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Kpakilé Félémou

Comunità di Sant’Egidio, Guinea Conakry
 biografia

Le conseguenze dei cambiamenti climatici non sono uguali tra Nord e Sud del mondo 

Oggi i mezzi di comunicazione e i social danno l’accesso immediato a tutto ciò che succede nel mondo. Vediamo come anche le nazioni ricche e potenti siano colpite duramente da eventi estremi: ogni anno sulle coste degli Stati Uniti d’America assistiamo a uragani e tifoni. Anche l'Europa non è risparmiata dalle alluvioni e dalle frane, persino dalla siccità, come abbiamo visto ultimamente in Italia e in Francia. Si parla molto di meno invece di ciò che accade in Africa e degli effetti del riscaldamento globale su questo continente. Ma nel Sahel e in tutta la fascia subsahariana si sono registrate nei mesi scorsi inondazioni che non si erano mai viste in passato, in modo così violento. E altre emergenze climatiche sono segnalate in diversi paesi africani.

Rispetto agli eventi che riguardano il clima c’è però una differenza notevole tra Nord et Sud del mondo. Anche nel Nord, certamente, gli effetti delle catastrofe climatiche sono spesso terribili e provocano non poche vittime. Ma, quando accade, si procede in tempi più o meno rapidi alla ricostruzione e alla riparazione dei danni. Invece nel Sud del mondo ogni evento drammatico sembra segnare la terra e l’uomo in modo permanente, tanto che spesso in molti paesi, agli effetti devastanti di una prima catastrofe, si aggiungono quelli della seconda, della terza e così via. La propria casa, i mezzi di trasporto, le proprie attività commerciali, quando vengono persi per causa di questi avvenimenti, non si recuperano più, e la distruzione è per sempre. Non c’è resilienza, ma normalmente un semplice allontanamento del problema, come accade spesso in grandi metropoli come Lagos, Dakar o Abidjan: la gente muore per il crollo delle proprie, precarie, abitazioni a causa delle piogge e ai sopravvissuti non viene quasi mai offerta alcuna alternativa abitativa costringendoli di fatto a spostarsi sempre più in periferia, a volte fino ai margini delle foreste. Le emergenze ambientali sono infatti più gravi in assenza di garanzie sociali e di progetti di urbanizzazione.

Il legame tra sfruttamento della madre terra e povertà 

Come Comunità di Sant’Egidio, essendo presenti in una trentina di paesi africani, ci siamo resi conto quanto sia vero ciò che afferma Papa Francesco nella “Laudato si’”. E cioè che esiste una forte relazione tra lo sfruttamento abusivo della Madre Terra e la povertà. Abbiamo preso coscienza della necessità di una “riparazione” non solo della natura, ma insieme ad essa del tessuto sociale e umano delle città e delle nazioni. A questo livello contano molto l’educazione – e più in generale la cultura - insieme alle politiche sociali e urbanistiche che vengono scelte. È su questi piani che occorre lavorare. 

Conoscere come si è arrivati ad un inquinamento che si può definire socio-ambientale può essere utile per non commettere nuovamente gli errori del passato ma anche per favorire un progresso sostenibile di cui proprio il Sud del mondo può costituire un’avanguardia.

La storia insegna. Facciamo l’esempio della Costa d’Avorio. Si tratta di un paese che ha conosciuto il fenomeno di una progressiva desertificazione provocata dagli uomini già dagli anni Venti del secolo scorso, quando il suo territorio era ancora in massima parte coperto da foreste vergini, eccetto la savana collocata nelle regioni settentrionali. Ad un certo punto la politica coloniale decise che bisognava cominciare a tagliare gli alberi, a deforestare, ma non solo e non tanto per il commercio del legname. Occorreva creare, al posto delle foreste, numerose, talvolta immense, piantagioni di cacao, caffè e altre colture. Da una parte ciò ha progressivamente cambiato il clima del paese, dall’altra ha determinato un forte cambiamento delle sue componenti sociali. Per coltivare era infatti necessario trasferire un’imponente massa di mano d’opera, in particolare dal Nord dell’allora Sudan francese, cioè dall’attuale Burkina Faso, dal Mali e da altre regioni. Ma tutto ciò, seppure – nel caso del cacao – ha creato la ricchezza di una parte della popolazione, ha introdotto anche lo sfruttamento di migliaia di lavoratori e un significativo fenomeno di lavoro minorile. Potremmo dire esattamente la stessa cosa per altri paesi dell’Africa Occidentale. Coltivazioni oppure miniere, che provocano ugualmente la deforestazione di larghe aree, come è accaduto in Guinea Conakry, il paese di cui sono originario. E pensare che una di queste imprese minerarie si chiama “Forêt forte”, cioè “la foresta forte”. 

Ma ad un certo punto, a partire dagli anni Ottanta, le campagne sono entrate in crisi per via del prezzo sempre meno remunerativo delle piantagioni determinando urbanizzazioni fuori controllo e moltiplicazione di abitazioni precarie (causa, come dicevamo, di tante vittime per i crolli durante le grandi piogge). Una crescita delle città – in genere delle capitali - in assenza pressoché assoluta di piani regolatori. Tutto ciò ha anche alimentato il fenomeno dei bambini di strada che spesso fuggono da zone interne del paese e si ritrovano senza punti di riferimento nelle grandi metropoli. Vediamo quindi, quanto la sofferenza della natura produce spesso sofferenza dell’ambiente sociale.   

La rottura dell’equilibrio di alcuni ecosistemi ha anche determinato l’insorgere di gravi malattie. Le città dell’Africa Occidentale hanno conosciuto epidemie che prima non erano mai apparse. Ricordiamo la terribile epidemia del virus ebola, generata anche dall’”urbanizzazione” dei pipistrelli che, non avendo più le foreste come rifugio naturale, si sono spostati nelle città. Ebola, dal dicembre 2013 al 2015, ha causato la morte di più di 20.000 persone in tre paesi, Guinea Conakry, Sierra Leone e Liberia, con conseguenze nefaste anche sul piano economico e sociale.

La guerra infine è certamente il più grande nemico dell’ambiente perché lascia segni indelebili a distanza di anni (pensiamo solo alle mine), ma c’è un inquinamento invisibile che è apparentemente più innocuo ma terribilmente insidioso. Si tratta della corruzione che inquina la società alle sue radici. È evidentemente un fenomeno presente ovunque nel mondo, ma in Africa lo è in maniera particolare perché in alcuni Stati raggiunge livelli parossistici. Non si tratta infatti solo della grande corruzione, di scandali che riguardano multinazionali e grandi funzionari: quando si arriva a dover pagare un “extra” per farsi fare un’iniezione in ospedale o quando, per far passare una pratica da un ufficio all’altro, occorre “premiare” l’impiegato che in realtà fa solo il suo dovere, è l’intera società che è inquinata nel profondo. E la corruzione peggiore forse è quella interna al sistema scolastico perché nega il futuro ad un paese. 

 

Sant’Egidio, giovani e resilienza necessaria

Come dice Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’, c’è un’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta (Enciclica, 16)

Nelle grandi città africane e nel mondo, la Comunità di Sant’Egidio crede nell’educazione come passaggio fondamentale per la cura della Terra e il suo sviluppo umano e sociale. Nelle Scuole della Pace di Sant’Egidio si insegna ai più piccoli a leggere e scrivere perché è l’ignoranza in generale, la mancanza di informazioni e di conoscenza, ad ostacolare un corretto rapporto con la natura. Lì si insegna anche a a rispettare l’ambiente dove si vive, a capire che la natura ha bisogno di essere salvaguardata. 

Le scuole della Pace sono in gran parte frequentate da bambini e ragazzi in difficoltà, che provengono dalle periferie, messi ai margini dei modelli economici e produttivi. Ma soprattutto sono in pericolo tutti i minori non registrati alla nascita, spesso a rischio di ogni tipo di traffico e di abusi. Con il programma BRAVO, che prevede l’iscrizione all’anagrafe di questi bambini “invisibili” (circa 4 milioni registrati dal programma solo in Burkina) si restituisce loro un nome e così facendo si lotta contro una forma intollerabile di ingiustizia che è causa di un grave inquinamento sociale, talmente profondo da negare il nome alle persone. È la resilienza socio-ambientale di cui ha bisogno l’Africa come il pane.

Un altro esempio che viene dalla nostra esperienza: nel 2019 il ciclone tropicale Idai ha attraversato con violenza inaudita il centro del Mozambico. In modo particolare è stata colpita Beira. Ancora oggi si possono vedere ovunque i segni di quella distruzione ma, a distanza di 4 anni, le uniche case, una cinquantina, ricostruite al centro della città sono quelle messe su dai giovani di Sant’Egidio per permettere agli anziani che vi abitavano di poter restare là dove sono sempre vissuti. Evitare che fossero trasferiti ai margini della città, in contesti sociali e abitativi in cui non si sarebbero ritrovati, è una preziosa opera riparativa a livello sociale e ambientale. Si potrebbe dire: troppo poco? Molto invece, perché l’esempio può essere contagioso. Ed è ugualmente piena di aspettative l’ormai vasta rete di start-up che in Africa si occupano di ambiente, dal riciclaggio dei rifiuti delle piantagioni per offrire prodotti alternativi alla plastica, ad altri tipi di imprese che puntano sulle energie rinnovabili, prima di tutto quella solare.

I giovani, che sono la più grande ricchezza del continente in termini numerici e di energie, possono infatti essere un grande fattore di resilienza ambientale e sociale al tempo stesso. Ma occorre crederci e investire in questa direzione. 

 



I video dell'evento

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24 Ottobre 2022 | durata: 00

Il Video Integrale del Forum 1: Madre terra: un solo pianeta, una sola umanità

Kpakilé Félémou a #thecryforpeace:
Forum 1 - Madre terra: un solo pianeta, una sola umanità
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