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Puthan Veetil Rajagopal

Presidente e Membro Fondatore di Ekta Parishad, Premio Niwano per la Pace 2023, India
 biografia
Amici,
 
Prima di tutto, voglio ringraziare gli organizzatori di questa conferenza per avermi invitato, dandomi la possibilità di parlare. Ho pensato che il tema suggerito per il mio intervento, “Abbattere i muri”, fosse molto appropriato, perché questa è un’attività nella quale sono costantemente impegnato in India. 
 
Permettetemi di cominciare dicendo che oggi non ci sono molti leader con un’ampia visione globale. I leader attuali, sia in politica che in economia, tendono a costruire le loro posizioni su un insieme di interessi in modo da proteggere la loro base di potere; e per fare questo, creano associazioni basate sulla casta, sulla classe, sulla religione, sulla razza e/o sulla lingua. Dopo di che, una simile visione ristretta e di parte può essere utilizzata per dividere la società e creare politiche basate sul “noi e loro”. Sviluppandosi, tutto questo può scatenare repulsione e odio per “l’altro”, e ciò dà l’impressione che, se un gruppo si unisce, possa poi regolare i conti con “l’altro gruppo”.
 
Al contrario, il Mahatma Gandhi (durante il movimento per l’indipendenza dell’India) ha fatto riferimento ad una visione più ampia ed inclusiva, detta “Sarvodaya” (“benessere di tutti”) ed egli ha così spiegato tale termine: “il mio personale benessere corrisponde al più ampio benessere della società” e non il contrario. Egli chiamava le persone a lavorare per il “Sarvodaya”, riferendosi ad esso come a una guida, sia a livello nazionale che locale. 
 
Il compagno del Mahatma Gandhi, Vinoba Bhave, ha espresso un altro concetto ugualmente importante, noto come “Jai Jagat” (“Un pianeta, un popolo”). Ha spiegato il bisogno dell’umanità di andare al di là dei limitati panorami geografici, e di accettare il mondo intero come un’unica casa planetaria. Considerava che i problemi del mondo contemporaneo non possono essere risolti all’interno di un dato orizzonte geografico, ma piuttosto rafforzando le interconnessioni globali (con le persone e con la natura). 
 
La presente sfida della minaccia nucleare dovrebbe costringerci a muoverci verso il Sarvodaya (“benessere di tutti”), mentre l’esiziale crisi climatica dovrebbe farci abbracciare il Jai Jagat (“Un pianeta, un popolo”). Disgraziatamente, continuiamo ad andare avanti come al solito ed a seguire le muse politiche del nazionalismo ottuso o del regionalismo fortificato. Porre un freno all’attuale corso delle cose richiederà una leadership politica ed economica illuminata che faciliti un movimento collettivo ed incentivi le persone a porre il pianeta al di sopra del profitto, e ‘condivisione e cura’ al di sopra della smodata avidità. 
 
Nel considerare alcuni degli approcci strategici che possono ‘abbattere i muri’ ovunque possibile, volevo riflettere su due momenti della nostra storia collettiva che hanno cambiato profondamente la visione del mondo di estese popolazioni. Il primo, si è avuto con le parole dei due astronauti americani, Neil Armstrong e Buzz Aldrin, che sono scesi sulla Luna nel 1969 e che, quand’erano in orbita, scattarono l’iconica fotografia della Terra. Questa offrì alla gente di tutto il mondo, per la prima volta, un’immagine del pianeta dall’esterno della nostra collocazione terrestre. Gli astronauti hanno osservato che non c’erano spaccature sulla superficie della nostra terra (con ciò significando che non c’erano “muri” o confini che dividessero le persone tra regioni geografiche). Questa foto simboleggia una visione planetaria che dà alla gente il senso di un futuro comune. 
 
Un altro momento di ispirazione di un futuro comune si è avuto quando il Mahatma Gandhi ha condotto una rivoluzione non violenta contro l’Impero britannico, non semplicemente per liberare il paese da una potenza imperiale esterna, ma per liberare la gente dall’oppressione, dallo sfruttamento e da ciò che oggi possiamo definire una pace non sostenibile. Gandhi faceva notare che i muri si trovavano nelle menti [delle persone], per cui, se non se ne fosse cambiato il comportamento, i muri non sarebbero crollati. Gandhi ha anche fornito numerosi strumenti e metodi per cambiare questa mentalità. Una volta, quando il grande storico Acharya Kripalani incontrò il Mahatma Gandhi, gli chiese come la rivoluzione non violenta indiana potesse avere successo, quando le rivoluzioni in Francia, in Russia, o in Cina erano state violente…? L’immediata risposta di Gandhi fu: “Signor professore: lei insegna la storia, ma io la sto facendo”. 
 
Ciò che le generazioni successive, in India, hanno imparato da Gandhi è come possano essere inventati metodi nonviolenti più progrediti e civili per risolvere i problemi, se c’è la volontà di farlo. Sviluppando l’impegno ad usare la non-violenza, si può provocare un eccezionale effetto di trasformazione sulle persone. Permettetemi di portare un esempio. Un’azione globale, ossia la marcia del Jai Jagat, è stata avviata nel 2019 da un’organizzazione sociale indiana con esperienza nell’azione sociale non-violenta. Il 2 ottobre 2019, cinquanta costruttori di pace, provenienti dalla società civile dell’India e di altri dodici paesi, hanno pianificato di marciare dal samadhi (luogo di sepoltura) di Gandhi, a Nuova Delhi, fino alle Nazioni Unite a Ginevra, in Svizzera, nell’arco di un anno. Questa marcia, lunga un anno, mirava a raccomandare delle modifiche negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU, in modo da includervi il punto di vista delle persone emarginate. Questa lunga marcia di undicimila chilometri, attraverso undici paesi, era impegnativa, dato che necessitava del permesso di diversi governi nazionali e soggetti civili. Ottenere il permesso di marciare attraverso Pakistan, Afghanistan ed Iran divenne un compito molto faticoso, perché c’erano fin troppi muri da affrontare! Alla fine, dopo aver completato la nostra marcia in territorio indiano, siamo stati costretti ad inviare delegazioni più ridotte in Pakistan, Afghanistan ed Iran, prima di riunirci in Armenia per continuare il viaggio. Purtroppo, questa lunga marcia dovette essere interrotta dopo cinque mesi e mezzo, a Erevan, la capitale dell’Armenia, a causa della pandemia di Covid. Ciò che la marcia ha ottenuto, è stato di focalizzare i molti muri che erano stati eretti e anche gli strumenti strategici per abbatterli.
 
Nei paesi attraversati dai marciatori, erano stati eretti muri per proteggere gli interessi dello status quo e per impedire alle comunità emarginate di portare le proprie rimostranze a Ginevra. Migliaia di persone cui è negata giustizia nei loro paesi, volevano presentare a livello globale le proprie rimostranze unendo le forze alla lunga marcia del Jai Jagat e far sì che le proprie voci venissero ascoltate dai disegnatori e dagli attuatori degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU.
 
L’applicazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU non ha dato risposte adeguate alle persone sullo scalino più basso della gerarchia economico-sociale e, come risultato, molti uomini e donne dal Nord Africa, dalla Siria e dall’Afghanistan stanno rischiando le loro vite nel pericoloso viaggio su barche verso l’Europa, attraverso il Mediterraneo. È spiacevole e scioccante che, invece di stendere le braccia verso queste persone per liberarle dalle loro pene e sofferenze, molti governi siano impegnati a rafforzare le guardie di frontiera e ad innalzare muri fortificati e recinzioni di filo spinato. Non è accettabile trovarsi di fronte a una situazione simile in un mondo c.d. civile. Se milioni di persone soffrono povertà e privazioni e lo stato continua a soffocare le loro voci in nome dell’orgoglio nazionale e della sicurezza interna, ciò costituisce un affronto morale e una violazione del Diritto Umanitario. Ciò di cui c’è bisogno, non sono sistemi di sicurezza più severi, ma un fare giustizia che generi un’autentica sicurezza umana.   
 
Da circa 25 anni, sono impegnato nella mobilitazione di un gran numero di aborigeni emarginati, per sfidare l’iniquo sistema che li sta dislocando dalla loro terra e dalle loro risorse vitali. I processi di urbanizzazione, di privatizzazione e di meccanizzazione [ne] hanno costretto molti a spostarsi verso le città e le baraccopoli. Ho usato metodi non-violenti gandhiani per mobilitare le persone, perché premano sul governo, affinché questo realizzi politiche nell’interesse dei poveri e degli emarginati. Per es., nel 2000, migliaia di persone hanno marciato per 3.500 chilometri, per un periodo di sei mesi; nel 2007, 25.000 persone hanno marciato per 350 chilometri, fino alla capitale indiana; nel 2012, hanno marciato 100.000 persone. Come risultato di queste azioni di massa organizzate non-violente, è stato possibile provocare alcuni importanti cambiamenti di politica e, alla lunga e attraverso l’esperienza, abbiamo imparato la tecnica e la scienza della mobilitazione di massa non-violenta come un modo per far crollare alcuni dei muri costruiti per perpetuare ingiustizia e discriminazione.
 
Spero che questa conferenza possa impegnarsi a lavorare con quanti occupano posizioni di potere, in direzione di un sistema che possa rendere giustizia a tutto, non solo alle persone, ma anche alla natura. È inoltre importante che le persone continuino a promuovere e a rafforzare azioni di massa non violente, provenienti dalla gente comune, dalla base della società, perché premano per un cambiamento, verso l’edificazione di una società fondata sulla giustizia e la pace.
 
In conclusione, non abbandoniamo la speranza che qualcuno dei futuri leader politici possa avere una visione più ampia ed essere in grado di offrire l’ispirazione di un Neil Armstrong o di un Mahatma Gandhi e lavorare a strategie per abbattere i muri, siano essi politici, sociali od economici. Uno slogan che utilizziamo spesso in India è: ‘l’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque’; e ‘la violenza commessa in un luogo equivale alla violenza commessa in ogni luogo’.
 
Jai Jagat