Share On

Michel Camdessus

Honorary Governor of the Bank of France
 biography
 Nel tempo che viviamo poter parlare della nostra passione di uomini per la costruzione di una società umana (a misura d’uomo), è davvero qualcosa che ci rinfranca , tanto è il disincanto che si diffonde intorno a noi.
Nell’ambito economico, che è il mio, in questo inizio del XXI secolo, parlare di una società a misura d’uomo, umana, invita a meditare le lezioni che vengono dalla crisi che abbiamo appena attraversato. Questa ci ha rivelato che quando l’economia di mercato si fonda esclusivamente sulla ricerca del profitto conduce alla distruzione delle ricchezze e dell’occupazione, a delle orribili sofferenze, in breve al suo stesso tracollo.
 
La crisi ci invita anche ad un’altra riflessione forse più profonda sull’uomo di fronte all’economia. Creato a immagine di Dio che è dono, egli è chiamato a farsi lui stesso dono e quindi a fare almeno un po’ di posto al dono nella sua attività economica. Potremmo anzi dire che il grado di umanità di una società si misuri sullo spazio che il dono, cioè la gratuità, occupa al suo interno. Questa affermazione può apparire paradossale di fronte a un mondo che negli ultimi trent’anni si è lasciato impregnare dal pensiero neoliberale, che ha conferito un ruolo centrale alla ricerca del profitto e che è stato costantemente proteso a marginalizzare tutti i valori etici e in particolare la gratuità. E’ dunque importante chiedersi se, in un’economia di mercato, la gratuità è una utopia o se, al contrario, essa è una condizione di sopravvivenza e di sviluppo sostenibile, durevole di un’economia.
*       *
 
 
Io credo che cercare di accrescere lo spazio della gratuità anche in seno all’economia di mercato non è utopia ma, al contrario, realismo. Realismo cristiano certo, ma io direi anche realismo tout court. 
Realismo cristiano, certamente, perché affonda le sue radici proprio nel cuore della nostra Fede. Perché la gratuità dovrebbe avere un posto centrale nell’attività economica?  Perché l’attività economica è umana e – cito Benedetto XVI – “L'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza.”, così è perché l’uomo è creato ad immagine di Dio e il dono è l’essere stesso di Dio. Dio è dono. “Questa similitudine, diceva già la Gaudium et Spes, manifesta che l'uomo…non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (par. 44). Questo è il progetto di Dio sull’uomo e attraverso di lui sulla società. C’è nella Caritas in Veritate un paragrafo 34 che noi dovremmo tutti leggere e rileggere. L’uomo è invitato, ci dice Benedetto XVI, a conoscere “la stupefacente esperienza del dono”; e quel che ha di considerevole questa esperienza è che essa è sublime ma vuol essere quotidiana, e sta a noi renderla sempre più quotidiana, nei suoi tre aspetti: nelle nostre vite, nella vita delle imprese e nelle relazioni internazionali”.
   Nelle nostre vite, prima di tutto. Il dono, forse, vi è già più presente di quel che crediamo: in tutti i gesti di apertura all’altro, di sostegno disinteressato che ci sembrano scontati, di impegno anche nella vita civile. Questa chiamata alla stupefacente esperienza della gratuità è, infatti, un invito a dare prima di tutto e semplicemente tutta la sua rilevanza a quello che già è vera gratuità, nella quotidianità delle nostre vite, senza farci bloccare dalle nostre paure e meschinità. Potrei darne mille esempi : compiere il primo passo per andare a parlare con colui di cui diffidiamo, « sminare un terreno » perché il dialogo divenga possibile,  usare al meglio non solo i nostri soldi ma anche le nostre parole : un parlare liberato, nell’ascolto dell’altro al di là dei singoli vocaboli, una parola donata… Impegno politico nella società soprattutto, “la forma più alta della carità” ha detto Pio XII. Impegno essenziale, questo. Farò riferimento fra poco al problema dello sviluppo dell’Africa e del sostegno internazionale che le è necessario. Consideriamo comunque fin d’ora che questo sostegno raggiungerà il livello necessario solo se l’impegno di coloro che, nei paesi cosiddetti sviluppati ne hanno compresa la necessità, sarà sufficientemente forte da ottenerlo.
 Questo sostegno internazionale però avrà senso solo se, nei paesi poveri, l’impegno della società civile è sufficientemente forte da ridurre quelle disuguaglianze nella distribuzione delle ricchezze che sono uno dei principali ostacoli a questo sviluppo. Dono attraverso l’impegno, al Nord come al Sud.
 
   Andiamo ancora più in là. Sono stato colpito da un certezza che animava Padre Joseph Wresinski, il fondatore di ATD Quart Monde (Agire Tutti per la Dignità Quarto Mondo),  mentre apriva un centro d’accoglienza per i poveri modestissimo in una miserabile periferia di Parigi, nell’immediato dopoguerra. Era un progetto minuscolo, ma in Padre Joseph dimorava la certezza che realizzando un progetto così, anche nella modestia di quel gesto, avrebbe fatto opera di civilizzazione ; è vero, è stato un profeta e noi oggi troviamo tracce di quel gesto fino sulla Esplanade dell’ONU a New-York. Ebbene, anche noi possiamo essere creatori di civiltà, di una « società buona », unendoci gratuitamente all’una o all’altra iniziativa, ed è una delle grandi intuizioni di Sant’Egidio. Anche noi possiamo, secondo la bella espressione di Maurice Zundel, nella grazia di Dio, fare di tutta la nostra vita un puro slancio di generosità. La gratuità è profezia, essa è già, per quanto modesti possano essere i gesti che la manifestano, realizzazione di un mondo migliore.
 
La gratuità deve essere presente anche nella vita dell’impresa e io so che già questa semplice affermazione è di scandalo per molti.  Posso dirvi che conosco degli eminenti imprenditori, cristiani dichiarati, che alla loro prima lettura della Caritas in Veritate, hanno detto :  « No, qui il Papa va troppo in là… noi siamo in una economia di competizione, l’impresa deve massimizzare i profitti,  è una questione di sopravvivenza per l’azienda e il suo personale. Per questo non si può fare spazio alla gratuità… ». Da queste reazioni si vede bene fino a che punto il virus del neoliberismo ci ha infettato, soprattutto negli ultimi trent’anni. E’ vero, ma noi sappiamo anche dove ci ha condotto, ad una crisi di cui dobbiamo dire innanzitutto che è un disastro etico, a dimostrazione del danno economico che per assurdo si cela nella corsa esclusiva al profitto. E’ dunque tempo di interrogarsi su quale debba essere il posto della gratuità nell’economia dell’attività imprenditoriale. Notiamo prima di tutto che Benedetto XVI a questo proposito prospetta la realizzazione accanto all’impresa privata, volta al profitto, e a quelle pubbliche , di diversi organismi che perseguano dei fini mutualistici e sociali. E ne auspica lo sviluppo. Ha qui quelle belle parole che testimoniano di una bella fiducia nella saggezza degli uomini : « E’ dal confronto reciproco sul mercato – di imprese private e mutualistiche – che possiamo sperare venga una sorta di ibridazione dei comportamenti d’impresa e quindi un’attenzione vigile alla civilizzazione dell’economia. Carità nella verità, in questo caso,  vuol dire « che bisogna dare forma e organizzazione alle attività economiche che, senza rinnegare il profitto, intendano andare al di là della logica dello scambio e del profitto fine a sè stessi ».
E’ esattamente quello che già fa l’impresa privata quando prende sul serio la sua responsabilità sociale .Essa introduce la gratuità nella sua strategia. Questa idea e questo approccio alla vita vanno prendendo piede. Di fronte al fallimento delle strategie di massimizzazione del profitto immediato, c’è un segno dei tempi che ci fa ben sperare. Cito ancora la Caritas in Veritate : « E’ un fenomeno che si diffonde sempre di più : la convinzione che la gestione dell’attività imprenditoriale non può tenere conto solo degli interessi dei suoi proprietari, ma deve prestare attenzione anche agli appartenenti a tutte le altre categorie che contribuiscono alla vita dell’impresa : i lavoratori, i clienti, i fornitori dei diversi elementi della produzione, le comunità che ne dipendono… e fa riferimento, cito, a « quei numerosi managers che, grazie a delle analisi lungimiranti, si rendono sempre più conto dei legami profondi delle loro imprese con il territorio o con i territori dove operano ». C’è un vocabolo che esprime questo approccio : è la responsabilità per il sociale dell’impresa, e bisogna notare che questa terminologia ha fatto la sua comparsa nel linguaggio dell’imprenditoria nello stesso momento in cui il neoliberalismo cominciava a diffondere i suoi veleni. Alcuni di noi ne hanno un’esperienza personale e diretta. Spero che nei nostri scambi ce ne diano volentieri testimonianza.
Vengo ora al terzo aspetto. 
La gratuità, infine, se sostenuta efficacemente da dei cittadini responsabili, si traduce in una politica d’aiuto allo sviluppo dei paesi più poveri sincera ed efficace. Come non ricordare qui quella « politica del dono » di cui i pontefici non hanno cessato di sottolineare la necessità a partire dalla Populorum Progressio.
   Ho notato il vigore e l’audacia della Caritas in Veritate su questo punto. Essa accosta molto decisamente due dimensioni del nostro dovere di solidarietà per lo sviluppo dei paesi poveri : quella della necessità di una redistribuzione planetaria delle ricchezze in un mondo sempre più unificato e dove le disuguaglianze nella distribuzione dei profitti divengono sempre più intollerabili, e quella della nostra responsabilità verso l’ambiente, tenuto conto delle conseguenze nefaste del cambiamento climatico, in particolare sulle popolazioni delle regioni più povere dell’Africa. Con quello che abbiamo appreso riguardo ai cambiamenti climatici, gli ambiti d’intervento delle politiche di aiuto allo sviluppo si sono allargati in maniera drammatica, proprio quando molti indici lasciavano sperare che questo intervento potesse smettere di crescere se non addirittura ridursi . Per quel che mi riguarda, sono stato particolarmente impressionato da quello che il presidente del GIEC, premio Nobel per la pace, prof. Pachauri, ci dice del rischio che corriamo, se qualcosa non cambia, di vedere decine di milioni di persone obbligate a lasciare rapidamente le terre dei loro antenati in Africa per diventare dei « migranti climatici », se le nostre politiche di aiuto non permetteranno l’adozione di programmi importanti di adattamento ai cambiamenti climatici dei paesi in via di sviluppo più poveri. Noi ci troviamo qui di fronte a un problema di sopravvivenza la cui soluzione necessita di un alto livello di gratuità. Di fatto sembra che la sopravvivenza dell’umanità passa per la sua capacità di aprirsi alla gratuità. Questo non deve sorprendere, perchè se l’uomo si realizza pienamente nel dono, un mondo che rinunciasse alla gratuità  rinuncerebbe, in qualche modo, al suo ossigeno, si esporrebbe a disumanizzarsi e deperire, come la crisi ce ne ha dato un’idea. Certo, lo sappiamo, i  tecnici competenti in finanziamento del mercato per lo sviluppo possono fare molto, ma la gratuità è insostituibile quando si tratta di migliorare le sorti delle popolazioni più povere, di quel miliardo di esseri umani totalmente privi di mezzi e intrappolati nelle diverse pieghe della povertà. L’esperienza degli obiettivi di sviluppo per il millennio è in questo senso molto preziosa, anche se noi siamo ancora molto lontani dal raggiungerla .  Però quei progressi che si è riusciti a realizzare, confermano comunque l’affermazione di Benedetto XVI che quando le nazioni fanno posto al dono nelle loro strategie, questo suscita « uno slancio… di tutt’altro valore che l’accumulo possibile di ricchezze esteriori »., esso contribuisce a a formare « poco a poco come una comunità in seno all’universo ». Il dono e la condivisione devono quindi essere parte integrante di questa « grande ridistribuzione delle risorse planetarie » che egli evocava e di cui bisognrebbe ricordare l’urgenza in ogni momento, se guardiamo all’avvenire dei paesi più poveri, specialmente in Africa che raggiungerà i due miliardi di abitanti nello spazio di una generazione, verso il 2050.
Ma attenzione, ogni politica del dono deve essere prima attenzione all’altro e consapevolezza del fatto che è lui l’artefice del suo destino. Il dono non deve infantilizzare, deve liberare le energie e le audacie perché la nuove generazioni possano  contare sul sostegno necessario per camminare verso l’orizzonte che esse stesse avranno scelto, ivi compreso quello di contribuire anche loro un giorno al bene comune universale. Aggiungiamo qui che comunque l’argomento non si esaurisce nei soli aspetti finanziari della cooperazione allo sviluppo. Se noi volgiamo uno sguardo lucido, per esempio, sui problemi dell’Africa oggi, potremo costatare che il suo primo problema non è tanto l’insufficienza dei contributi finanziari dall’esterno, ma il saccheggio delle risorse con cui essa potrebbe contribuire al suo stesso sviluppo, nel quadro di accordi poco chiari e di contratti volti allo sfruttamento iniquo delle risorse minerarie. Una dimensione fondamentale della gratuità dovrebbe essere dunque essere volta a contribuire alla definizione di regole internazionali o di aiuti tecnici alla negoziazione di contratti che permettano all’Africa di investire essa stessa nello sviluppo economico o umano le risorse che le appartengono.
 
Cari amici tutto questo mi conduce a un’ultima considerazione con la quale vorrei concludere.
Noi siamo legittimamente sorpresi davanti a tutte le forme di gratuità che incontriamo, ma forse dovremmo riconoscere che quello che noi consideriamo gratuità non è in effetti che un modesto e probabilmente insufficiente sforzo per ristabilire una giustizia. Caritas in Veritate ha su questo parole molto forti : « Se ieri potevamo pensare che bisognasse cercare prima di tutto la giustizia e che la gratuità potesse venire dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si arriva neanche a realizzare la giustizia ».Noi lo sappiamo bene, una società umana deve essere prima una società giusta.
Ecco una ragione in più, decisiva, per tentare la stupefacente esperienza del dono.