8 Settembre 2014 09:30 | Auditorium ING

Il martirio



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Brian C. Stiller

Global Ambassador della Alleanza Evangelica mondiale, USA
 biografia

Entrando nell’Abbazia di Westminster si possono vedere, all'ingresso, le statue di dieci importanti martiri del ventesimo secolo, tra cui Dietrich Bonhoeffer, Martin Luther King e Oscar Romero. Per  martire si intende normalmente chi, a causa della sua fede, è ucciso da un persecutore.

Quindi chi includiamo nella categoria di martire? King è un martire? Todd Johnson, uno studioso di Boston, in un articolo di prossima pubblicazione (" Il martirio cristiano come fenomeno diffuso", Journal of Modern Society and Social Science, nov./dic. 2014) propone una definizione allargata che porta a una stima di 160.000 martiri per ogni anno dell’ultimo decennio del ventesimo secolo, cioè a 1,6 milioni di martiri fra il 1990 e il 2000.

Vengono infatti inclusi coloro che "hanno agito come testimoni" con riferimento a "tutto il loro stile di vita, indipendentemente dal fatto che stessero attivamente proclamando la fede al momento della morte". Si amplia dunque grandemente il concetto; ne derivano numeri che peraltro lo studioso evangelico Thomas Shirrmacher contesta fortemente.*

Non è mia intenzione oggi aprire una disputa con questi massimi studiosi, ma vorrei  segnalare il rischio che si tenda a minimizzare il martirio perché il numero di quelli che muoiono in quanto cristiani non sembra fare notizia. Troppo spesso ignorati dai governi, dai media e dagli accademici, noi Cristiani siamo chiamati a far conoscere la realtà dei tanti che pagano con l' estremo sacrificio della vita.

Gesù racconta la parabola della donna, una vedova, a cui un giudice iniquo, forse corrotto, nega la giustizia. Il giudice alla fine cede alle insistenze della donna; con linguaggio da pugile dice: "prima che mi faccia un occhio nero le darò ragione". Nella parabola Gesù paragona ironicamente il giudice a Dio; in sostanza dice: "se anche un giudice iniquo cederà alla richiesta di giustizia di una donna vulnerabile, perché teme che possa rovinargli la reputazione, immaginate quanto più il Padre celeste darà giustizia a chi gliela chiede".

Racconto questa storia perché di fronte al martirio, che è una delle peggiori forme di ingiustizia, il Signore Gesù ci dice che sua è la preoccupazione per la giustizia.

D' altra parte vi è però l' avvertimento biblico che la persecuzione verrà con l' obbedienza a Cristo. Citerò alcuni versetti:

”... metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome.” Luca 21,12

“Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza”.  Giacomo 1, 2-3

“…Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome.” I Pietro 4, 16 

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Si sovrappongono dunque due messaggi biblici: da un lato ci viene detto che saremo perseguitati per la testimonianza della fede. Dall' altra veniamo incoraggiati a chiedere giustizia. Tra queste due facce della questione anche noi, qui oggi ad Anversa e poi nei nostri rispettivi mondi di influenza, siamo alla ricerca di mezzi e modi perché sia resa testimonianza e allo stesso tempo sia offerta protezione ai perseguitati e ai torturati e giustizia a coloro che sono stati uccisi.

Tre anni fa' tre importanti comunità cristiane – rappresentate dal Consiglio Mondiale delle Chiese, il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso e l' Alleanza Evangelica Mondiale - si sono accordate per rendere pubblica una dichiarazione comune chiamata "La testimonianza cristiana in un mondo multireligioso, Raccomandazioni di condotta".

Nel preambolo si legge:
"La missione è l' essenza stessa della Chiesa. Proclamare la parola di Dio e dare testimonianza al mondo è essenziale per ogni cristiano. Allo stesso tempo è necessario che ciò sia fatto in spirito evangelico, in atteggiamento di amore e rispetto per tutti gli esseri umani".

L'antefatto di questa dichiarazione comune è che alcuni paesi stavano prendendo in considerazione di emanare leggi che avrebbero reso la testimonianza religiosa, cui fosse seguita la conversione, un reato. Suggerisco di leggere il documento sul sito di una delle Comunità promotrici; esso contiene una lista di principi etici per guidare la testimonianza di fede, nel rispetto dei diritti umani e dello spirito del Vangelo.

Il problema è che in un mondo in cui le diverse comunità religiose vengono a mescolarsi per effetto delle migrazioni, dei commerci e degli scambi culturali, per quanto si voglia imitare l'atteggiamento di Cristo ed essere rispettosi dei diritti umani, non si può rinunciare alla comunicazione della fede senza ripudiare la  natura stessa del Vangelo. Come afferma la Dichiarazione comune, "proclamare la parola di Dio e dare testimonianza al mondo è essenziale per ogni cristiano". 

Ognuno di noi qui ha le sue storie di uccisioni individuali e massacri di gruppo che possono solo essere viste come martirio. L'intolleranza e la rabbia che la mescolanza di fede e cultura sembra ispirare non fanno che peggiorare.

Come cristiani dovremmo forse evitare di professare la fede e attenuare così la possibilità di persecuzioni e martiri? Sono sicuro che questioni diverse dalla fede acuiscono le tensioni che portano alla violenza. E sicuramente le linee guida contenute nella dichiarazione comune sono importanti, sia per contribuire a ridurre la violenza, sia per agire in modi che onorano il Signore.

E tuttavia non dare testimonianza significa disubbidire alla chiamata della Bibbia. Se crediamo che Gesù è la via per la salvezza e la vita eterna, come possiamo tacere? Le scelte che abbiamo davanti non sono facili.

Miriam Adeney in "Regno senza confini" racconta la storia di un pastore etiopico che negli anni 80 fu messo in prigione. Il presidente Nyerere saltò su un aereo e volò in Etiopia per chiedere che al pastore fossero concesse la libertà e la possibilità di lasciare il paese. La richiesta fu esaudita.

Ma il pastore disse: "No, non lascio il paese. Il mio posto è qui. Se parto, saranno demoralizzati tutti i pastori che non hanno la stessa possibilità. Verrebbe smentito quanto ho sempre detto, quando invitavo i cristiani a non abbandonare il nostro paese nel momento del bisogno."

Dopo pochi giorni fu ucciso dai soldati.

Nello stesso periodo un altro pastore, Assefa, fu imprigionato e liberato varie volte, senza che venisse meno il suo impegno per la formazione di 500 leader studenteschi. Quando le politiche governative cambiarono e ritornò la libertà religiosa, a chi aveva un problema veniva detto: "Va' dal Dio di Assefa. Lui aiuta la gente".

Entrambi i pastori mostrarono la loro fede. Uno morì, l' altro visse. Ma entrambi furono fedeli nella testimonianza.

Si può discutere sulla definizione di martire, ma in ogni caso cercheremo di portare la libertà a chi è perseguitato e rischia la vita e continueremo a dare testimonianza di questo Gesù di Nazareth.

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* Sorrow and Blood: Christian Mission in Context of Persecution, and Martyrdom, William Carey Library, 2012