Compartir En

Jaron Engelmayer

Rabino jefe de Viena, Austria
 biografía

Perché Dio ha creato il mondo?

Perché Dio ha creato il mondo? Questa domanda implica una certa complessità perché se Dio ha creato il mondo, deriva l’assunto che Dio ne ha visto la necessità. Il che vuol dire che qualcosa dovesse essere mancante prima della creazione del mondo. Forse Lui era annoiato. D’altra parte noi consideriamo che Dio è perfetto e la Sua perfezione si manifesta nel Suo stesso essere senza che vi sia una dipendenza da nulla di esterno. Pertanto la questione ci si pone di nuovo. Per quale ragione Dio ha creato il mondo?

I cabalisti ebraici come rabbi Moshe Chaim Luzzato ci danno una risposta interessante a questa domanda. Dio è perfetto pertanto dobbiamo assumere che Lui sia, tra l’altro, buono e misericordioso, ma non aveva alcun essere verso il quale proiettare la sua bontà. Per manifestare la sua bontà Dio ha avuto bisogno di creature che potessero accogliere questa bontà.

L’imitazione di Dio

Noi, esseri umani, non abbiamo modo di comprendere l’essenza di Dio dato che Dio è incorporeo e non è parte della Sua stessa creazione. Ma noi, d’altra parte, non conosciamo nulla di Lui se non la Sua creazione, il nostro mondo. Pertanto non siamo nella condizione di riconoscere e conoscere Dio stesso. Il rabbi Kotzker una volta chiese ai suoi studenti dove fosse possibile trovare Dio. Qualcuno punto il suo dito verso l’alto, verso il cielo, qualcun altro lo punto fuori dalla stanza, cioè dento il mondo dato che Dio è ovunque. Rabbi Kotzker, osservò, quindi puntò il suo dito verso il cuore e disse: “Dio è ovunque tu gli apri la porta permettendogli di entrare”.

Se noi vogliamo sapere qualcosa su Dio, possiamo farlo sapere solo riconoscendone l’azione nel mondo.

La Torah ci dà l’indicazione di aggrapparci al Signore (Deuteronomio 4,4). Qui il Talmud pone la giusta domanda (Ketuwot 111b) su come sia possibile aggrapparsi al Signore, visto che Egli è simile ad un fuoco che consuma (Deuteronomio 4,24)? I saggi spiegano che si intende: “devi camminare nelle sue vie – così come Lui è misericordioso, sii anche tu misericordioso, così com’è pietoso anche tu devi esserlo

” Il Signore viene descritto con 13 caratteristiche che in questo tempo, nella settimana prima di Rosh Hashanah, l’anno nuovo ebraico, citiamo ogni giorno nelle preghiere di Slichot (Esodo 34,6-7). “Il Signore eterno, pieno di misericordia, pietoso, paziente, pieno di bontà e verità

” Gli attributi del Signore vengono descritti affinché noi uomini li prendiamo ad esempio e li assumiamo! Se siamo benevolenti, pazienti, premurosi e generosi con il prossimo allora siamo molto vicini al Signore! Allora seguiamo la Sua via, ci leghiamo alle Sue qualità – ci aggrappiamo a lui!

Un modo per riconoscere Dio nel mondo consiste nel vedere la sua rivelazione nel comportamento di quelle persone che sono vicine a Dio e compiono la sua volontà. Nel giudaismo hanno un ruolo e un posto particolare il nostro progenitore Abramo e il grande profeta Mosé.

Abramo è considerato un simbolo e la manifestazione umana della bontà a livello assoluto. Mentre il mondo intero, in alcune circostanze, era occupato nello sfruttare lo straniero e nel cercare il proprio tornaconto come facevano gli egiziani che seguivano il faraone o i filistei che seguivano il re Abimelech o c’era chi cercava di salvare la propria vita come al tempo di Sodoma e Gomorra, Abramo si impegnava ad accogliere gli stranieri come ospiti e farli sentire come re. Quando Dio decise di distruggere gli abitanti malvagi che abitavano Sodoma e Gomorra, Abramo intercesse per loro, pregò per la loro salvezza a prescindere dalla loro malvagità e dalla divina giustizia che c’era dietro la decisione di Dio. Abramo si oppose con la bontà e noi, suoi discendenti, vediamo nel suo comportamento un modello e un ruolo e vediamo dietro questo comportamento la bontà di Dio.

Anche il grande profeta Mosè per primo si distinse nell’essere padrone della bontà prima che fosse scelto per essere guida degli Israeliti. Il Midrash racconta che stava badando alle pecore del suocero Jethro nel deserto di Madian, quando scappò  un agnello. Mosè non lo ha abbandonato ma gli corse dietro per proteggerlo. Infine, si rese conto che l’agnello stava cercando acqua e aveva sete. Dopo che l'agnello si rinfrescò a una fonte d’acqua, Mosè lo prese sulle spalle e lo riportò indietro, mentre il sole gli bruciava la testa. Allora Dio disse: "Chi si prende cura dei deboli del gregge come Mosè, è adatto a guardare il mio popolo, perché egli è anche determinato a prestare particolare attenzione ai più deboli e proteggerli"!

La Torah, pertanto non descrive Dio, ma dice come gli umani, dovrebbero essere e comportarsi, per essere immagine di Dio e imitare le sue vie. Dove gli esseri umani si comportano in questo modo, lì incontriamo Dio!

La guida di Dio è per la bontà e la misericordia

Inoltre non solo nelle azioni dei nostri grandi modelli è possibile riconoscere la bontà e la misericordia divina che orientano la vita umana, ma anche e soprattutto nelle leggi divine della Torah.

Tra i numerosi esempi possibili vorrei  evidenziarne un paio. Questa settimana non solo finiamo un altro anno ebraico, dal momento che la prossima settimana festeggiamo il nuovo anno, ma un anno molto speciale: l’anno "Schmitta ". Esso cade ogni sette anni, e la Torah istruisce i proprietari di campi ad aprire le loro porte e fornire frutti e grano a tutti e in modo uguale! Come si può dare ai proprietari dei campi una legge del genere? Per quale motivo si dovrebbe dire agli agricoltori di abbandonare il reddito di un intero anno e lasciarlo a tutti quanti sono di passaggio? Per questo Dio nella Torah dà la spiegazione più logica: "Dal momento che questo è il mio paese – lo possiedo - e tu sei abitante con Me". Questa spiegazione è alla base di un'esperienza profondamente religiosa: i contadini in realtà non possiedono i loro campi, poiché i campi appartengono a Dio. Essi hanno solo il diritto di coltivare i campi e di conservare quei frutti per sé dato che il vero proprietario - Dio - non ha voluto chiedere niente in cambio, come ad esempio le tasse per i poveri e i bisognosi, ma durante l'anno “Schmitta”, chiede di dare qualcosa a tutti!

Un altro esempio lo troviamo nel famoso comandamento: "Ama il prossimo tuo come te stesso uomo!" Questo comandamento è probabilmente ben noto a tutti. Forse è meno noto il fatto che il comandamento proviene dalla Torah, dal terzo libro di Mosè (Levitico 19, 18). Inoltre, dovremmo chiederci: perché? Perché dovremmo amare il prossimo come noi stessi? C'è qualche logica in questo? Lui è solo un estraneo per me! Come è possibile amare e avere cura per lui come per me? E perché dovrei farlo? La risposta a questa domanda la troviamo nella stessa frase della Torah, perché si conclude così: "Ama il tuo prossimo come te stesso, Io sono il Signore!" Qual è il collegamento tra le due parti della frase?

Un essere umano tende per sua natura a prendersi cura dei suoi bisogni. Appartiene ai suoi istinti biologici naturali. Tuttavia, ci sono al di fuori di lui altri esseri cui si sente vicino e di cui si prende cura: la sua famiglia. Perché in loro vede una parte di sé, un prolungamento della propria persona! La Torah ragiona e spiega, perché dovremmo coinvolgere anche gli stranieri nella nostra carità e nella cura di loro: "Perché io sono il Signore" Lo stesso Signore che ha creato tutti gli uomini ed è quindi il padre di tutti, vuole che i suoi figli si prendono cura l'uno dell'altro e si amino fraternamente! Poiché tutti gli uomini provengono da una stessa origine, in realtà tutte le persone sono una sola famiglia, e pertanto dovrebbero sentirsi collegati gli uni agli altri!

Proprio questo tipo di solidarietà può essere sentita presso i meravigliosi incontri di Sant’Egidio - può trasparire tutto l'anno e ha un effetto e un impatto su moltissime persone in tutto il mondo!