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 I fatti successi in Francia il 7, 8 e 9 gennaio scorso, e la realtà del cosiddetto 

 
Stato Islamico, tra gli altri, mettono nel primo piano dell’attualità uno degli 
 
aspetti del nostro incontro sulla convivenza tra Oriente e Occidente in un mondo 
 
globalizzato: i rapporti tra cristianesimo e islam.
 
             In questo contesto, vorrei  proporvi alcuni suggerimenti per la vostra 
 
riflessione, sperando che da essa possano sorgere idee e proposte valide per 
 
l'azione, soprattutto nei rapporti tra le Chiese e confessioni cristiane e l'Islam.
 
1. Primo suggerimento: andare tutti alle rispettive fonti delle nostre credenze,
 
E' stato recentemente a Barcellona, a tenere una conferenza, il Padre Vincent 
 
Feroldi, delegato episcopale dell'Arcidiocesi di Lione per le relazioni con i 
 
musulmani. In una dichiarazione per il settimanale diocesano Catalunya 
 
Cristiana, ha detto quanto segue: "I terroristi usano il linguaggio religioso e 
 
rivendicano l'Islam; ma la mia esperienza e il lavoro che ho fatto per molti anni 
 
con la comunità musulmana, mi permettono di dire che i musulmani che io 
 
conosco non sono terroristi. Sono uomini e donne di pace, e l'Islam non è la 
 
religione della violenza ". E si chiedeva: "Come possiamo far capire questo, 
 
quando i fatti internazionali e gli attentati di Parigi ci dicono il contrario?» (Cf 
 
Catalunya Cristiana, 22/03/2015, p 6 e 7 ..).
 
Cercherei di rispondere a questa domanda dicendo che le religioni devono fare 
 
un "ressourcement", un ritorno alle fonti, ai testi ispirati da Dio, ai testi 
 
originali, che sono la norma e il contenuto fondante e fondamentale delle nostre 
 
credenze. In una parola, andare ai mistici di ogni religione -ai rappresentanti del 
 
sufismo nella religione islamica-, essi ci conducono a Dio, all'essenziale, alla 
 
fede in un Dio buono e fonte di bontà, un Dio clemente e misericordioso, che 
 
vuole il bene per i suoi figli e la pace, e non la violenza. I mistici sono i più 
 
validi interpreti del senso di ogni credo e di ognuna delle tradizioni religiose, 
 
perché le guardano nel loro significato profondo e dalla loro esperienza di Dio.
 
Sembra davvero necessaria una reinterpretazione dei testi dell'Islam, alla luce di 
 
ciò che viviamo oggi, nel XXI secolo. La Chiesa cattolica lo ha fatto con la 
 
Bibbia. I teologi musulmani hanno il compito di reinterpretare il Corano a 
 
partire dal contesto culturale attuale. Ma dobbiamo essere consapevoli che 
 
questo è un compito a lungo termine. Non si possono bruciare le tappe, ma il 
 
suo inizio è inevitabile e voci dello stesso Islam ne sono coscienti e lo 
 
reclamano.
 
Penso che possiamo distinguere tre tipi di Islam: l'Islam identitario, l’Islam 
 
politico e l'Islam spirituale. Attualmente, attraverso i fatti internazionali, quello 
 
che appare è, soprattutto, l'Islam politico,  un Islam di rottura, di opposizione 
 
all'Occidente e con una volontà di organizzare la vita della società nel suo 
 
complesso a partire dalla religione. O sei musulmano, o sei infedele.
 
L'Islam identitario si manifesta come una volontà di mantenere la propria 
 
cultura contro la forza di livellamento della globalizzazione. Ha la sua forza, 
 
soprattutto, nei settori di giovani immigrati dal Maghreb verso l'Europa - che 
 
hanno fallito a scuola e spesso si trovano in situazione di disoccupazione 
 
–influenzati dalle  accuse contro le potenze coloniali. Rappresenta inoltre 
 
un'accusa contro l’Europa e la sua imposizione colonizzatrice a paesi di cultura 
 
propria e differente dagli antichi colonizzatori. Nella nostra diocesi abbiamo 
 
avuto una religiosa – la sorella Teresa Losada, religiosa delle Suore Missionarie 
 
di Maria, ormai defunta – che fu una profetessa del diritto degli immigrati a 
 
mantenere la loro cultura materna arabo-musulmana e, in particolare, dei diritti 
 
degli immigrati musulmani a mantenere la loro lingua, i loro costumi e le loro 
 
forme culturali, dall'infanzia alla maturità.  E allo stesso tempo, dava direttive 
 
affinché l'Islam si potesse inculturare e adattarsi al contesto di ogni luogo, in 
 
modo da non essere un ghetto permanente nella nuova società che li ospita. La 
 
sua fondazione si chiamava appunto Byat-al-Taqafa, ovvero, Casa della Cultura. 
 
La cultura è un fattore di scoperta dell'altro e della convivenza, quello che Papa 
 
Francesco chiama la "cultura dell'incontro."
 
Infine, vi è l’Islam spirituale. Sono uomini e donne che vogliono vivere la loro 
 
religione, ma sono contenti di vivere in Europa. Non vogliono invadere nulla, 
 
ma aspirano a vivere in pace la loro fede e in pace con i cristiani o con  i fedeli 
 
di altre religioni; un mondo di pace, in cui sia possibile vivere insieme nella 
 
diversità. Essi chiedono di avere i loro imam, le loro moschee, e la loro richiesta 
 
è ragionevole, come ho dichiarato io stesso di recente.
 
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, il decreto Nostra aetate, del Concilio 
 
Vaticano II afferma che "la Chiesa non rifiuta nulla di quello che, in queste 
 
religioni non cristiane, è vero e santo. Considera con sincero rispetto i modi di 
 
agire e di vivere, i precetti e le dottrine che, quantunque discrèpino  molto da 
 
quelli che la Chiesa mantiene e propone, tuttavia riflettono, non raramente, una  
 
scintilla di quella Verità che illumina tutti gli uomini "(N 2). E continua 
 
affermando che "non possiamo invocare Dio, Padre di tutti, se ci rifiutiamo di 
 
comportarci fraternamente con alcuni uomini, creati ad immagine di Dio" (n.5). 
 
E infine chiede ai cristiani che "con prudenza e carità, attraverso il dialogo e la 
 
collaborazione con i seguaci di altre religioni, riconoscano, preservino e 
 
promuovano quei beni spirituali e morali, nonché i valori socio-culturali che si 
 
trovano in essi" (n.2).
 
2. Secondo suggerimento: che le credenze si sforzino a spiegarsi
 
Anche in questo caso mi riferisco alle dichiarazioni del padre Feroldi che disse 
 
quanto segue: "La mia amicizia con i musulmani in Francia mi spinge ad 
 
incoraggiarli a parlare e a farsi conoscere. Devono spiegare che cosa è, per loro, 
 
l'Islam. Ma questo, che sembra facile, non lo è affatto ".
 
La Chiesa cattolica è una istituzione che ha un capo, il Papa. E possiamo dire 
 
che quando il Papa parla, lo fa a nome o per tutti i cattolici-romani. Nell'Islam la 
 
grande difficoltà è che non vi è una autorità interpretatrice ufficiale e vincolante. 
 
Ogni musulmano è responsabile delle sue azioni davanti a Dio, e gli imam 
 
agiscono, per lo più, come consiglieri. Perciò non si può parlare di un solo 
 
Islam, ma di molti Islam. Ci sono molte correnti e molti modi di intendere e 
 
vivere l'Islam.
 
Dopo gli attentati di Parigi, molti imam hanno fatto un appello per la pace ed 
 
hanno aperto le porte delle moschee per parlare e trovarsi con la gente. La 
 
chiave sta nel poterci conoscere.
 
E dovremmo anche parlare della convenienza di azioni comuni a livello 
 
umanitario. Faccio due esempi della mia diocesi: il Gruppo di Lavoro Stabile di 
 
Religioni (GTER), piattaforma di dialogo interreligioso, con una presidenza a 
 
rotazione, che ha già compiuto dieci anni di vita, e l’attività della Caritas che, di 
 
fronte alle gravi necessità della crisi economica, aiuta - in concreto nella mia 
 
diocesi - ogni persona bisognosa che le si rivolga, senza che sia un impedimento 
 
il fatto di essere di una confessione o di una religione diversa dalla cristiana.
 
Un altro modo per abbattere i pregiudizi è intraprendere azioni congiunte. Ci 
 
sono molte questioni a livello locale, ma anche a livello internazionale che 
 
preoccupano entrambe le comunità e sulle quali è possibile  riflettere e lavorare 
 
insieme.
 
I fatti di Parigi non devono interpellare soltanto l'Islam, ma anche l'Europa. 
 
Dobbiamo chiederci quali valori ha l'Europa di oggi. A malapena sono 
 
riconosciute le radici cristiane del nostro continente. L'ideale dei padri 
 
dell'Unione Europea ha poco a che vedere con i valori attuali, che danno la 
 
precedenza all’economia di fronte alla convivenza sociale.
 
3. Terzo suggerimento: creare una tradizione di convivenza
 
Dobbiamo avanzare nel rendere compatibile la fede islamica con i valori 
 
occidentali che sono sempre più universali. Ci sono dei valori umani 
 
fondamentali che ci devono unire ai credenti di tutte le religioni, come per 
 
esempio, il linguaggio della bontà, della umanizzazione delle relazioni, della 
 
comprensione e il rispetto per ogni persona. Cosa che viene espressa, in qualche 
 
modo, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
 
E ' assolutamente necessario che in ogni paese del mondo siano rispettati i diritti 
 
fondamentali della persona umana, e in particolare il diritto alla libertà religiosa. 
 
Questo diritto appartiene ad ogni persona umana in quanto si fonda sulla dignità 
 
della stessa e deve poter essere esercitato in privato e in pubblico, da solo o in 
 
gruppo, libero da coercizione, sia da parte di individui come di gruppi sociali e 
 
di qualsiasi potere umano .
 
Se si concede ad una religione un riconoscimento civile nell’ordinamento 
 
giuridico della società - è il caso di uno stato confessionale - è necessario che, al 
 
tempo stesso, venga riconosciuto e si rispetti il diritto alla libertà religiosa per 
 
tutti i cittadini e le comunità religiose ( Dignitas Humanae, 6).
 
Di fronte al fenomeno della mobilità umana universale, gli stati devono chiedere 
 
che si metta in pratica il principio della reciprocità in relazione al rispetto dei 
 
suddetti diritti umani. A questo proposito, in una Istruzione del Pontificio 
 
Consiglio per la Pastorale dei Migranti e gli Itineranti, si legge: "Nei rapporti tra 
 
cristiani e persone che aderiscono ad altre religioni è di grande importanza il 
 
principio di reciprocità, inteso non come un atteggiamento puramente 
 
rivendicativo, ma come un rapporto basato sul rispetto reciproco e sulla 
 
giustizia nei trattamenti giuridico-religiosi. La reciprocità è anche un 
 
atteggiamento del cuore e dello spirito, che ci rende capaci di vivere, da tutte le 
 
parti, con uguali diritti e doveri. Una sana reciprocità spinge tutti ad essere 
 
“avvocati” dei diritti delle minoranze là dove la propria comunità religiosa è in 
 
maggioranza"(Erga migrantes caritas Christi, n. 64, 3 maggio 2004). Tuttavia, 
 
la reciprocità non è applicabile, come principio giuridico, alla libertà religiosa e 
 
si configura con uno strumento che si può seguire fino a  raggiungere un 
 
effettivo riconoscimento della libertà religiosa.
 
Penso che una delle priorità di questo momento è quella di rendere possibile una 
 
vera civiltà della  convivenza. Questo non era così necessario nei tempi di 
 
cristianità, ma oggi è imprescindibile. Per raggiungere questo scopo, il ruolo 
 
dell'Europa è cruciale. Perché essa stessa è una comunità umana plurale, e 
 
perché attraverso il Mediterraneo ha ereditato antichi scambi con gli altri due 
 
mondi presenti sulle rive di questo mare, Africa e Asia. (Cfr Ll. Martínez 
 
Sistach, La civiltà della coesistenza, in Cristiani nella società del dialogo e della 
 
convivenza Vaticano 2013, 67).
 
Il dialogo tra le culture sorge come un'esigenza intrinseca alla stessa natura 
 
dell'uomo e della cultura. Questo dialogo non vuol dire che le culture si 
 
annullino nella uniformità, o raggiungano una forzata omologazione o 
 
assimilazione. Il dialogo interculturale deve tendere a superare l’etnocentrismo, 
 
per coniugare l’attenzione alla propria cultura e il rispetto per la diversità.
 
Rispettare le identità indica un nuovo modo di vivere il cammino della fraternità 
 
interreligiosa. Allo stesso tempo che rispettiamo le identità dei fratelli, siamo 
 
chiamati a vivere radicati nelle fonti della propria identità. Per ottenere un 
 
dialogo autentico bisogna che gli interlocutori siano consapevoli della propria 
 
identità. Se uno di loro non conosce le proprie radici e non conosce né valorizza 
 
la propria identità, è facile che vi siano,  da parte sua , due possibili reazioni: o 
 
accettare ogni cosa nuova offerta dall’ altro interlocutore senza integrarla alla 
 
propria identità o rifiutare tutto , cosa che è un atteggiamento di xenofobia.
 
Bisognerebbe trovare delle coordinate minime per delle adeguate relazioni 
 
Oriente-Occidente. Una potrebbe essere "la ragione pratica sulla quale si basa la 
 
conoscenza morale che è anche autenticamente razionale e non semplicemente 
 
l'espressione dei sentimenti soggettivi non-cognitivi". (J. Ratzinger, testo 
 
castigliano in S. Madrigal, Il pensiero di Joseph Ratzinger teologo e papa, 
 
Madrid 2009, 285). E l’ altra sarebbe la protezione della dignità umana, che 
 
suppone  una precisa concezione degli uomini e delle donne come uguali, e la 
 
decisa tutela dei diritti umani.
 
Converrebbe creare uno spazio interuniversitario interculturale di riflessione e 
 
di studio. E' noto che nel mondo islamico alcune università mantengono una 
 
leadership nello sviluppo del pensiero dell'Islam nel suo aspetto religioso, 
 
politico, sociale, artistico e scientifico. In Europa non esistono luoghi 
 
interuniversitari permanenti di scambio di esperienze e di studi con lo  scopo 
 
accademico di creare e promuovere una conoscenza condivisa che possa 
 
favorire delle buone relazioni Oriente-Occidente. L'obiettivo potrebbe 
 
consistere in questi tre assi: 1) La conoscenza e la diffusione di nuovi modi di 
 
pensare tra l'Islam sociologico e il sistema delle società occidentali; 2) Proposte 
 
di linee di cooperazione internazionale negli aspetti tecnici, scientifici ed 
 
economici; 3) Lo sviluppo di linee di pensiero sociale per  stabilire sistemi di 
 
convivenza condivisa.
 
La convivenza tra persone di culture diverse non può sottovalutare le credenze 
 
religiose e i valori che ne derivano. Per questo, nel nostro mondo, segnato dal 
 
fenomeno della mobilità umana, il dialogo interreligioso è sempre più 
 
necessario anche per facilitare la convivenza autentica.
 
 Ci tengo a sottolineare l'esempio di rispetto per le differenze che si verificò 
 
nell’incontro interreligioso di Assisi del 1986, e i successivi Incontri annuali 
 
organizzati dalla Comunità di Sant'Egidio, in cui le varie religioni -cristiane e 
 
musulmane, tra le altre- vivono in un vera fraternità, pregano una accanto 
 
all'altra, non una contro l'altra, in un dialogo comune, che contribuisce alla vera 
 
convivenza e fraternità. Preghiera, dialogo e relazioni umane che generano 
 
relazioni cordiali, nelle quali prevalgono la conoscenza reciproca delle persone 
 
di diverse religioni e culture e il reciproco affetto. Un dialogo che deve essere 
 
planetario e nel quale la finalità dei partecipanti non sia quella di distruggersi 
 
reciprocamente, ma arricchirsi per mezzo del patrimonio delle identità religiose, 
 
etniche e culturali.
 
4.Quarto suggerimento: aiutare le autorità civili nella gestione del pluralismo 
 
religioso nelle nostre società.
 
Le autorità civili si trovano  con una realtà in buona parte nuova, soprattutto nei 
 
paesi europei di antica tradizione cristiano-cattolica. Le autorità devono gestire 
 
una nuova mappa religiosa, molto diversificata, naturalmente negli aspetti che li 
 
riguardano come autorità civili: luoghi di culto, sale di riunioni, situazioni di 
 
ordine pubblico, legalità di certe pratiche, etc.
 
A mio parere, le autorità dovrebbero trovare nelle religioni un atteggiamento di 
 
franca cooperazione nel quadro della libertà religiosa e del principio, patrimonio 
 
dell’umanità pronunciato da Gesù Cristo: "Date a Cesare ciò che è di Cesare e a 
 
Dio ciò che è di Dio "(Lc. 20, 25). A questo possono aiutare notevolmente le 
 
istanze di dialogo interreligioso create dalle stesse istituzioni religiose.
 
Nella mia città di Barcellona, vi ​​è un tempio dedicato al patriarca Abramo, 
 
costruito in occasione delle Olimpiadi del 1992. Penso che la memoria del 
 
grande padre dei credenti è un'icona della civiltà della convivenza tra i 
 
discendenti di Abramo, i figli di Isacco e i figli d'Israele.
 
Concludo con una citazione del professor Andrea Riccardi, fondatore della 
 
Comunità di Sant'Egidio, che può essere applicata anche all'Islam: "La grande 
 
sfida del cristianesimo contemporaneo è vivere nel pluralismo religioso". 
 
Dobbiamo superare questa sfida perché l'Islam e il Cristianesimo devono 
 
lavorare insieme per proteggere e difendere la dignità della persona umana, 
 
minacciata dal materialismo e dal secolarismo. Il lavoro congiunto da svolgere è 
 
enorme. La posta in gioco è la dignità della persona umana e il rispetto dei loro 
 
diritti fondamentali. Stanno in gioco l’uomo e la donna creati ad immagine e 
 
somiglianza di Dio. Si tratta di una missione comune all’'Islam e al 
 
Cristianesimo.
 
+ Lluís Martinez Sistach