7 Setembro 2009 09:30 | Aula do Collegium Novum UJ

Intervento



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Ho iniziato a scrivere questa riflessione nel giorno in cui gli Anglicani commemorano uno dei loro vescovi più santi, Jeremy Taylor. E’ stato vescovo di Down e Connor in Irlanda e per una volta Cancelliere del Trinity College di Dublino. Morì nel 1667. Mons. Taylor fece esperienza diretta di un conflitto sanguinoso. E’ stato infatti per un certo tempo prigioniero di guerra durante la Guerra Civile inglese, faceva parte delle forze fedeli al Re. Dopo la guerra, ritornò agli insegnamenti spirituali e ci ha lasciato un’eredità di spiritualità e saggezza di stampo classico anglicano, attraverso due scritti "Regole ed esercizi per vivere in santità" e "Regole ed esercizi per morire in santità". Nell’introduzione a questi suoi lavori, Mons. Taylor scrive:

"Quanto la religione si riveste dell’armatura, essa può detenere il potere della spada, ma non il potere della divinità. Non c’è rimedio se non la condivisione delle sofferenze di Cristo e il ritorno al Dio della Pace"

Mons. Taylor ci ricorda così che per i Cristiani la guerra non è un destino. Il nostro rimedio non è di cingerci con il potere della spada, ma di entrare nel mistero della sofferenza stessa di Cristo, quella sofferenza sulla croce che misura la larghezza dell’amore di Dio, l’amore del Dio della pace.

Molti lettori non-Cristiani del Nuovo Testamento non si sbagliano nel notare come il sacro testo mostra come Cristo si opponga inequivocabilmente alla guerra ed alla violenza. Lo stesso Mahatma Gandhi  è stato influenzato dal Gesù pacifico e  non-violento, ed in modo particolare dai suoi insegnamenti sulla pace espressi nel Discorso della Montagna. Ed è per questo strano osservare come molti lettori Cristiani del Nuovo Testamento non trovino gli stessi significati quando leggono la Parola del Signore di fronte al male. L’insegnamento che Cristo da ai suoi discepoli non è il cammino di una resistenza armata ma solo ciò che può essere chiamato pacifismo [amore per la pace]. Hai rivolto ai suoi discepoli parole dirette:

"Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste. Mt 5.38-39,43-45b.

Ci dimenticheremo presto degli insegnamenti di Nostro Signore come se fossero un sogno idealistico o Gesù che sta seduto davanti a noi è la nostra reale aspirazione e il nostro autentico destino?  L’insegnamento è così chiaro  che non dobbiamo diventare violenti quando siamo aggrediti, ma dobbiamo trovare una via più alta, cosa che è degno desiderio di Dio, cosa che è stata dimostrata nel sacrificio stesso della vita di Cristo.

Il nostro Dio è un Dio della riconciliazione, e tale riconciliazione è conosciuta attraverso Gesù Cristo, attraverso le sue sofferenze, il suo perdono e il suo sacrificio. Non è una riconciliazione facile, ma richiede fatica; il prezzo di quella riconciliazione si vede sul crocefisso. Ogni volta che i Cristiani celebrano l’Eucarestia, noi la indichiamo come il prezzo della nostra redenzione, il prezzo del desiderio di riconciliazione di Dio è stato il sacrificio di suo Figlio sulla croce del Calvario. Quando facciamo condivisione nel mistero Eucaristico sappiamo che a causa dei nostri peccati, per i quali nostro Signore fu crocifisso, non abbiamo scelta se non perdonare perché siamo stati perdonati. Questo è il modo attraverso cui partecipiamo del lavoro di riconciliazione di nostro Signore per il mondo e per tutti i popoli. Questo non è un percorso facile; è la via della croce. Quando il Vescovo Jeremy Taylor parla della "sequela delle sofferenze di Cristo", il santo vescovo sta senza alcun dubbio parlando di 1Pt 2.20-22,

"Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme". Le orme sono la via crucis.

Ma, nonostante il fatto che il percorso della riconciliazione sia un percorso difficile, san Paolo chiarisce esplicitamente che questo è il cuore del ministero della Chiesa, questa è la vocazione del popolo di Dio: la riconciliazione.  "Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione".2 Cor 5.18/19

Nonostante queste prime testimonianze sulla via della pace e della riconciliazione siano il cuore della vocazione Cristiana, c’è uno sviluppo incomprensibile nella storia Cristiana.  È la rapidità con cui il chiaro insegnamento di Gesù contro la violenza è stato modificato per essere, forse, più accettabile per l’uomo che invece continua ad esercitare violenza ed a combattere. Fin dai tempi dell’Imperatore Romano Costantino, preti e vescovi hanno benedetto le armate, e hanno pregato per la sconfitta del nemico, e tutto in nome del Principe della Pace. La posizione pacifista basata sull’insegnamento di Nostro Signore è stata ampiamente messa da parte (eccetto forse nella tradizione monastica).

È perfino stata elaborata una tradizione teologica per spiegare perché dovrebbe essere così, iniziando dalle riflessioni di Sant’Agostino, elevata mente teologica, che ha formulato la nostra teologia classica della giusta guerra. Alcuni scrittori Cristiani hanno tentato di spiegare come il pacifismo universale raccomandato dai vescovi e dai maestri Cristiani prima di Costantino non fosse tale perché eravamo proprio contro la guerra ed il coinvolgimento militare di per sé, ma perché non volevamo avere niente a che fare con l’idolatria, o il culto dell’imperatore, che invece era richiesto ai soldati Cristiani che si arruolavano!

Ed ancora più spaventosa è la terza via che alcuni Cristiani hanno sposato durante la nostra storia, anche storia recente, che non riflette né il pacifismo della nostra Chiesa primitiva, né il compromesso della giusta guerra dei tempi successivi. Parlo delle crociate. La crociata è giustificata da una teologia per cui combattere è un dovere sacro. Deus vult, Dio lo vuole. Ovviamente i crociati possono trovare molti precedenti nella Bibbia che giustifichino la loro opinione, in particolare nel Vecchio Testamento, per esempio dove è scritto chiaramente che il nostro Signore Dio era con il popolo d’Israele quando hanno espulso i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei dalla terra promessa. "Tu le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia" scrive l’autore in Deuteronomio 7.2. Sappiamo di leaders politici e gruppi che si dichiarano Cristiani e che citerebbero facilmente una teologia delle crociate. Siamo consapevoli di quanto ciò possa essere pericoloso nel nostro mondo moderno. Ma quanto si è allontanata una tale teologia rispetto al pacifismo di Cristo!

Se sembra che ci siano stati tre approcci differenti alla guerra lungo i secoli dell’era Cristiana: pacifismo, semplice guerra e crociate, dobbiamo esaminare se mai la Chiesa ha veramente offerto una qualche possibilità al primo approccio. Si può sostenere che abbiamo provato per due secoli e mezzo  a seguire il semplice insegnamento di Cristo sulla pace, ma che per il resto del tempo abbiamo accettato di seguire uno degli altri due approcci. Ci potremmo chiedere, "Abbiamo dato all’insegnamento originale del Vangelo una qualche possibilità per vedere se avrebbe mai funzionato?"

Sono incuriosito e rincuorato da ciò che osservo nella mia stessa tradizione Anglicana (e questo lo condivido con veramente tanti Cristiani), che c’è stata cioè una rivalutazione negli ultimi decenni che ha portato ad un insegnamento ufficiale che è più vicino al pacifismo della Chiesa primitiva. La maggior parte delle riflessioni Anglicane sulla guerra sono state segnate da una approvazione sincera alla scuola della giusta guerra (anche se ci sono stati momenti nella storia Anglicana nei quali la violenza è stata inflitta su gruppi, più nello spirito delle crociate). Anche oggi, c’è una accettazione generale delle quattro argomentazioni della teoria jus ad bellum per determinare le condizioni sotto cui una guerra possa venir considerata giusta: giusta causa, opportuna autorità, corrette intenzioni e ultima risorsa.

I vescovi della Chiesa d’Inghilterra hanno usato esattamente questi strumenti per riflettere su entrambe le Guerre del Golfo, e hanno concluso che il coinvolgimento nella prima potrebbe essere considerato giusto ma non eravamo così sicuri nella seconda: sul fatto che gli Stati uniti abbiano guidato l’invasione e sulla guerra in Iraq.

Ed una volta coinvolti nel conflitto armato, sulla base della corrispondenza alle quattro considerazioni dello jus ad bellum, gli Anglicani vogliono comunque determinare se la guerra è combattuta in maniera giusta.  Così useremmo i criteri dello jus in bello per valutare ciò, e così si considerano anche le reali probabilità di successo, le morti civili e la loro proporzione.

Ma fin dalla fine della Prima Guerra Mondiale nell’insegnamento ufficiale Anglicano è incominciata una graduale rivalutazione od evoluzione, direi perfino ad un ritorno alle posizioni primitive e più radicali dell’insegnamento stesso di Cristo. I vescovi riuniti per la Conferenza di Lambeth nel 1920 non sono riusciti ad esprimere una chiara risoluzione contro la guerra, anche se la guerra  del 1914-1918, la "Grande Guerra", così come loro stessi la chiamavano, era appena finita. La Conferenza di Lambeth del 1920 approvò risoluzioni sulle Relazioni Internazionali ma non riuscì ad esprimere una condanna chiara e diretta della guerra. La Risoluzione n°1, per esempio, parla in un linguaggio molto pio di una visione di un futuro di pace, ma non denuncia in modo esplicito la guerra:

"Ci rallegriamo che in questi tempi di pericolo, Dio dà alla sua Chiesa una nuova visione del suo desiderio di instaurare un Regno in cui tutti i popoli della terra sono uniti come una sola famiglia nella giustizia e nella pace. Riteniamo che ciò possa avvenire solo attraverso l'accettazione della sovranità del nostro Signore Gesù Cristo e del suo insegnamento, e attraverso l'applicazione dei principi di fratellanza, di giustizia, e di altruismo, verso gli individui e le nazioni" .

10 anni dopo, alla Conferenza di Lambeth del 1930, è espresso chiaramente, in maniera univoca un concetto che, se non proprio pacifista, ci riporta fermamente indietro all’esempio evangelico di Gesù Cristo. Superficialmente non menziona gli anni della dottrina della giusta guerra. La risoluzione n°25 afferma senza mezzi termini "Questa Conferenza dichiara che la guerra come metodo per redimere le dispute internazionali è incompatibile con l’insegnamento e l’esempio di nostro Signore Gesù Cristo" .

A causa della Seconda Guerra Mondiale la successiva Conferenza di Lambeth non si tenne fino al 1948, e ogni successiva Conferenza di Lambeth da allora e fino al 1998 ha rafforzato la risoluzione del 1930. La risoluzione n°106 del 1958 afferma, per esempio:

"La Conferenza riafferma che la guerra come metodo per redimere le dispute internazionali è incompatibile con l’insegnamento e l’esempio di nostro Signore Gesù Cristo, e dichiara che niente tranne l’abolizione della guerra stessa debba essere l’obiettivo delle nazioni, dei loro governanti e di tutti i cittadini " .

Nel 1978 i vescovi hanno rafforzato il loro pensiero ancor di più parlando del peccato della guerra:

"Noi affermiamo inoltre che l’uso della moderna tecnologia di guerra è il più impressionante esempio di peccato collettivo e prostituzione dei doni di Dio" .

Nel 1988 in una complessa risoluzione i vescovi hanno approvato in modo prudente l‘antica tradizione Cristiana di pacifismo affermando in una clausola di quella Conferenza:

"La conferenza sostiene coloro che scelgono la via della non-violenza come via di nostro Signore, considerando anche le azioni dirette di non-violenza, la disobbedienza civile e l’obiezione di coscienza, ed inoltre offre il suo tributo a coloro che negli anni recenti hanno mostrato al mondo la crescente minaccia del militarismo" .

Questo percorso di ritorno agli insegnamenti di amore della pace di Cristo non si è sviluppato senza critiche da parte di coloro che, nella società e nel governo, ritengono che sia sbagliato o al massimo naive per la Chiesa di ritornare all’accettazione del pacifismo. Ciononostante, molti teologi Anglicani metterebbero in discussione se i criteri della teoria della giusta guerra possano essere applicati in modo da giustificare il valore morale di recenti interventi militari accaduti in paesi come l’Iraq. Certamente essi non sembrano sostenere o fornire le linee guida morali di fronte ad un nuovo tipo di conflitto – ciò che è qualche volta chiamata "guerra al terrorismo".

La storia dell’umanità è piena di conflitti, alcuni possiamo chiamarli giusti, molti erano chiaramente ingiusti. Dobbiamo riconoscere che fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ci siamo confrontati con possibilità di tipologie di guerra che non possono essere considerate altro se non follia, ingiustificabile da qualsiasi criterio teologico. Penso a quelle guerre, di cui siamo capaci, che usino tecnologie atomiche, biologiche o chimiche. Quanto è importante quindi, che le Chiese rivalutino se vi sia una qualche base morale con cui giustificare la guerra moderna, o se la nostra posizione ufficiale non debba considerare un insegnamento più vicino a quello della Comunità Cristiana primitiva.

I cristiani credono che la trasformazione del mondo in un regno di giustizia, amore e pace è il lavoro che Gesù ha inaugurato.  È in questo compito che i Cristiani e la Chiesa ora sono impegnati. I cristiani non si fanno illusioni sul mondo in cui viviamo: è imperfetto; è caduto, peccatore, è ferito e grida per la guarigione. Non dubitiamo inoltre che la guarigione, la restaurazione, il perdono e la redenzione ci sono state donate nella vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo.  La guarigione e la redenzione sono radicate nella via dell’amore. La via dell’amore di Cristo è un amore che si dona, amore per gli altri, amore che rinuncia a qualsiasi potere sugli altri. È incondizionato e raggiunge anche coloro che ameremmo odiare – i nostri nemici.

E quanto è importante che riconosciamo nel nostro mondo globalizzato, mondo che è un mosaico di culture in contatto una con l’altra come mai prima, che l’interezza e la guarigione che è testimoniata nella rivelazione Cristiana non è quella in cui una forza, cultura, razza o gruppo dominante impone i suoi modi agli altri. È un’interezza e una guarigione in cui c’è una pluralità di culture, popoli e comunità, che vivono in armonia, con le loro differenze. La visione del Nuovo Testamento consiste nel fatto che la diversità non è più intesa come una possibile fonte di conflitto. La diversità è in realtà sorgente di benedizione. Il progetto di Dio si esprime nel fatto che nella nostra diversità noi riflettiamo la sua gloria e riceviamo la sua benedizione. Questo è quello che è rappresentato nella visione di Pentecoste nell’effusione dello Spirito di Dio sulle genti e sui gruppi riuniti a Gerusalemme. C’era comprensione e un impegno all’unità tra di loro, anche se erano distinti e diversi gli uni dagli altri. E nelle differenze e diversità, la benedizione di Dio era abbondante, e la benedizione di Dio accresceva la loro comunità di altre comunità.

Il destino, l’approdo del lavoro della riconciliazione di Dio in Cristo, si vede in questa visione di Pentecoste. Erano tutti stupiti quando tutti, grazie alla potenza dello Spirito, Parti, Medi, Elamiti e residenti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene e stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretyesi e Arabni, si sentivano e si comprendevano. È importante che Gli Atti degli Apostoli menzionino questi gruppi etnici perché provengono da tutto il mondo conosciuto a quel tempo, e molti di loro erano nemici giurati gli uni degli altri. Dal momento che molte delle recenti guerre nel mondo hanno avuto una origine etnica: nell’Irlanda del Nord, nel Kosovo-Metohija, nello SriLanka, in Ruanda, per citarne alcuni, la visione di Pentecoste diviene ancora un più forte ricordo del desiderio di Dio di redenzione.

Nella visione di Pentecoste vediamo una inversione della confusione, della paura e della divisione che esiste tra le persone nel mondo, la divisione mostrata nell’immagine antica della Torre di Babele. È un’immagine che inverte le sorti della conquista e dell’imposizione di una cultura, di un gruppo etnico dominante o di un insieme di valori che vediamo nel Deuteronomio. La Pentecoste è la visione di una comunione riconciliata di diversità di popoli di Dio.

La forza dello Spirito, non la forza della spada è il progetto di Dio per il destino del nostro popolo.