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Joachim Gnilka

Catholic Theologian, Germany
 biografia

1.    Fra ebraismo, cristianesimo ed islam esistono importanti connessioni. Se li si confronta, si riscontra costantemente che nel vasto consesso delle religioni mondiali queste tre religioni particolari venerano un unico Dio, differenziandosi da tutte le altre religioni politeistiche, animistiche e dalle diverse varianti della vita religiosa proprio per il loro carattere monoteistico.

Questa connessione si approfondisce e si concretizza ulteriormente per il fatto – e questa è una prospettiva allargata – che queste tre religioni sono in relazione con Abramo. Si parla per questo anche delle tre religioni abramitiche. Ma noi dobbiamo al momento presente considerare, che ciò che sappiamo di Abramo lo conosciamo attraverso le nostre Sacre Scritture. E qui veniamo al punto.

Abramo è il capostipite del popolo ebraico. Al capitolo 12 della Genesi, dopo la storia della creazione e la preistoria dell’umanità, comincia con la sua storia quella che in teologia chiamiamo la storia della salvezza. Alla sua chiamata, descritta per la prima volta in Genesi 12, è connesso il comando divino di uscire dal suo paese, dalla sua patria e dalla casa di suo padre. Dio conclude con lui e con la sua discendenza un’alleanza eterna. Come segno dell’alleanza riceve la circoncisione. Ma al comando ad uscire dalla sua terra è già connessa la promessa rivolta ai popoli: “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3).

Nel Nuovo Testamento si parla ripetutamente di Abramo. Giovanni il Battista, l’ultimo dei profeti, ammonisce contro la falsa sicurezza di essere stirpe di Abramo: “Dio può suscitare figli di Abramo da queste pietre” (Mt 3,9). Il riferimento più importante è probabilmente quello in Romani 4 , dove Paolo, elogiando la grande fede di Abramo, dice: “Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia”. Se Paolo indica la fede di Abramo come archetipo della fede cristiana, non lo fa in nessun caso per sottrarre Abramo agli ebrei e ad Israele. La priorità di Israele vale per lui in ogni circostanza. È piuttosto questione di includere i pagani divenuti credenti nella stirpe di Abramo nel senso di far valere anche per loro la promessa divina.

Anche nel Corano Abramo ha una grande importanza. L’Islam potrebbe addirittura essere definita come la religione di Abramo. Infatti per il Corano è importante che Abramo si sia convertito alla fede in un solo Dio, mentre aveva prima adorato stelle, luna e sole come dei (Sura 6, 74 sgg). La sua conversione è messa in relazione con uno scontro irreparabile che Abramo ebbe con suo padre, perché lo voleva far arrivare alla sua stessa dichiarazione di fede. È poi utile ricordare che il Corano fa risalire la discendenza  di Abramo non, come la Bibbia, da Isacco, figlio di Sara, ma da Ismaele, figlio di Agar, la schiava di Abramo. Effettivamente Ismaele era nato prima di Isacco. Ma poi Agar fu cacciata insieme ad Ismaele da Abramo dopo la nascita di Isacco.

2.    Il Nuovo Testamento è pieno di contenuti dell’Antico Testamento. Senza l’Antico, il Nuovo Testamento sarebbe incomprensibile. Gesù era ebreo. Dire questo è diventato così normale da sembrare una banalità. Gesù ha spiegato la legge, la Torà di Mosé (discorso della montagna). “Avete inteso che fu detto agli antichi … ma io vi dico” (Mt 5,21-22). Ha mutuato il suo insegnamento etico dall’Antico Testamento. Alcuni interpreti ritengono che l’insegnamento di Gesù nel discorso della montagna abbia numerosi paralleli nella letteratura ebraica del tempo. Forse si deve prestare attenzione ai punti su cui è stato posto l’accento. Quando Gesù spiega la Torà e la espone ai suoi ascoltatori, in teoria fa la stessa cosa che facevano i partiti religiosi ebraici e i loro maestri (Hillel, Shammai). Anche i farisei, i sadducei, la gente di Qumran facevano una loro propria esegesi della Scrittura. Mi riferisco al “Padre nostro”, la preghiera che dobbiamo a Gesù e che è una preghiera interamente ebraica. Essa ha una forte impostazione escatologica ed ha il suo centro nell’invocazione “venga il tuo regno”. Il “Padre nostro” ha dei corrispettivi nella liturgia ebraica nelle sue singole richieste (la preghiera delle diciotto richieste). Solo per intensità escatologica il “Padre nostro” si eleva al di sopra dei suoi paralleli ebraici.

Nel Nuovo Testamento, e in particolare nei Vangeli e nel Corpus Paulinum, ma praticamente in tutti gli scritti neotestamentari, si fa riferimento all’Antico Testamento nel senso del suo compimento. “Questo è accaduto perché si compissero le Scritture”, “come sta scritto”: queste espressioni ricorrono in continuazione, la prima nei Vangeli, la seconda in Paolo. In questo modo i due testamenti, le due alleanze, le due Scritture vengono a costituire una unità. Questa è la visione cristiana. La via era stata tracciata in precedenza. Ciò che avviene nel Nuovo Testamento era stato preannunciato nell’Antico. Anche Gesù ha parlato del compimento: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.” (Mt 5,17 sg). Riconosceva di essere sottoposto a questa norma. Quando viene arrestato, nell’orto degli ulivi, dice a Pietro, che voleva fermare il corso degli eventi: “Rimetti la tua spada al suo posto … Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?” (Mt 26, 52.54).

3.    Noi condividiamo con l’ebraismo la Scrittura dell’Antico Testamento. Ciò è divenuto possibile perché Gesù, il fondatore del cristianesimo, era ebreo; perché la prima comunità di Gerusalemme, la prima cellula del cristianesimo era esclusivamente giudeo-cristiana. Anzi, si potrebbe anche dire che era ebraica, perché i dodici apostoli erano ebrei. È il grande dono che noi abbiamo ricevuto, attraverso Gesù e la prima comunità di Gerusalemme, dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle, gli ebrei e le ebree. È il vasto e solido ponte che ci lega all’ebraismo, che collega la Chiesa e la Sinagoga. Il punto che ci divide è il modo in cui guardiamo a Gesù. L’ebraismo vive ancora nell’attesa del messia, nella promessa che ha lasciato numerose tracce nell’Antico Testamento e che risale a Davide. “Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere … io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio.” (2 Sam 7,12-14). Per la fede cristiana questa promessa si è temporaneamente compiuta in Gesù di Nazareth. Dico “temporaneamente” perché anche noi siamo nell’attesa della seconda e definitiva Parusia del nostro messia. Resta pertanto una prospettiva comune di attesa di ciò che deve venire, di colui che deve venire, radicata nella Scrittura e che unisce cristiani ed ebrei. La memoria delle accuse che i cristiani hanno mosso agli ebrei rispetto alla morte in croce di Gesù è molto dolorosa. Noi cristiani ci siamo resi colpevoli e dobbiamo chiedere perdono per questo agli ebrei. Oggi sappiamo con certezza ancora maggiore che, teologicamente parlando, la morte di Gesù riguarda tutti, in termini di peccato e di perdono. Sappiamo anche che, da un punto di vista storico, la condanna a morte di Gesù fu comminata e eseguita dal romano Ponzio Pilato.
4.    Anche il Corano ha dei collegamenti con le Scritture dell’Antico Testamento e anche del Vangelo, ma in maniera molto più significativa con l’Antico Testamento. Ripetutamente sono nominate le “genti della Scrittura” o “del Libro”. Con queste espressioni si fa riferimento ad ebrei e cristiani insieme. Si potrebbe anche tradurre “genti della Bibbia”. Ma si parla anche distintamente di ebrei e cristiani. I cristiani vengono sempre chiamati Nazara. Lo si dovrebbe tradurre con “Nazorei”, un antichissimo nome dei seguaci di Gesù, nome che è stato attribuito per la relazione con Gesù, che era chiamato il Nazareno. Come nome per i seguaci di Gesù lo troviamo negli Atti 24,5: “Abbiamo scoperto che quest’uomo (Paolo) è una peste … ed è un capo della setta dei Nazorei”.

Nel Corano sono ripetutamente riportate storie veterotestamentarie della creazione, di Noè, Abramo e Mosè con l’uscita del popolo dall’Egitto, di Giuseppe. Sono riportati anche il racconto della costruzione della Torre di Babele, di Caino ed Abele. È di interesse che queste tradizioni veterotestamentarie non siano citate secondo il testo dell’Antico Testamento, ma in parte in parallelo letterale con i Midrashim ebraici (H. Speyer). Centrale in essi è il credo monoteistico, che viene continuamente ribadito, come nel cosiddetto verso del trono: “Allah. Non vi è altro dio all’infuori di lui, il vivente, l’assoluto.” (Sura 2,255). Si compari a questo versetto lo Schema Israel (Dt 6,4 sgg): “Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore…”.

Gesù viene citato nel Corano quattordici volte. La dicitura più frequente è quella di Gesù, figlio di Maria. I racconti su Gesù riguardano esclusivamente la sua infanzia. Probabilmente esisteva un Vangelo dell’infanzia di Gesù in arabo dal quale è stato tratto l’episodio del miracolo degli uccelli, che Gesù bambino avrebbe fatto. Vengono riportate solo due pericopi evangeliche, le storie dell’annuncio della nascita di Giovanni il Battista e quella della nascita di Gesù. Vi troviamo anche alcuni detti di Gesù, che però non sono riportati come suoi, come le parole sul cammello e la cruna dell’ago (Mt. 19,24; Sura 7,40). Nella Sura 48,29 abbiamo un’allusione alla parabola del seminatore. La più grande differenza è quella relativa alla confessione cristiana di Gesù come figlio di Dio. Essa viene sempre contestata, a volte con parole  forti.

5.    Credo che ci siano due aspetti in grado di renderci più vicini. Il primo è la chiamata di Abramo. Con la scelta di Abramo comincia la storia della salvezza, la storia di Dio con il suo popolo. I popoli hanno seguito percorsi diversi. Ma Abramo è per noi tutti il padre della fede. Isacco ed Ismaele avevano due madri diverse, ma un padre comune. La vocazione di Abramo ed in particolare la sua grande fede, che si è manifestata nella sua vita e nella sua morte, ci potrebbe condurre su un cammino che ci avvicina gli uni agli altri.
Il secondo aspetto è quello della fede in Dio creatore. Intrinsecamente collegata a questa fede è la conseguenza che noi ci consideriamo creature di questo Dio. Nella Bibbia come nel Corano, nei Salmi come negli inni, Dio viene celebrato come il creatore. Sono all’unisono, come la sinfonia di un accordo. Il fatto di riconoscere che siamo stati creati ci richiama al comune compito a sentire la responsabilità per la creazione, che è in pericolo, a prenderci cura del nostro bel pianeta azzurro, che deve essere salvaguardato in quanto presupposto necessario della vita di tutta l’umanità.