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Daniela Pompei

Gemeinschaft Sant’Egidio, Italien
 biografie
Quest’anno ricorrono 10 anni dalla tragedia del 3 ottobre 2013. Morirono – è doveroso ricordarlo- 368 persone. Sembrò, in quei mesi, che l’opinione pubblica e la politica si fossero fermati a riflettere davanti a quelle terribili morti ingiuste, causate dalla “globalizzazione dell’indifferenza”, come la definì Papa Francesco. 
 
La compassione per quei morti divenne iniziativa politica. Il governo italiano il 18 ottobre del 2013 diede vita ad un importante progetto di salvataggio nel Mediterraneo: Mare nostrum. E in un anno ben 160 mila persone furono portate in salvo grazie a questa operazione militare e umanitaria. Negli anni successivi la Commissione Europea mise in campo altre iniziative di salvataggio che coinvolsero le Marine militari di vari paesi. Negli ultimi 3 anni però c’è stato un progressivo depotenziamento dell’attività di soccorso in mare da parte dell’Europa.
 
Purtroppo, oggi, dobbiamo constatare che nel Mediterraneo non è attiva nessuna operazione europea di salvataggio, e le navi umanitarie delle ONG, non di rado, sono oggetto di campagne di discredito e si barcamenano tra ostacoli burocratici e altre difficoltà. 
 
I risultati di questa mancanza di iniziativa europea si vedono. La contabilità dei morti è tornata a crescere e, dopo il naufragio del 2013, ne sono avvenuti molti altri che hanno coinvolto ancora più profughi. Ricordo solo gli ultimi 2 di quest’ anno, a Cutro in Calabria alla fine di febbraio, 120 tra morti e dispersi e quello avvenuto a giugno scorso nelle acque greche che ha coinvolto oltre 600 profughi tra morti e dispersi. Molti hanno potuto vedere le immagini della BBC che mostrano come solo scortare e controllare in mare le barche che trasportano migranti, può provocare delle terribili tragedie. E’ importante ribadire in questa sede che in mare occorre innanzitutto soccorrere e salvare le persone, ed è molto pericoloso attuare azioni di deterrenza.
 
Dal 2014 sono non meno di 45.000 le persone morte o disperse nei viaggi verso l’Europa, secondo l’IOM, 13.000 profughi risultano dispersi in Africa, nei deserti, nei mari, durante i viaggi della salvezza. Anche in questo caso si tratta di un dato per difetto.
 
Quando si parla di migrazioni spesso si registra una generale e diffusa irrazionalità che si traduce in mancanza di buon senso e di prospettiva. Si continuano a proporre toni allarmistici e emergenziali e, nella migliore delle ipotesi, si producono solamente azioni non coordinate e connotate da una buona dose di approssimazione.
 
Sono 281 milioni le persone che nel 2020, l’ultimo dato disponibile, vivono fuori dai loro paesi di origine, un numero in crescita tanto che, negli ultimi anni, le migrazioni internazionali sono cresciute con una progressione maggiore di quella della popolazione mondiale. L’incremento maggiore riguarda i migranti forzati, 108 milioni alla fine del 2022 secondo l’UNHCR: sono i rifugiati a causa delle guerre, delle violenze generalizzate, dei disastri ambientali.
 
Considerare i maggiori paesi di provenienza dei migranti forzati che cercano di raggiungere l’Europa, vuol dire ripercorrere le cause profonde delle crisi umanitarie. 
 
Quella economica determinata dalla pandemia che ha accresciuto la povertà soprattutto in alcune aree, come l’Africa sub sahariana, in cui la diminuzione degli aiuti allo sviluppo e in genere degli investimenti, ha provocato un forte aumento del prezzo del cibo.
 
Ma anche, assieme alla pandemia, la guerra in Ucraina ha costretto undici milioni di persone a fuggire, la metà fuori dal proprio paese e va detto, per i profughi ucraini l’Europa ha dimostrato una grande capacità di accoglienza e integrazione. Le conseguenze indirette di questa guerra pesano sui paesi dipendenti dai generi alimentari primari, come il grano, prodotto per circa la metà del totale mondiale dai due paesi in guerra. Per paesi come Egitto, Tunisia e Marocco quasi il 75% del totale delle importazioni è costituito dal frumento ucraino o russo; non a caso, proprio i primi due di questi paesi costituiscono le nazionalità più numerose negli arrivi in Italia via mare negli ultimi due anni.
 
Sono infinite alcune delle guerre di questi anni: siriani e afghani sono nel panorama mondiale la prima e la terza nazionalità, rispettivamente 6 milioni e mezzo di rifugiati e 5 milioni e settecentomila.
 
Anche i cambiamenti climatici causano un numero di rifugiati che si è triplicato nell’ultimo decennio, aumentano i movimenti fuori dal paese di origine; secondo la banca mondiale sono 3,5 miliardi le persone che vivono in luoghi fortemente esposti all’impatto climatico. Nel Pakistan, solo nel 2022, 33 inondazioni hanno sommerso un terzo del paese, causando 8 milioni di sfollati interni e 15.000 morti. Tra i morti dell’ultimo naufragio davanti alle coste greche, su 600 morti o dispersi, 200 erano pakistani.
 
Che fare dinanzi a crisi tanto profonde e diffuse?
 
L’Unione Europea negli ultimi anni ha privilegiato una politica di difesa delle frontiere, trattando l’immigrazione più come una questione di sicurezza che come una questione umanitaria o una opportunità di sviluppo. A questo atteggiamento si lega, ad esempio, l’incapacità di modificare il noto Regolamento Dublino, superato ormai dalla storia, che conduce al fatto che i singoli stati attuano politiche nazionali alla questione dei migranti. 
 
C’è soprattutto una mancanza di visione, di riflessione su un tema epocale. È evidente la necessità e l’urgenza di capovolgere questa attitudine : passare da  “come difenderci” alle domande come soccorrere? Come evitare tanti morti? Come le migrazioni possono contribuire allo sviluppo dei paesi di partenza e di accoglienza? Sono alcune delle domande che vengono poste nell’ultimo rapporto della Banca Mondiale (Maggio 2023): . Non è usuale leggere su questo tipo di documenti internazionali espressioni appartenenti al linguaggio umanitario. Infatti, il documento dedica un intero paragrafo al “messaggio di speranza” che possiamo trarre delle migrazioni. E’ la domanda che l’Europa  dovrebbe porsi con urgenza. Io ritengo che la migrazione può essere una leva potente per la prosperità e lo sviluppo: quando viene gestita con umanità e intelligenza, offre vantaggi   alle società di origine e di destinazione. Confortano questa affermazione i dati sulle rimesse a livello mondiale del 2022, che hanno raggiunto 647 miliardi di dollari verso paesi a medio e basso reddito contribuendo così al prodotto interno lordo dei paesi di origine dei migranti.  E’ sufficiente solo un esempio: il 38% del PIL del Libano è costituito dalle rimesse degli emigrati. Allo stesso tempo i lavoratori migranti contribuiscono fortemente al PIL dei paesi di destinazione, in Italia il 9 % del Pil nazionale è prodotto da cittadini migranti. 
 
Penso anche alla Transizione   demografica che ha prodotto una diminuzione drammatica   degli adulti in età lavorativa, questo fenomeno coinvolge tutti i paesi europei.  Alcuni particolarmente: la Germania, la Polonia, la Spagna e l’Italia. Quest’ultima   entro il 2100 vedrà la popolazione ultra 65 anni passare dal 24% al 38% con una diminuzione della numerosità della popolazione totale che passerà dagli attuali 58 milioni ai 50 milioni. 
 
Certo, la migrazione è un fenomeno complesso, è una realtà del nostro tempo che va governata. Se la migrazione è accompagnata da percorsi di integrazione validi può rappresentare un potente motore di prosperità di cui possiamo beneficiare tutti: migranti economici, rifugiati, le popolazioni dei paesi di origine e di quelli di destinazione. La Comunità di Sant’Egidio ne è artefice e testimone.    
 
Tra noi, qui a Berlino, c’è Ali cittadino italiano di origine afgana, testimone con la sua vicenda personale di questo percorso di integrazione. Alì è in Italia da 8 anni, ha percorso prima la via del mare e poi la rotta balcanica. Ha studiato alla scuola di lingua e cultura della comunità. Riconosciuto rifugiato, è diventato cittadino italiano da un anno. Parte della sua famiglia vive qui in Germania e l’altra metà in Norvegia, è un nuovo europeo.  Nel 2021 all’inizio della crisi afgana, a Roma, in Italia, ha rappresentato un grande aiuto nell’individuazione e nell’accoglienza ai rifugiati afgani. Come lui Dawood, Mafoud, Taufwik, Youssef, Azza, Daniel, Weini, Djalà, Elias, amici che oggi sono impegnati  nei progetti per l’integrazione della Comunità di Sant’Egidio. (Quanti migranti in questi anni hanno frequentato le nostre scuole di lingua e cultura italiana, tedesca, spagnola, belga, francese ed altro, quanti nuovi cittadini europei sono nati, quanti da un inizio difficile sono divenuti dei grandi amanti dell’Italia, della Germania, della Francia, della Spagna, del Belgio, direi dei veri patrioti europei.) 
 
Ma continuiamo il ragionamento insieme. Secondo calcoli e stime diverse, non per risolvere ma almeno per attenuare lo squilibrio demografico della popolazione in età da lavoro e per garantire un po’del livello di benessere attuale, ci sarebbe bisogno di almeno 800.000 ingressi per lavoro in Italia, un milione e 200.000 in Germania. Anche i paesi dell’est hanno lo stesso bisogno e hanno concesso centinaia di migliaia di permessi di soggiorno: La Polonia nel 2022 ha rilasciato 700 mila nuovi permessi di soggiorno e di questi, quasi 500 mila per motivi di lavoro. 
 
Con le vie considerate “illegali”, non sicure, (sbarchi e vie terrestri) dal primo gennaio sono arrivate in Europa quasi 158.000 persone, non un grande numero. La maggioranza dei profughi sono entrati principalmente in Italia ma poi molti transitano verso altri paesi europei. Tra questi arrivi sono molti i minori non accompagnati: in Italia ne sono giunti dal 2021 poco meno di 35 mila. Se accolti, sostenuti e accompagnati rappresentano una grande riserva di futuro. Forse è il momento che, in maniera pacata, si cominci a parlare di ingressi numericamente proporzionati. E’ giunto il momento di investire sulla formazione, di riconoscere con più facilità i titoli studio, di alleggerire i tortuosi percorsi ad ostacoli della burocrazia per ottenere visti di ingresso regolari. Si tratta di costruire un vero partenariato con paesi africani ed asiatici sul tema della migrazione.
 
Occorre costruire vie legali di ingresso, che sono il primo passo verso un sistema strutturato di programmazione, di accoglienza e di integrazione. In Europa nel 2022 nei 27 paesi europei sono entrati con il programma dei reinsediamenti solo 18 mila rifugiati dai paesi di primo asilo, individuati dall’UNHCR (Libano, Pakistan,  Turchia, Niger). Ben 16 paesi dell’Unione non hanno accettato alcun rifugiato con il reinsediamento. ( es.  Austria, Ungheria, Malta, Lussemburgo, Portogallo etc.). L’Italia nel 2022 ha ammesso soltanto 62 rifugiati con il programma dei reinsediamenti mentre, nello stesso anno, con i Corridoi Umanitari della Comunità di Sant’Egidio, gestiti e sostenuti economicamente dalla società civile, ne sono arrivati ben 1163.
 
Sul tema delle migrazioni è in gioco il futuro delle nostre società europee, il loro rinnovamento, la loro modernizzazione, la loro attrattività, il loro ruolo nello scenario mondiale. A me sembra questo un messaggio di speranza: è possibile cambiare approccio in un clima generale non semplice. Penso al preoccupante aumento degli episodi di razzismo. La terapia per contrastare il razzismo non sono certo i muri, al contrario favorire l’incontro, la conoscenza, l’integrazione. 
 
Pochi giorni fa si è svolta una conferenza stampa a Roma in cui Marco Impagliazzo ha lanciato delle proposte sui migranti che si riassumono in tre verbi, “Salvare, Accogliere, Integrare” proposte rivolte all’Italia, in questa sede direi all’Europa. La sola via per garantire sicurezza è l’accompagnamento, l’integrazione, l’inclusione che sono l’unica chiave contro il declino.  In una recente riflessione sui corridoi umanitari “Dall’esterno arriva  una grande occasione di rinascita e di ritrovamento di sé, della propria cultura , delle proprie radici umanistiche e solidali, della capacità inscritta nella storia europea di diventare europei perché molteplici, popoli, culture, lingue, cristiani, ebrei, musulmani, umanisti”. Il Rinascimento europeo nasce da qui, dalla nostra capacità di Salvare, Accogliere e Integrare.