Compartir En

José Angel Oropeza

Director de la oficina mediterránea de la OIM
 biografía
Illustri partecipanti,
Signore e Signori,
è per me un onore essere stato invitato a questa importante conferenza. Vorrei ringraziare la Comunità di Sant’Egidio per avermi dato questa opportunità e per aver realizzato insieme un programma di grande interesse.
Partecipare agli incontri internazionali di Sant’Egidio è diventato un dovere per chi cerca la pace attraverso il dialogo. Questi incontri hanno il merito di scegliere sempre tematiche di forte attualità, che colgono i problemi  del momento. E anche quest’anno non ci sono eccezioni.
Proprio qui, nell’area mediterranea, stiamo assistendo a importanti agitazioni e conflitti: non dobbiamo infatti dimenticare come, anche nel momento in cui elaboriamo riflessioni, sono molte purtroppo le persone che continuano a perdere la vita. Solo il mar Mediterraneo ha visto transitare negli ultimi 15 anni più di 25.000 persone. Si tratta di persone  in cerca di pace, che scappano da persecuzioni politiche,religiose e di genere, dalla povertà e dalla fame; persone che non hanno nulla se non la speranza, e che hanno perso tutto.
Viviamo nell’epoca della più grande mobilità umana della storia – un miliardo di persone sono migranti, ossia una persona su sette. 214 milioni sono migranti internazionali, mentre 740 milioni sono profughi  internazionali.
La nozione stessa di identità individuale sta evolvendo in maniera complessa e alquanto inaspettata. Nonostante la maggior parte delle persone ammetta di avere un’identità nazionale dominante, in realtà poi riconosce di avere molteplici altre affiliazioni di fondo che variano a seconda della religione, i costumi, gli interessi professionali, oltre che alle caratteristiche locali o regionali.
Molti di questi legami possono essere di natura transnazionale, tanto più dal momento che le moderne reti di comunicazioni permettono di mantenere contatti personali in tempo reale all’interno di una città così come in tutto il mondo.
Ogni giorno vengono inviate più di 247 miliardi di e-mail.
Ad oggi, quasi 2 miliardi di persone hanno accesso a internet (contro i soli 390 milioni di persone 12 anni fa).
Oggi Facebook ha più di 500 milioni di iscritti e Twitter ha circa 200 milioni di utenti ed entrambi stanno crescendo esponenzialmente.
Date queste circostanze, non è più desiderabile nè possibile che l’incontro tra i migranti e la comunità di accoglienza venga visto alla luce dei modelli politici del passato.
Con questa mia introduzione vorrei portare alla luce le seguenti questioni:
1.Innanzi tutto, con la rapida crescita su larga scala del fenomeno della migrazione, le società multiculturali diventeranno sempre più la norma che non l’eccezione in molti Paesi (anche se non in tutti).
I migranti rappresentano l’essenza del multiculturalismo: (a) i migranti vivono in due o più luoghi, sia fisicamente che nei loro cuori e nelle loro menti; (b) essi hanno più identità, i migranti fanno da ponte tra i Paesi di origine e quelli di destinazione; e (c), i migranti rappresentano un catalizzatore per mettere in moto il cambiamento. Questa diversità sociale, se gestita correttamente, può portare –e porta - allo sviluppo di comunità creative, capaci di adattarsi, e tolleranti delle differenze.
Inoltre in molti paesi di destinazione può esistere un senso di ansia particolarmente accentuato soprattutto in un periodo in cui l’economia globale è in declino, un periodo in cui alcuni temono che la propria comunità possa essere invasa dai migranti e che la propria identità possa essere in qualche modo minacciata; un periodo in cui la natura stessa e la composizione dello “stato nazionale” sta evolvendo – spesso in modo rapido e insieme alla riduzione delle distanze data dalla tecnologia che avvicina i nostri mondi.
L’aumento delle tensioni porta a un aumento della xenofobia, del razzismo e dei pregiudizi nei confronti dei migranti, e questa è una delle ragioni per cui l’AoC è stata creata. Invece, questi cambiamenti sociali non dovrebbero essere percepiti come una minaccia all’identità personale e nazionale e non dovrebbero essere visti come un risultato inutile.
Il mondo in cui viviamo non è statico; il modo in cui accogliamo e gestiamo i cambiamenti sociali inevitabili determinerà se essi saranno o meno positivi per gli individui e le società in cui vivono. Saper gestire le diversità sociali costituisce una delle sfide cruciali del nostro tempo.
2. Questo mi porta a una seconda considerazione: la coesione sociale è una responsabilità comune.
Abbiamo tutti un ruolo importante nell’assicurare la tolleranza e la coesione sociale. I governi devono far sì che la diversità culturale sia percepita come un vantaggio e non come un ostacolo.
I governi hanno il compito di dissipare le leggende e gli stereotipi distruttivi associati alla migrazione.  Ciò può essere realizzato educando e informando i cittadini sull’immenso contributo positivo apportato dai migranti e dando vita  a politiche che favoriscano e abbraccino una migrazione ordinata.
Essi possono facilitare la transizione da una situazione di tensione a una di tolleranza, per esempio promuovendo la diversità culturale nelle comunità o scegliendo programmi di labor migration gestiti in maniera tale che essi contemplino un’integrazione adeguata, anche per periodi di permanenza temporanei.
Tuttavia, molti governi, tra i quali anche quelli che hanno tradizionalmente beneficiato della migrazione, sentono ora una pressione politica volta a limitare la migrazione stessa. Infatti stanno restringendo il regime dei visti, stanno chiudendo le loro frontiere ai migranti e varano leggi che criminalizzano i migranti irregolari.
Tutti istintivamente sappiamo, comunque, che politiche migratorie più rigide e controlli più severi non fermeranno nè rallenteranno il ritmo delle migrazioni. Come ci insegna la storia, la migrazione costituisce la più antica strategia  per ridurre la povertà: muoversi in cerca di mezzi di sussistenza. Ma, così come i governi e le società hanno la responsabilità di facilitare l’integrazione e l’inclusione sociale, così i migranti devono garantire che la loro sia una migrazione ordinata.
I governi formulano leggi e politiche per gestire le migrazioni e i migranti hanno la responsabilità di seguirle. I migranti devono ottenere documenti regolari per la loro migrazione e, una volta ottenuti, hanno il dovere di rispettare i costumi locali e obbedire alle leggi e ai regolamenti del posto. Inoltre i migranti hanno la responsabilità di relazionarsi con la loro nuova comunità, di conoscere il loro nuovo milieu, di ambientarsi e di diventare membri attivi della loro società locale.
Quando le persone si muovono, hanno bisogno di trovare i mezzi per diventare parte delle loro nuove società, per imparare le lingue locali, per iscrivere i propri figli a scuola, per fornire competenze e anche per dare un aiuto ai loro Paesi di origine colpiti da calamità e conflitti.
Ma i migranti possono intraprendere questo percorso solo se gli vengono date le opportunità per farlo.
3. La mia terza riflessione: esiste palesemente un sentimento anti-migranti diffuso in molte parti del mondo. Si tratta di atteggiamenti anti-straniero che sembravano essere in via di estinzione e che ora invece riappaiono nella forma di stereotipi nocivi, discriminazione e anche xenofobia. Il contributo estremamente positivo  che viene dato alle nostre società da parte della maggior parte dei migranti è quindi sfortunatamente molto spesso oscurato e rischia di essere del tutto dimenticato. In tali circostanze, gli scambi internazionali sulla politica migratoria riportano troppo facilmente tutto ciò su un piano di argomentazioni febbrili che riguardano: se la questione della migrazione debba o no essere posta in primo piano; se i benefici della migrazione possano essere dimostrati dando maggior peso ai costi o viceversa;  se il multiculturalismo ha portato o meno dei benefici. Queste questioni non sono senza interesse o significato, naturalmente. Esse in passato hanno tenuto occupati i ricercatori e i policy makers, e sicuramente continueranno a farlo in futuro.
Ciò che è del tutto evidente, comunque, è che stiamo vivendo in un mondo retto da interdipendenze economiche, sociali e culturali e che alla base di esse vi sono vari processi di comunicazione e di scambio. Guardare alla migrazione da questa prospettiva ha il vantaggio di ricordarci che siamo arrivati al punto in cui non è più ragionevole o utile guardare alla migrazione semplicemente come un prodotto di interazione tra push and pull factors.
Dobbiamo fare i conti con il fatto che questo fenomeno è parte del mondo interconnesso che abbiamo creato. Esso ora ha vita propria. È inevitabile, ineluttabile e per larga parte anche desiderabile. Non possiamo permetterci di perdere di vista questa realtà in tempi di incertezza economica.
Si tratta di un promemoria importante nella misura in cui la migrazione è cambiata e nella misura in cui continua a cambiare il modo in cui i migranti stessi – insieme alle molteplici comunità a cui appartengono – vivono, lavorano e interagiscono gli uni con gli altri, nei paesi di origine e in quelli di destinazione, nelle aree urbane o in piccole isole; tenendo conto dell’impatto sia economico che sociale.
Il punto che vorrei sottolineare è che, mentre non posso dire se ci si prospetterà questo o un altro scenario, è molto probabile, tuttavia, che nel prossimo futuro avremo a che fare con circostanze migratorie sensibilmente diverse da quelle di oggi.
I migranti e la loro comunità di accoglienza alla luce dei modelli politici passati.
Considerate una semplice questione che occorre riesaminare:
alcune società - un tempo relativamente omogenee e coese - stanno cedendo il passo a società multietniche e multiculturali, sia che lo vogliano sia perchè non  hanno alternativa. 
In queste circostanze come possono i valori fondamentali rimanere identici e rispettare allo stesso tempo quella diversità?
Qual è l’impatto politico e sociale del transnazionalismo e della crescente tendenza verso la cittadinzanza multipla?
Ci sono dei limiti all’entità dei cambiamenti sociali che una comunità può assorbire entro un periodo di tempo?
È possibile per comunità urbane molto differenti tra loro vivere in armonia con le comunità rurali a maggioranza monoetnica? 
Come possiamo assicurare la coesione e la stabiltà delle società e allo stesso tempo proteggere i diritti delle minoranze?
Come possiamo educare i bambini a crescere in un contesto di cambiamento dinamico della società?
I policymakers avranno bisogno di un aiuto da parte degli studiosi per sviluppare nuovi paradigmi politici per il futuro.
- La migrazione rappresenta la conseguenza dei disastri naturali compiuti dagli uomini.
La terza sfida politica che vorrei mettere in luce consiste nella lotta che negli ultimi anni la comunità internazionale ha dovuto affrontate in molte parti del mondo.
Per semplificare parlerò di gestione della mobilità relativa alle conseguenze sia dei disastri naturali sia di quelli  causati dall’uomo.
Quando ci fu il terremoto ad Haiti all’inizio del 2010, furono colpite circa 3 milioni di persone. Più di 300.000 persone morirono, un numero analogo di persone fu ferito e almeno 1 milione restò senza casa. Il rischio di un esodo di massa era enorme, ma fu scongiurato grazie al pronto intervento della comunità internazionale. Il numero di senza tetto è ormai sceso considerabilmente, ma secondo le ultime stime ci sono tutt’ora centinaia di migliaia di persone che aspettano ancora  di avere una sistemazione.
Qualche mese dopo, la peggiore alluvione della storia del Pakistan devastò più della metà del paese – 78 distretti su un totale di 141. Furono colpite circa 18 milioni di persone e 1.7 milioni videro le proprie case distrutte o gravemente danneggiate.
Un altro dislocamento indotto dagli eventi vi è stato anche in Colombia e Sri-Lanka.
Più recentemente, gli eventi sono stati dominati dai rapidi sviluppi in Nord Africa e in Africa Occidentale. In entrambi i casi la comunità internazionale è dovuta intervenire rapidamente per fornire protezione e assistenza a un gran numero di migranti lavoratori. Nella migliore delle circonstanze erano persone fuggite o ancora in fuga da conflitti e cercavano di essere rimapatriati, mentre nel peggiore dei casi erano intrappolati nel bel mezzo delle ostilità e gridavano a gran voce di essere portati al sicuro.
 
Ciò ha richiesto una stretta cooperazione tra le agenzie umanitarie e un rapido dislocamento di una complessa catena di servizi che includono la registrazione, la distribuzione di articoli non alimentari, l’assistenza medica, i servizi consolari, l’utilizzo di trasporti via mare e via aerea e l’assistenza all’arrivo.
Sottolineo queste emergenze perchè sebbene le conseguenze dello spostamento di ciascuno di essi fosse contenuto, visto da una distanza ravvicinata ciascuno sforzo costituiva un esercizio di strategia del rischio calcolato, con risorse racimolate praticamente ogni giorno per sopperire alle necessità più urgenti.
C’è motivo di credere che negli anni a venire vi saranno sfide simili e forse anche maggiori a cui rispondere. E mentre adesso le calamità improvvise tendono a catturare i titoli dei giornali, nel lungo periodo, probabilmente, la lenta insorgenza dei mutamenti ambientali richiederà più attenzione – quando piccoli stati insulari sono sommersi dall’innalzamento del livello del mare, o quando le basse aree dei bacini a delta sono intasate dal sale, o ancora quando i deserti continentali invadono i pascoli.
 
Conclusioni:
la comunità migratoria internazionale – formata innanzi tutto dai migranti stessi, ma che include anche tutti quelli che hanno a cuore il proprio benessere – sta vivendo un periodo di transizione. Gli effetti della crisi finanziaria globale si fanno ancora sentire. In questi momenti accade frequentemente che vengano espressi dei dubbi circa il valore dei migranti e della migrazione in generale.
Ma cerchiamo di avere una visione più ampia e più realistica: la migrazione fa parte del mondo che abbiamo costruito. Non possiamo evitarla. Dobbiamo invece comprendere la sua realtà e fare i conti con essa.
Ho sottilneato 3 grossi ambiti di lavoro della politica che riguardano:
- l’ efficace incontro tra domanda e offerta sul mercato del lavoro globale;
- la diversità sociale;
- le conseguenze relative alla mobilità causata dai disastri naturali e prodotti dall’uomo.
ho sollevato questi problemi non perchè ho la pretesa di avere tutte le risposte, ma piuttosto per dimostrare la serietà di intenti e l’apertura mentale che saranno necessari per far sì che la migrazione possa essere un beneficio per tutti.