7 Settembre 2009 16:30 | Teatro J. Słowacki

Contributo



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David Rosen

Rabbino, consigliere speciale della Casa della Famiglia Abramitica (AFH) di Abu Dhabi, Israele
 biografia

John Paul II and the Spirit of Assisi
Sant Egidio, Krakow, September 2009
Rabbi David Rosen



Sono particolarmente onorato di questo invito a parlare nella sessione su Giovanni Paolo II e lo spirito di Assisi. Lo scorso anno a Cipro ho partecipato alla sessione su Giovanni Paolo II e la sua visione di pace. Di conseguenza credo logico ritenere che la comunità di S. Egidio abbia deciso che il mio omaggio a Giovanni Paolo II lo scorso anno non sia stato proprio male. A parte i complimenti, sono particolarmente onorato di essere riconosciuto come persona capace di rendere adeguato onore a chi è stato un così grande leader religioso e una guida spirituale del nostro tempo.

Come ricordavo lo scorso anno, chi di noi è coinvolto nelle relazioni ebraico-cristiane, deve una particolare gratitudine a Giovanni Paolo II, anche al di là di tutti i suoi notevoli successi ecumenici e di dialogo interreligioso.  Come uomo con una profonda comprensione del potere dei gesti simbolici, egli ha incarnato la trasformazione delle relazioni ebraico-cattoliche, a partire dalla Nostra Aetate, in eventi, come la visita alla sinagoga di Roma e il suo pellegrinaggio in Terra Santa, portando tali relazioni a nuove altezze. I documenti vaticani promulgati sotto il suo pontificato, le sue stesse parole e gli scritti hanno ulteriormente approfondito e arricchito tale relazione. E’ giusto dire che nessun papa ha mai conosciuto il popolo ebraico come Giovanni Paolo II e con ogni probabilità nessun altro lo conoscerà altrettanto. Egli comprese i cambiamenti del Concilio Vaticano II rispetto agli Ebrei e all’ebraismo alla luce della sua “propria esperienza personale, fin dai primissimi anni di vita nella propria città natale” (Varcare la soglia della speranza, G.Wiegel, p. 96)

Tuttavia, le relazioni ebraico-cristiane sono uniche. Lo spirito di Assisi, manifestatosi nello storico incontro del 27 ottobre 1986, è andato oltre ogni particolare relazione bilaterale. Esso fu costruito sul Concilio Vaticano II in un modo tale da esprimere una visione spirituale che trascendeva le particolarità di ognuno pur sempre rispettandole.


Giovanni Paolo II  in quello’occasione chiarì con le proprie parole quello che era e quello che non era lo spirito di Assisi:

“Il fatto che siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra di noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede.
Non significa neooure che le religioni si siano riconciliare a livello di un comune impegno in un progetto mondiale che le sorpasserebbe tutte. Non è neppure una concessione al relativismo nei credi religiosi, perché ogni essere umano deve sinceramente seguire la propria retta coscienza con l’intenzione di ricercare ed obbedire alla verità

Il nostro incontro attesta solo – e questo è il suo reale significato per I popoli del nostro tempo – che nella grande battaglia per la pace, l’umanità, nella sua diversità, deve attingere alle proprie sorgenti più profonde e più unificanti, dove si forma la coscienza e dove si fonda l’agire morale di ogni popolo”.
Proprio attraverso la preghiera, ad Assisi e da allora in poi, Giovanni Paolo II cercò di esprimere tale visione.

Nel suo indirizzo alla Curia nel 1986, egli sostenne la necessità che tutti I popoli preghino per la pace, affermando che “ogni preghiera autentica è sotto l’influenza delle spirito che intercede in modo insistente per noi….. perché non sappiamo neppure pregare come dovremmo”. Ma colui che prega “con gemito inesprimibile” lo fa nello “stesso Spirito che era all’opera nell’incarnazione e nella vita, morte e resurrezione di Gesù”.

Inoltre, nella Redemptoris Missio (1990, p. 28), Giovanni Paolo II dichiarò che lo Spirto Santo è all’origine della “ricerca esistenziale e religiosa di ogni uomo”, specialmente nella preghiera, e che “la presenza e l’attività dello Spirito non tocca solo gli individui, ma anche la società e la storia, i popoli, le culture e la religioni”.

Al centro di questa visione è la comprensione profonda della dottrina teologica del Concilio vaticano II.

La Lumen Gentium, 16, dichiarò che “coloro che non conoscono il Vangelo di Cristo o la sua chiesa, ma che tuttavia  cercano Dio con cuore sincero e che, mossi dalla grazia, cercano con le loro azioni di compiere il Suo volere, quale rivelato attraverso i dettami della loro coscienza – anche costoro possono raggiungere la salvezza eterna”.

L’enciclica continua (17) “qualunque bene si trovi …nei cuori e nelle menti degli uomini, o nei riti e costumi dei popoli, non solo è salvato dalla distruzione, ma è purificato, innalzato e perfezionato per la Gloria di Dio, la confusione del diavolo e la felicità dell’umanità”

Nostra Aetate (2) afferma che “la Chiesa Cattolica non rifiuta nulla di ciò che è vero e santo nelle altre religioni. Essa ha alta considerazione per la vita e la condotta, i precetti e le dottrine che, sebbene diverse per tanti aspetti dal proprio insegnamento, tuttavia spesso riflettono un raggio della verità che illumina tutti gli uomini e le donne”.

Tuttavia Gionanni Paolo II andò oltre e dichiarò che esistono i cosiddetti “Semina verbi” (semi della Parola) – una sorta di comune radice soteriologia – presenti in tutte le religioni (Varcando la soglia della speranza, p.81).

Nella  Redemptoris Missio (sezione 20), affermò che “è vero che la realtà incipiente del Regno può essere trovata oltre i confini della Chiesa tra i popoli del mondo, nella misura in cui essi vivano i “valori del Vangelo” e siano aperti all’operare dello Spirito che soffia quando e dove vuole." (R.M. 20)

In altre parole Giovanni Paolo II riteneva che le religioni del mondo contribuissero veramente alla venuta del Regno dei Cieli sulla Terra.

Questa è una straordinaria e coraggiosa teologia universale che suscitò non poche critiche e naturalmente ci sono molti correligionari di Giovanni Paolo II che non sono a proprio agio con essa.
Tuttavia questa visione, lo spirito di Assisi, costituisce proprio il pensiero di Giovanni Paolo II sia come fondamento che come motivo dell’urgenza nel rafforzare la cooperazione tra le religioni, in un comune sforzo spirituale, pur nel rispetto delle differenze.

Nel suo discorso del 1995 al Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha citato quattro tipi di dialogo - la vita, l’azione, lo scambio teologico e l’esperienza religiosa. E’ l’ultimo di questi, ha dichiarato, che porta “una profondità e qualità che preserveranno questi (gli altri) dal pericolo di un mero attivismo”
 
In altre parole, seppur lavorare insieme per migliorare il nostro mondo sia di fondamentale importanza;  per Giovanni Paolo II lo spirito di Assisi è molto più di questo. E’ la percezione che lo Spirito Santo vada trovato nelle differenze tra religioni e culture; e che il nostro impegno spirituale gli uni con gli altri e soprattutto i nostri sforzi spirituali comuni ma diversi, espressi nei diversi modi con cui ci mettiamo in relazione col Divino nel nostro mondo, abbiano un valore e un potere grande. Davvero lo Spirito di Assisi conferma che l’impegno interreligioso e le nostre rispettive preghiere per la pace, diverse ma unite, sono un imperativo religioso con cui  possiamo portare il Regno dei Cieli sulla Terra.

Possiamo noi essere all’altezza di questa visione.