8 Settembre 2009 17:15 | Città vecchia

Meditazione



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Crescenzio Sepe

Cardinale, Arcivescovo di Napoli, Italia
 biografia

Meditazione su Mc 11, 20-25


Cari fratelli e care sorelle,
“com’è bello e come dà gioia che i fratelli stiano insieme”, recita il salmo. E’ l’esperienza che abbiamo vissuto in questi giorni. Uomini e donne di religioni e culture diverse si sono trovati insieme per la stessa ragione: in uno spirito di amicizia pregare il Dio della pace perché avvenga il miracolo dell’unità e la vittoria della pace sulla violenza e sulla guerra. Oggi, al termine di questi giorni, noi cristiani siamo più consapevoli di quanto avremmo potuto fare e non abbiamo fatto, ma soprattutto della forza e dell’efficacia della preghiera. La comunità di Sant’Egidio, che negli anni si è mantenuta fedele allo spirito di Assisi di cui Giovanni Paolo II fu l’iniziatore, ci testimonia che la sorgente del proprio operare è la preghiera e l’amore per la Parola di Dio. Cari amici della comunità, vorrei ringraziarvi per questa testimonianza semplice e umile, ma essenziale, che permette anche a noi di condividere uno spirito di autentica fraternità e unità al di là delle differenze che ci separano.

Le parole di Gesù di fronte alla meraviglia dei discepoli per il fico seccato sembrano poco realiste in una società dominata dal materialismo e dal fare: “In verità vi dico: Se uno dicesse a questo monte: Levati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà”. La preghiera è una forza debole per gente che si crede forte e vive talvolta contrapposta agli altri. Infatti, preghiera e umiltà vanno di pari passo. Prega chi riconosce la propria debolezza e sa di avere bisogno, di non poter vivere senza Dio e senza gli altri. La mancanza di preghiera è un  segno di orgoglio, di autosufficienza, è espressione di un cristianesimo individualista al cui centro c’è il nostro io. Per questo preghiera e perdono sono strettamente connessi. Chi prega sa anche perdonare, perché sa di essere in debito e non in credito almeno di fronte al Signore. Il perdono spezza la catena delle ingiustizie e delle rivendicazioni, dell’affermazione delle proprie ragioni su quelle degli altri, aiuta a vedere nell’altro un amico e non un avversario. Il perdono dell’uomo e della donna che pregano segna l’irruzione della grazia di Dio che cambia i cuori e di conseguenza le parole e la azioni. Il perdono è via alla pace. L’abisso del male, che questa mattina abbiamo toccato con mano ad Auschwitz, sia di monito per ognuno di noi, per non cedere allo spirito di divisione e al disprezzo degli altri.

Sorelle e fratelli, in questa preghiera ecumenica ci rivolgiamo all’unico Dio Padre di Gesù Cristo, perché la preghiera fatta con fede compia il miracolo di avvicinarci gli uni agli altri e di avvicinare noi cristiani all’umanità intera. C’è bisogno di uomini e donne  di Dio, che comunichino a tutti la forza del perdono e dell’amore. Le parole di Gesù che oggi abbiamo ascoltato sconfiggono quella legge dell’impossibile che rischia di imprigionare anche le nostre realtà ecclesiali. “Tutto è possibile a chi ha fede”. Noi lo crediamo. Per questo preghiamo con fede il Signore, perché ci conceda il dono tanto desiderato dell’unità e della pace. Che ognuno di noi personalmente e che ogni nostra realtà sia segno di quell’unità della famiglia umana che Dio ha voluto per il mondo intero fin dalle origini. O Signore della pace, non permettere che nessuno di noi sia causa di divisione e di inimicizia. Rendici tutti figli della tua pace e concedici di mantenere vivo lo spirito di amicizia che in questi giorni abbiamo vissuto con intensità.