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Dionysius Jean Kawak

Orthodox Archbishop, Syrian Church
 biography
“Voi tutti sapete che usavo viaggiare dalla Siria, per partecipare a convegni, congressi e altro. Però ora, tutti i rumori delle esplosioni e delle sparatorie non mi allontaneranno da Aleppo, preferisco essere un martire ad Aleppo e non un vagabondo nel mondo”
Queste parole sono del reverendissimo Arcivescovo Mar Gregorios Youhanna Ibrahim, Metropolita Siro-ortodosso di Aleppo. Trovandomi qui, in questo posto provo una grande amarezza, un dolore molto profondo e una delusione indescrivibile, stando in un posto dove lui usava stare e dal quale vi parlava spesso. Come non avere tali sentimenti sapendo che era una delle personalità più importanti che ha accompagnato la nascita di questo congresso e il suo sviluppo fino all’anno scorso 2012, ... ed oggi doveva essere lui presente qui a partecipare con voi, pero’ come voi tutti sapete e come il mondo intero sa, Sua Eminenza Mar Gregorios Youhanna Ibrahim e suo confratello Sua Eminenza Boulos Yazgi, Metropolita greco-ortodosso di Aleppo, sono stati rapiti, il 22 aprile scorso mentre erano in una missione umanitaria, cercando di salvare due sacerdoti rapiti in precedenza , ed infine sono stati anche loro rapiti e nessuna notizia al loro riguardo si e’ mai più saputa. Anche se le due Chiese: la Chiesa Siro-Ortodossa e la Chiesa Greco-Ortodossa, hanno cercato e continuano a cercare loro notizie, contattando tutte le persone di buona volontà, tutte quelle interessate  e i governi che possono influire sulla situazione in Siria, tutto questo è rimasto finora senza nessun risultato.
Allora, cari fratelli, permettetemi, all’inizio di questo discorso, di fermarmi un momento, ed offrire a questi nostri due carissimi arcivescovi tutto l’onore e la riconoscenza, e chiedere e supplicare il Signore di riportare i nostri due fratelli sani a casa loro, e con loro riportare tutti i figli rapiti della nostra cara patria, la Siria. Vi prego di unire alla mia debole voce, le vostre e chiedere a tutte le grandi nazioni  e soprattutto quelle che possono influire sulla situazione in Siria, di fare tutto il possibile per riportarli salvi a casa.
 
Dopo aver detto questo, mi piacerebbe cominciare il mio discorso sulla forza storica della preghiera, interrogandomi proprio sulla forza: Come credere alla forza della preghiera, quando pensiamo ai popoli che muoiono di fame; a quanti sono “passati attraverso il camino”, vittime di una storia dalla quale Dio è parso totalmente assente? Quando pensiamo agli innocenti che ancora oggi sono vittime della violenza e della guerra? Quando pensiamo ai poveri che vivono ai margini delle nostre città come rifiuti umani, disprezzati da tutti e – sembra - dimenticati da Dio?
 
Dobbiamo pensare che nel mondo c’è troppo poca preghiera? Oppure che Dio è sordo alle invocazioni che salgono a lui da tante persone di fede? Dai luoghi della preghiera, dove giorno e notte non si fa che trasformare il proprio respiro in orazione, in supplica, in invocazione?
 
Riflessioni e domande che sembrano solo riportare al senso della debolezza della preghiera, e non della sua forza.
D’altra parte, come può un’esperienza fatta di silenzio, giocata nel cuore, espressione della libertà della coscienza, influire sui grandi fatti della storia umana? Sui fenomeni sociali ed economici? Sulle diplomazie? Sulle decisioni che riguardano una comunità nel suo insieme? O semplicemente su quel dinamismo delle libertà umane che si intrecciano nelle relazioni tra le persone? O sugli eventi imprevedibili della vita, che sono totalmente sottratti alle nostre decisioni?
 
Le domande non fanno che mostrare quanto provocatoria sia la riflessione che mi è stato proposto di sviluppare. Ma davanti alle domande difficili, la via maestra è quella che interroga la Parola di Dio. La Scrittura è piena di episodi in cui si narra dell’invocazione dell’uomo verso Dio e della pietà di Dio per la preghiera dei suoi fedeli; in cui si parla dell’efficacia di chi ricorre a Dio per affrontare le situazioni della vita o del valore dell’intercessione.
 
Giosuè combatte contro gli Amaleciti, mentre Mosè sta in preghiera, con le mani alzate verso Dio a invocare il suo aiuto contro i nemici. Ed è così efficace la preghiera di Mosè, che non appena egli abbassa le braccia le sorti della battaglia mutano; e si fanno propizie all’esercito di Israele non appena egli torna ad alzarle nel gesto della supplica. Abramo mette in gioco tutta la sua capacità di mediazione in una preghiera destinata a salvare Sodoma e Gomorra: La sua preghiera intercede per la città con un’audace negoziazione, quasi a convincere Dio, a modificare le decisioni che egli ha già preso. La regina Ester cerca in Dio il rifugio e l’aiuto in una situazione che, dal punto di vista umano, appare impossibile e senza ritorno; e sulla preghiera mette in gioco la sua stessa vita. 
 
Gli esempi si potrebbero moltiplicare. In ciascuna di queste testimonianze, vi è una fede profonda in un Dio che si è compromesso nella storia umana, che non le è estraneo e lontano, ma partecipe e solidale.
 
La preghiera poggia sulla certezza che a Dio sta a cuore la sorte del suo popolo; sulla convinzione che Dio è attento alle invocazioni dei suoi figli.
 
Il Vangelo è tutta una narrazione del cuore tenero di Dio, nella vita di Gesù che si china su ogni dolore, che presta ascolto ad ogni invocazione quando è espressione vera di un cuore da piccoli e da umili. Le risposte di Gesù alle invocazioni di coloro che gridano a Lui superano sempre le attese di coloro che chiedono, come nel caso del centurione, che ha chiesto una parola e ha ricevuto la visita di Gesù; o di Bartimeo, che ha chiesto la vista e ha ricevuto un senso nuovo alla sua esistenza…
 
Nelle sue parole, Gesù insegna a pregare chiedendo senza timore, fino ad essere importuni come nel caso della vedova della parabola. L’invito che egli fa ai discepoli è quello di una preghiera fatta senza stancarsi, ma anche con la piena fiducia di essere esauditi, soprattutto quando la preghiera è compiuta non in solitudine, ma “in due o tre”, in comunità, nella fiducia solidale tra fratelli di fede. Ha insegnato che la preghiera più importante è quella che si rivolge a Dio chiamandolo Padre, è quella fatta con cuore da figli, così convinti che il Padre ha a cuore la nostra vita, da non esitare a pregare: “sia fatta la tua volontà”, tanto grande è la certezza che questa volontà non può che essere di amore, di benevolenza, di sollecitudine. Cioè quella di un Padre amorevole e misericordioso. La preghiera del discepolo è quella che nasce da una vita vissuta con cuore da figli. 
 
La storia che Gesù ci insegna a considerare importante, non è quella che ha per protagonisti i grandi della terra con le loro decisioni, ma in primo luogo quella che riguarda ciascuno di noi: la nostra esistenza, lo scorrere delle nostre giornate, i fatti, le relazioni… La preghiera è motore di una storia che ha per protagonisti le persone comuni, cioè tutti gli umili e i piccoli, che nella storia dei “grandi” sono nessuno, ma che sono ben presenti al cuore di Dio.
 
 
Incontrare nella preghiera il cuore del Padre è credere che l’amore che riceviamo non è solo per ciascuno di noi, ma è per tutti, per ciascuna persona. Dio si prende cura di tutti i suoi figli, di quelli che lo conoscono e di quelli che non sanno il suo nome; di quelli che lo riconoscono e di quelli che lo rifiutano; di quelli che ne sono consapevoli e di quelli che vivono chiusi nel loro giorno per giorno.
 
La preghiera contribuisce a rendere umano il cuore dell’uomo, cioè ci fa sentire la responsabilità e la bellezza di vivere secondo la dignità che il Padre ci ha dato, creandoci a sua immagine e somiglianza.
 
Vivere con un cuore da figli cambia la storia, perché consente di vivere come persone che si sanno amate, e che dunque abitano la vita con quella pace, quella serenità, quel senso di pienezza che rende liberi, perché appagati nel cuore. Cambia la storia perché fa recuperare la dimensione di quella fraternità che non permette più di essere uno contro l’altro, ma ci fa solidali nella ricerca del bene comune.
 
Se la preghiera è frequentare Dio, conduce a poco a poco ad avere sulla storia il suo stesso punto di vista; anzi, a credere nel disegno misterioso che Egli ha sul mondo e sulla storia, soprattutto credere che esso è disegno di un amore che percorre le vie della storia umana, senza violentarla né violarla. Così, a poco a poco, la preghiera conduce anche a condividere lo stesso amore di Dio per il mondo, e dunque non estraniarci da esso, a non disinteressarci di esso. E quando la storia, nell’intreccio dei percorsi della libertà e degli interessi, si fa umanamente incomprensibile, la preghiera aiuta a non prendere le distanze, ma a fare come Mosè che chiede pietà per il popolo confondendosi con esso e con le sue malefatte, a immagine di ciò che Gesù avrebbe fatto sulla Croce: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5, 21).
 
La preghiera immerge in un amore che cambia la storia. Mi pare che sia questa la conclusione cui ci ha condotto la nostra riflessione: la preghiera è forza della storia perché essa è esperienza di quell’amore che cambia la storia umana e la trasforma, dando ad essa un senso e un valore nuovo.
 
Essa porta nel cuore del mondo l’amore della Pasqua che si rinnova nella decisione con cui ciascuno, nel piccolo frammento della propria storia, vive la stessa dedizione con cui Gesù si è consegnato al Padre per la vita dell’umanità. Essa porta nel cuore del mondo la speranza di coloro che sanno che il dolore e la morte non sono l’ultima parola sulla vita, ma che, al di là della sofferenza e delle contraddizioni del momento presente, si aprirà la possibilità di un mondo rinnovato: quello in cui i ciechi, gli storpi, gli zoppi, i deboli, gli sconfitti… vedranno riconosciuta la loro dignità; essi costituiranno la primizia di un mondo rinnovato.
 
Dunque possiamo pregare: «Venga il tuo Regno», quello in cui i piccoli sono accolti, i malati guariti, i disperati rimessi in cammino… E il mondo ci si manifesterà nell’immagine bella secondo cui Dio lo ha pensato e voluto.
 
Cari amici, dopo questo breve discorso sulla potenza della preghiera nella storia, vorrei chiedervi di partecipare con me alla preghiera per la Pace in Siria, la mia patria che soffre di tanto spargimento di sangue, perché dove due o tre sono riuniti nel nome di Cristo, Lui e’ presente in mezzo a loro, come sarà allora se tutti noi ci uniamo con un unico scopo di pregare perché torni la pace in Siria e nel mondo intero. Con voce di carità, uniamoci allora al Santo Padre Francesco e al suo grido, udito in tutto il mondo: “ no alla guerra... non più guerre” e chiedendo a tutti di lavorare per la riconciliazione in Siria, nel Medioriente e in tutto il mondo... perché, la violenza e la guerra deformano lo spirito ancor prima di deformare il corpo o ucciderlo. Non abbiamo paura di chi può uccidere il corpo ma di chi può uccidere lo spirito e trasformare il cuore umano in pietra, per questo e’ necessario che il nostro grido sia forte e che sia accompagnato dalla voce delle campane che gridano la pace e l’urgenza di scegliere strade diverse dalle guerre che non portano se non al fallimento dell’umanità. La soluzione, a mio avviso, inizia sui tavoli di dialogo e non sui campi di battaglia.
Vi ringrazio a tutti... ringrazio la Comunità di St. Egidio per avermi invitato ad intervenire in questo congresso... e concludo, come ho iniziato il mio discorso, chiedendo la liberazione dei due Arcivescovi Mar Gregorios Youhanna Ibrahim e Boulos Yazgi, e di tutti i rapiti, e pregando per la pace e la sicurezza in Siria e nel mondo intero. 
Vi ringrazio per il vostro ascolto.