente assieme, trovi in tutti, ad iniziare dagli uomini di governo, delle risposte all’altezza. Dovremo certamente riprendere un discorso forte sul riarmo, per evitare che l’unica logica sia quella militare, chiedere che tutti i soggetti, con audacia, concorrano a tessere la tela della pace. Raul Follereau commentando le cifre dei morti e delle distruzioni dell’ultima guerra mondiale commentava: “Se invece si avesse dedicato a curare, a consolare, a insegnare, una pur minima parte del genio e del denaro che gli uomini hanno sprecato per uccidere e per distruggere, quale benessere regnerebbe oggi sulla terra! Possa la sanguinante e terribile lezione illuminare le coscienze e i cuori! Amarsi o sparire!”. Bonhoeffer, prete evangelico, martire dal nazismo perché lo aveva combattuto a rischio della sua persona, tra le ultime poesie scritte nella cella del carcere dove venne ucciso, scrisse: “Quando il sole mi sarà scomparso vivi tu per me fratello! Fratelli, finché dopo la lunga notte non spunti il nostro giorno, noi resisteremo!”. Ecco il grido e l’impegno di pace.