Compartilhar Em

L'Europa è sfidata dalla guerra. Ed è sfidata nelle sue stesse fondamenta. l'Europa, più precisamente l'Unione europea, è infatti una costruzione di pace. E’ nata da una volontà di pace dopo millenni, come è stato ricordato ieri, di guerre di tutti i tipi: politiche, religiose, sociali, civili.... E ha anche un obiettivo di pace: preservare la pace al suo interno. 

(Oggi poi appare sempre più chiaro che per preservare la pace al suo interno, l'Unione europea non può disinteressarsi della pace nel mondo, come ha detto ieri il presidente Mattarella. Lo ha fatto troppe volte, ad esempio nel caso della Siria o di tante guerre in Africa. La carenza di questo impegno ha fatto sì che la guerra arrivasse ai suoi confini, anzi – per certi versi - entrasse anche al suo interno, persino nelle sue fibre più profonde). 

Per essere una costruzione di pace, l’Unione Europea ha avuto bisogno e ha anche oggi bisogno di un’“immaginazione alternativa”, come ha detto ieri Andrea Riccardi. E’ grazie a tale immaginazione che la nascente Comunità europea ha saputo trasformare armi di guerra in strumenti di pace. Dice il profeta Isaia: “Spezzeranno le loro spade per farne aratri, trasformeranno le loro lance in falci. Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione” (Isaia  2, 4). Nel 1950 è nata la Comunità europea per il carbone e l’acciaio, per condividere - in particolare tra Francia e Germania - il carbone e l’acciaio, allora fondamentali per la guerra. In un senso ancora più profondo, le lance sono state trasformate in falci trasformando il principio stesso che ispira ogni guerra - la sovranità - in uno strumento per combattere la guerra: condividendo liberamente quote di sovranità, i diversi paesi europei hanno superato senza sopprimerla la sovranità degli stati nazionali e l’hanno svuotata della carica di aggressività che è alla sua base. E’ questa la chiave di tutti i passaggi che hanno segnato il processo di integrazione europeo dal 1950 ad oggi e che ha garantito all’Europa settantasette anni di pace, un record senza precedenti. 

Oggi la guerra minaccia l’Europa anche perché minaccia l’immaginazione alternativa che è alla base della costruzione europea. La guerra, infatti, è banale: non consiste solo in una lotta sul terreno ma è anche una forma di pensiero unico. Con la guerra, la sovranità torna ad essere semplice sovranità e non può più essere usata per il suo superamento. Con la guerra, le risorse economiche devono essere utilizzate per combattere, quelle culturali per la propaganda, quelle sociali per dividere il mondo in amici e nemici. 

L’”immaginazione alternativa” viene prosciugata, spesso inibita, talvolta azzerata. Se in tempi di pace i problemi costituiscono sempre opportunità oltre che difficoltà, in guerra tutti i problemi sembrano senza soluzione. E’ possibile sostenere chi è aggredito e insieme parlare con l’aggressore? E’ possibile invocare la pace senza che qualcuno cerchi di trarne vantaggio? E’ possibile collaborare con gli altri paesi del mondo per indurre i contendenti alla pace senza rinunciare ai miei interessi negli equilibri mondiali? No, non è possibile risponde il pensiero unico della guerra. Invece è possibile conciliare queste e altre contraddizioni, immaginando ad esempio – come ha detto ieri il presidente Macron -  una “pace impura” svincolata dai tanti miti di “purezza” che conducono all’impotenza o, peggio, alla divisione, all’esclusione, alla violenza. 

Senza immaginazione alternativa, c’è il rischio della guerra infinita, di cui ha parlato ieri il Presidente Mattarella. La guerra – in teoria – comincia sempre per la pace, si propone uno sbocco di pace, quello più favorevole ai propri interessi. Ma in guerra tutti i calcoli e tutte le previsioni vengono sconvolti e così la pace può non arrivare. O, in ogni caso, arriva troppo tardi: ogni giorno di guerra è un giorno sottratto alla pace, è un giorno di morte e di devastazione, ogni giorno diventiamo peggiori a causa della guerra, come ha detto ieri il card. Zuppi. Come diceva lo storico romano Tacito: Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant, "dove fanno il deserto, lo chiamano pace". Tanti anni fa si cantava una canzone che diceva: “Fanno il deserto e lo chiaman pace”.  

Questo, perciò, è il tempo dell’Europa, il tempo della più grande invenzione politico-istituzionale di cui oggi il mondo disponga,  fondata sull’ “immaginazione alternativa” che trasforma le armi della guerra in strumenti di pace. E’ anche il tempo di tutto ciò che alimenta tale immaginazione alternativa. E’ perciò il tempo delle religioni, che sono “alternative” per definizione: alternative ad un mondo senza valori, senza senso della dignità dell’uomo e della donna, appiattito solo sul presente, realista contro ogni senso vero della realtà che è sempre più grande delle nostre consapevolezze. 

Non sempre gli uomini e le donne credenti sono all’altezza del patrimonio trasmesso dalle fedi in cui credono. Anzi spesso questi credenti si trasformano in artefici di guerra. O, più semplicemente, in uomini e donne banali, acquiescenti davanti al pensiero unico della guerra e non più alternativi ma conformisti.  

In questi giorni, stiamo cercando di svegliarci dal torpore emotivo e intellettuale indotto dalla guerra. E ai nostri relatori chiediamo di aiutarci in questo risveglio, parlando dell’ Europa non come vittima della guerra ma come alternativa alla guerra.