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Christian Krieger

Presidente della Conferenza delle Chiese Europee (CEC), Francia
 biografia

Ringrazio Sant'Egidio per il gentile invito a partecipare a questo incontro internazionale Il grido della pace. È un onore per me partecipare a questa tavola rotonda.   

Le molteplici conseguenze della guerra in Ucraina, che sta destabilizzando profondamente l'economia globalizzata, mettono in discussione non solo il futuro dell'Europa, ma il mondo intero. La scarsità di fonti energetiche sta dando luogo a speculazioni che producono aumenti irrazionali dei costi dell'energia. L'incertezza sulla capacità del granaio d'Europa di garantire la sua produzione destabilizza la catena alimentare in molti luoghi e alimenta la spirale dell'inflazione. La guerra non solo minaccia il futuro dell'Europa, ma ha un impatto sulla vita quotidiana delle persone ovunque nel mondo. Mette in discussione il presente, soprattutto per le popolazioni più vulnerabili. 

Per quanto riguarda il tema della nostra tavola rotonda, l'impatto che questa tragica ricomparsa della guerra sul suolo europeo avrà sul futuro del continente: l'Unione europea è l'incarnazione di un progetto per la creazione di uno spazio di pace e libertà, fondato sui valori dello Stato di diritto, della solidarietà e della cooperazione. Certamente la solidarietà europea è messa a dura prova dalle conseguenze di questa guerra. Alcuni Stati membri fanno resistenza di fronte alle politiche messe in atto per sanzionare la Federazione Russa. Alcuni governi nutrono sentimenti pro-Putin; altri vedono in questa situazione un'opportunità politica per far valere le proprie richieste . Attualmente, di fronte alla scarsità di energia, la solidarietà tra gli Stati membri, soprattutto quelli altamente dipendenti dai combustibili fossili russi, non è una parola vuota. Realizzare una solidarietà energetica quest'inverno sarà una vera sfida. A mio parere, già a partire dal mese di febbraio l'Unione europea si è mostrata all'altezza della posta in gioco. È uno dei principali attori al centro di questo conflitto, con le successive ondate di sanzioni, la concessione di uno status specifico ai rifugiati ucraini, la solidarietà con l'Ucraina, ecc. Pertanto, ritengo che il cuore della sfida per il futuro dell'Europa sia altrove. Si tratta di un kairos che deve essere colto dall'Unione Europea e dai suoi Stati membri, ma anche dalle Chiese. Cercherò di illustrarlo in tre punti. 

 

I. Questa guerra ha prodotto un cambiamento di paradigma 

Con l'aggressione militare della Federazione Russa contro l'Ucraina, è cambiato il mondo. È la seconda volta in pochi mesi che assistiamo a un tale cambiamento di paradigma, in cui si passa da un mondo di prima a un mondo dopo. Proprio come la pandemia, questa guerra ha prodotto un importante cambiamento nei concetti e nelle dottrine che guidavano non solo il pensiero dei governanti, ma anche, e soprattutto, quello dei cittadini europei.

 

I segni di questo cambiamento di paradigma sono evidenti. Impostazioni ideologiche, storiche e quindi culturali, così come posizioni politiche inflessibili per decenni, sono state riviste, a volte in meno di 48 ore: il rapporto della Germania con gli armamenti, l'abbandono della neutralità bancaria in Svizzera per bloccare i beni degli oligarchi russi, l'improvvisa volontà di Svezia e Finlandia di entrare nella NATO. La neutralità non è più una posizione politica all'altezza della posta in gioco, anche la Svizzera è interessata da questo dibattito. Per molti aspetti, quindi, la pagina della Brexit è stata voltata (tranne che in Gran Bretagna!). L'Unione europea ha dimostrato la sua ragion d'essere. Gli euroscettici in Italia, in Svezia e altrove non vogliono più uscire dall'UE e nemmeno dall'euro - o almeno per il momento non menzionano più questa opzione come priorità del loro programma politico. 

Inoltre, bisogna constatare anche una rottura antropologica. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, la storia è stata scritta grazie alla predominanza di governi che rispettavano le istituzioni e il diritto internazionale e che hanno impostato le loro politiche in uno spirito di cooperazione multilaterale. La fine del multilateralismo è stata sancita dall'elezione di Donal Trump. Le relazioni geopolitiche s'inscrivono ormai nel quadro di rapporti di forza, dove alcuni Paesi, freddamente, non escludono più l'uso delle armi per raggiungere i propri fini politici. Inoltre, l'incapacità delle Nazioni Unite di agire sull'attuale conflitto in Ucraina dimostra che queste istituzioni internazionali sono state concepite per un tempo di pace e per governi che rispettino il diritto internazionale. 

Queste poche considerazioni mostrano chiaramente che la nostra situazione attuale non è fatta di qualche cambiamento o adattamento congiunturale, ma di un vero e proprio cambio di paradigma che vede scuotere le fondamenta concettuali che hanno governato il nostro mondo negli ultimi decenni. 

 

II.   Un kairos per il futuro del progetto europeo

Cosa significa questo cambiamento di paradigma per il futuro del progetto europeo? Per me questo cambiamento di paradigma rappresenta un'opportunità, un kairos - per usare un linguaggio biblico – tempo opportuno per continuare e approfondire il progetto europeo. Per due decenni, l'UE ha lottato con le forze euroscettiche, con logiche di ripiegamento che hanno ostacolato la sua capacità di evolversi per giocare il ruolo di attore internazionale che ci si aspettava. Durante la pandemia, e ora con l'aggressione militare in Ucraina, l'Unione europea ha dimostrato la sua capacità di resilienza. La guerra ha permesso ai cittadini europei di ricongiungersi con la narrazione dei fondatori dell'UE, una narrazione con la quale eravamo culturalmente in contrasto dall'inizio del XXI secolo. La ragion d'essere dell'UE è ormai evidente.

Per l'UE si apre una finestra di opportunità per rafforzare e ampliare il suo progetto. L'UE si è costituita secondo un modello di associazione ma è giunto il momento di passare a un modello più integrato e federativo, dotandosi così di competenze che ne rafforzino la capacità di azione, in particolare a livello internazionale. Ciò significa, in particolare, rafforzare il suo potere diplomatico e sostenerlo con i mezzi di una difesa comune.

È anche il momento di avanzare significativamente riguardo alla prospettiva di allargamento dell'UE. Non ci si può accontentare di avere Paesi che attendono nell'anticamera dell'UE per decenni. La promessa di realizzare questo progetto di creazione di uno spazio di pace e libertà deve essere perseguita e si devono compiere avanzamenti significativi. Considerando quanto i voti all'unanimità e i diritti di veto siano paralizzanti per le organizzazioni internazionali, si è aperta una finestra di opportunità per cambiare i trattati passando dal voto all'unanimità a quello a maggioranza, in particolare in materia di politica estera e politica fiscale. In questo modo si eliminerebbe uno degli ostacoli all'allargamento.

La recente prima riunione di questa nuova piattaforma di scambio e cooperazione, la Comunità politica europea, che riunisce 43 capi di Stato e di governo che rappresentano praticamente tutta l'Europa, segna questa volontà di reinventare il futuro dell'Europa. Un recente articolo di Le Monde ha lanciato un appello simile, chiedendo una terza rifondazione dell'Europa (dopo la prima alla fine della Seconda guerra mondiale e la seconda alla fine della Guerra fredda).

Concludo questo secondo punto. L'attuale guerra rappresenta più di una sfida per il futuro del progetto europeo, essa offre una finestra di opportunità, un kairos per l'allargamento e l'approfondimento di questo progetto di uno spazio di pace e libertà. 

 

III.  Le ripercussioni sul nostro approccio alla promozione della pace 

Nell'argomentazione di questa tavola rotonda si afferma che il futuro dell'Europa e il suo ruolo nel mondo dipendono in larga misura dalla capacità di promuovere il dialogo e le vie della pace, anche in tempo di guerra. Promuovere il dialogo e le vie della pace in tempo di guerra è il difficile compito che molte chiese e leader religiosi si sono assunti negli ultimi mesi. Animate e convinte dall'etica della pace che è alla base del Vangelo di Gesù Cristo, le autorità cristiane hanno cercato di creare gli spazi di dialogo o di preservare i luoghi di incontro che le vie della pace richiedono. A volte sono stati fraintesi. Il fatto che qui a Roma, durante la Via Crucis del Venerdì Santo, due donne, una russa e l'altra ucraina, abbiano portato insieme la croce ha suscitato grande emozione in Ucraina, ma anche una profonda incomprensione. 

In effetti, il cambiamento di paradigma che ho appena citato ha avuto un impatto anche sulla nostra attività di promozione della pace. Da diverse generazioni noi pensiamo e agiamo per una pace sostenibile in un contesto di pace (in assenza di conflitti armati). Cercando di lavorare sulle dimensioni cristiane della guerra in Ucraina - uso il plurale perché ci sono diverse dimensioni cristiane sullo sfondo di questo conflitto, certamente in primo luogo la posizione espressiva dell'ideologia Russkiy mir del Patriarcato di Mosca, ma anche la disputa in Ucraina tra questo stesso Patriarcato e Costantinopoli, o la questione della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, o quella della Chiesa riformata ungherese in Transcarpazia... - mi sono trovato di fronte al fatto che ci sono diversi momenti in un conflitto e che altrettanto diverse devono essere le sottolineature nella richiesta di una pace duratura, a seconda dei momenti. 

 In primo luogo, c'è il momento del conflitto stesso; il momento della violenza delle armi che causano ferite e umiliazioni, quando l'aggressore cerca di conquistare terreno, di allargare la base del suo posizionamento. Poi c'è il momento della risoluzione del conflitto, quando tutte le parti coinvolte decidono insieme di sospendere l'uso delle armi, di interrompere la spirale della violenza e di riprendere la strada del dialogo per cercare una soluzione pacifica alle loro differenze. In terzo luogo, c'è il tempo della riconciliazione che mira a stabilire una pace duratura, il tempo in cui le spade vengono trasformate in vomeri (Michea 4:1-4). Il tempo da solo non basta a guarire i ricordi. È necessario un lavoro di riconciliazione per sanare le ferite della memoria, quelle umiliazioni che sono i germi dei conflitti di domani; un tempo per convertire gli odi e i risentimenti in rispetto per l'altro e in fratellanza, e quindi per dare vita all'etica evangelica della pace.

Nel momento attuale, quello della violenza delle armi, il lavoro per ottenere la pace deve avere come obiettivo la sospensione dell'uso delle armi e rivendicare l'esigenza di verità e giustizia, che sono i fondamenti di una pace che duri nel tempo. Finché non si compie il lavoro di verità necessario per la giustizia, l'accesso a una logica di riconciliazione, o addirittura di perdono, è fuori discussione. È per questo motivo che nel lavoro e nell'attività della Conferenza delle Chiese europee queste nozioni di verità e giustizia hanno avuto la precedenza sull'obiettivo di una pace duratura che tutti noi sottoscriviamo.

Pertanto, questa guerra non solo è una sfida per il futuro dell'Europa ma anche per il cristianesimo e le religioni, costringendoli a ripensare e approfondire il loro discorso sulla pace e la riconciliazione. 

Concludo questo terzo punto sottolineando che la nostra difesa di una pace duratura deve essere circostanziata, ma senza perdere di vista il suo scopo.

IV.   Conclusione

1) Il cambiamento paradigmatico in corso offre al progetto europeo l'opportunità di un approfondimento e un ampliamento che rinforzino le ragioni della sua realizzazione e meglio soddisfino le aspettative.

2) Le Chiese e le religioni hanno un ruolo da svolgere, soprattutto nella loro capacità di contribuire a un lavoro di riconciliazione e di guarigione delle memorie e di promuovere questo lavoro tra i Paesi e all'interno di ogni società.