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Jean-Pierre Denis

Direttore de "La Vie", Francia
 biografia

La secolarizzazione del mondo ricco, e particolarmente dell’Europa occidentale, non cessa di accelerare. Non possiamo che constatarlo ogni giorno con rammarico ed inquietudine, persino con angoscia. Ma non ci sbagliamo! Diciamolo anche subito. Questa secolarizzazione non è solo l’arretramento della religione, delle sue abitudini sociali e delle sue istituzioni. Dopo tutto, ciò non avrebbe molta importanza.

È, in un senso più ampio, la dimenticanza di ciò che può superare ed elevare l’uomo. È l’accecamento nei confronti dell’invisibile. È il disprezzo del senso. È la tirannia del desiderio. È la diffidenza nei confronti di ciò che è ricevuto, istituito, di ciò che si dà come parola autorevole. È, in una parola, il paradosso di oggi: quello di immensi spazi di comunicazione virtuale, e allo stesso tempo un ritirarsi tragico del nostro orizzonte mentale sul nostro piccolo io. L’individualismo appiattisce il mondo e irrigidise il reale. E i nuovi social networks non allargano questo campo, ma lo coltivano.

Nel tempo della comunicazione istantanea, il ripiego sull’immediato appare come un’enorme sfida per le religioni. Esse rimangono posizionate su tutta un’altra temporalità, predicando la durevolezza e la fedeltà nel tempo in cui i media esaltano la fluidità dei desideri. Ecco la questione, la sfida culturale e religiosa. Ciò che bisogna elaborare da un punto di vista religioso e spirituale, non è l’evoluzione della tecnica, ma al contrario il rovesciamento della cultura presa da questo secolarismo puramente consumistico.

Che succede perciò? Ciò che il marxismo non è riuscito a fare, il capitalismo è vicino a raggiungerlo. E questo praticamente senza contestazione, in una maniera molto semplice, attraverso la forza dell’evidenza. La civiltà materialista trionfa dappertutto. I Paesi e le popolazioni che non vi hanno accesso sognano a qualsiasi prezzo di entrare in un mondo che non è più incantato, ma disincantato. Certamente, gli esclusi dal sistema – ivi compreso il sistema mediatico – sono numerosi, i più deboli gridano invano, esistono inquietudini provocate dal sovrasfruttamento del nostro pianeta, ma nessuno considera veramente un ripensamento della vita in termini di condivisione e moderazione.

La crisi economica, finanziaria, culturale ed ecologica di questi ultimi anni non ha smosso nulla. Nella maggior parte dei Paesi europei, il discorso politico difficilmente fornisce un’alternativa ed i mezzi d’informazione non aiutano a pensare, cioé a cambiare i nostri modi di pensare. I governi non hanno per ambizione che di ritardare o nella migliore delle ipotesi attenuare i problemi fino alla prossima scadenza elettorale. Non è forse vero questo su entrambe le sponde dell’Atlantico, negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, in Spagna o anche in Giappone? O voi avete percepito delle reali prospettive di rinnovamento? Rispondetemi, per favore, ciascuno nella propria lingua!

Ma so che voi non potete, ahimè, rispondere. Essenzialmente, la crisi rimane davanti a noi. Ma non condanniamo troppo velocemente la politica. Perché per parte loro, i media vecchi o nuovi non sono d’esempio. Resistono troppo poco alla tentazione d’eccitare e di distrarre. Nemmeno loro provano molto interesse per la profondità delle cose e il divenire dell’uomo. L’esaltazione e lo spettacolo sembrano dovere ancora e sempre avere la meglio.

Il nostro immaginario si è ridotto mentre i nostri mezzi e le nostre conoscenze progrediscono. Sempre meglio informati, sempre meglio connessi con i nostri tablet digitali, non vediamo fino a qual punto diventiamo sempre più poveri da un punto di vista spirituale e in ultima analisi disconnessi dall’essenziale. Le rivolte urbane e i movimenti d’indignazione di questi ultimi mesi ci mostrano che una parte dei giovani si sente raggirata. Essa lo esprime e lo esprimerà ancora domani, magari con la violenza. Prepariamoci a questo. Ma in mancanza di comunicazione, in mancanza di una simbolicità autentica, i nostri giovani non hanno i mezzi spirituali per trasformare la loro rivolta.

Rimane l’attesa di una Rinascita. Essa non potrà arrivare altro che dando una risposta globale a queste crisi multiple. Allora, poniamoci la domanda onestamente. Chi si fa portatore allo stesso tempo di un interrogarsi critico e di prospettive di rinnovamento? Chi osa dire che il rinnovamento arriverà, ma che deve essere un ritorno alle fonti?

Per me, che parlo qui in quanto giornalista e cattolico, queste questioni sono questioni di tutti i giorni. Nel contesto di indebolimento culturale e d’egoismo sociale che conosciamo, i grandi media rischiano di divenire i docili diffusori del catechismo materialista e delle logiche individualiste. Questo, d’altronde, non è né intenzionale né cosciente. Non c’è nessun complotto, solo una sorta di pendio naturale, una sorta di convergenza da pecoroni.

Quanto a noi, credenti delle vecchie Chiese e giornalisti dei vecchi media, siamo chiamati ad uscire dal nostro guscio. Ci scopriamo come delle alternative. E in quanto tali, eccoci impegnati in una battaglia culturale più grande. E noi vi partecipiamo volontariamente disarmati. Noi non abbiamo che il nostro cuore e la nostra anima. Ed è più del necessario!

Tuttavia, riconosciamolo, la battaglia è tanto più difficile da combattere in quanto essa si svolge su due fronti. Il fronte della tolleranza che non crede più in nulla. E il fronte dell’intolleranza che non accetta più l’alterità.

Il primo fronte l’avete già riconosciuto, l’abbiamo già percorso insieme. È quello del secolarismo. Le grandi religioni, e a mio avviso particolarmente il cattolicesimo, costituiscono le ultime forme di resistenza alla mercificazione generale dei cuori. Di fronte al liberalismo ideologico, che pensa che tutto sia in vendita e tutti i punti di vista si equivalgano, è urgente opporre, come fa del resto Benedetto XVI dopo Giovanni Paolo II, una critica coerente e globale. È quella che io ho chiamato, in un libro recente che ha provocato un certo dibattito negli ambienti cattolici in Francia, la “nuova contro-cultura”. Questa contro-cultura non è conservatrice o reazionaria, ma alternativa, è la cultura della fede in un mondo secolarizzato. Noi non ci troviamo più al centro della cultura, ma come nei primi tempi del cristianesimo, siamo in una situazione di marginalità culturale. E questa posizione ai margini ci dà un’immensa libertà. Il cristianesimo e le grandi religioni danno una risposta rivolta al futuro, utopistica, e allo stesso tempo marginale.

Voi lo sapete, la secolarizzazione dell’Occidente si evidenzia ogni giorno di più nella secolarizzazione dei mezzi di comunicazione. L’opinione dei credenti, la sensibiltà religiosa, la problematica di una vita che si aprirebbe a ciò che la supera infinitamente... tutto ciò non è ormai che uno degli elementi, un piccolissimo elemento decorativo. La fede di alcuni apporta un tocco di colore, rimane un elemento di folklore, oppure ancora, certamente, e segnatamente in Germania o in Irlanda, è ridotta ad un oggetto di scandalo. Un esempio? I mezzi di comunicazione, almeno in Francia, hanno consacrato ben più articoli e tempo di trasmissione alla contestazione della Giornata Mondiale della Gioventù, effettuata da qualche migliaio di persone, piuttosto che alla GMG stessa, che ha riunito più di un milione di giovani.

Avremmo torto, tuttavia, a vedere in questo secolarismo mediatico il segno di una forma di ostilità consapevole. Certo, questa ostilità esiste. L’anticristianesimo, l’antisemitismo mascherato in antisionismo, e quella che oramai in Francia chiamiamo islamofobia costituiscono una delle dimensioni del paesaggio mediatico. Soprattutto in un momento in cui un’ondata di populismo attraversa l’Europa. Ma i grandi mezzi di comunicazione non hanno, per principio o per vocazione, un punto di vista anti-religioso. Sono semplicemente divenuti a-religiosi. Dio non fa più parte del paesaggio mentale dei giornalisti e dei caporedattori.

Internet costituisce qui un’alternativa. Google o Facebook sono evidentemente degli strumenti meravigliosi di condivisione del sapere e di informazione autentica. Tuttavia bisogna anche essere coscienti che, malgrado la loro gratuità apparente, non hanno altra finalità che quella di venderci della pubblicità. Essi partecipano dunque attivamente, ma senza alcuna ideologia, alla diffusione di una cultura consumista e materialista, secondo la quale tutto va e tutto è in vendita. La spiritualità, in questo quadro, non avrebbe altro che un’importanza marginale, perché essa non vende nulla. Dire ciò non significa rifiutare questa nuova cultura. È semplicemente un invito a comprendere dove ci troviamo.

In questo contesto, i mezzi di comunicazione religiosi sono divenuti dei media alternativi, contro-culturali. Essi non sono “mainstream”. Fanno ascoltare un’altra voce. Questo dona ad essi oggi una nuova rilevanza. Si tratta dunque di costituire intorno a questi mezzi di comunicazione non solamente una rete di lettori, di bloggers e di internauti, ma più ampiamente un ecosistema, una comunità che utilizzi di volta in volta la “stampa” ed il “web”, la carta ed il digitale. A mio parere, questa comunità si organizzerà un giorno intorno ad una condivisione critica dei valori e delle informazioni. In altre parole, essendo l’informazione dappertutto, come i fast-food sono dappertutto, e riducendosi troppo spesso l’informazione alla comunicazione e alla distrazione, i mezzi di comunicazione religiosi devono fornire ad un pubblico in cerca di senso una profondità di campo e di analisi.

Questo è ancora più importante nell’era di Twitter, in cui l’informazione sfugge largamente ai giornalisti per prodursi spontaneamente e un po’ dappertutto e diffondersi nella maniera più imprevedibile. Per i media che fanno riferimento ad una religione o ad una spiritualità, il decrittaggio del senso stesso dell’informazione e la condivisione dei valori, sui supporti scritti, audiovisivi o virtuali, diviene dunque una sfida essenziale, per non dire la sfida ultima.

Ciò dovrebbe andare da sé, perché i mezzi di comunicazione religiosi sono essi stessi dei social networks. Lo sono addirittura da sempre, e segnatamente attraverso i loro abbonati, che formano una vera comunità. Il loro avvenire è perciò già tracciato: consiste nel condividere il senso dell’informazione. E questa condivisione non si produce nel vuoto, ma nella concretezza di una famiglia allargata di lettori.

Non dimentichiamo, per finire, il secondo fronte, quello degli integralismi. L’integralismo cattolico è una questione che spesso preoccupa molto i francesi in virtù della loro storia. Ma potremmo rievocare più in  generale i fondamentalismi, i nazionalismi, e tutte le forze che vogliono sia riportare la religione ad un passato molto spesso immaginario, sia utilizzarla per esprimere un rifiuto del mondo ed un rifiuto dell’altro. Quando  si tratta di ridurre Dio ad uno strumento dell’odio, non saremo mai abbastanza vigilanti.

Dieci anni dopo l’11 settembre, misuriamo ancora e sempre quanto l’immaginario religioso offra un comodo detonatore. Ora, e lo sappiamo molto bene, internet e i social networks offrono un potente acceleratore per le opinioni estremiste, conferendo ad esse una dimensione allo stesso tempo planetaria ed istantanea. Essi partecipano alla mondializzazione delle emozioni. Per dirlo in una parola, il terrorismo è efficace. Con il web, diventa terribilmente efficace. Alla sua potenza assassina si aggiunge una carica emozionale.

Di fronte a ciò, il dilemma dei “vecchi” mezzi di comunicazione è terribile: seguire per fare audience, e rinnegarsi. O piuttosto resistere, e rischiare di autoemarginarsi. Per parte mia, e vorrei terminare con questa convinzione, credo che il nostro posto sia già segnato, anche se è un posto umile. Siamo chiamati a fare una scommessa apparentemente persa in partenza. La scommessa dell’intelligenza, della pazienza e della fedeltà. La religione, in fondo, è la profondità di campo, è la lunga durata, è la ricerca del più alto e del più nobile.

Sui social networks come sulla carta, noi dobbiamo aprire degli spazi di meditazione e di dialogo, combattendo vigorosamente i mercanti di illusioni. Mezzi di comunicazione alternativi, dobbiamo rispondere a tutti coloro che non si sentono soddisfatti né delle semplificazioni inappropriate, né del pensiero unico. Per tutti coloro che vogliono opporre alle pazzie collettive degli elementi di intelligenza, ci dobbiamo alzare ogni mattina pieni di energia e di entusiasmo. Essi hanno fame, sta a noi nutrirli. Essi esistono, sta a noi raggiungerli. È ciò che, per parte mia, provo a fare. Perché in realtà, questa scommessa persa la possiamo vincere! Non è forse questa la fede?