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Jean-Dominique Durand

Historian, President of the Judeo-Christian Friendship in France
 biography
La democrazia, in quanto forma di governo politico e sociale in grado di garantire al popolo la facoltà di esprimersi per scegliere le proprie modalità di governo, il rispetto dei diritti umani fondamentali, le libertà di movimento e di espressione, l’uguaglianza per tutti, resta un ideale fragile. L'antica democrazia ateniese è spesso evocata (ma può realmente una società schiavista definirsi democratica?); alcuni testi fondamentali elaborati a partire dall’avvento dell’era moderna: il Bill of Rights in Inghilterra nel 1676, la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti nel 1787, la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino in Francia nel 1789, le costituzioni liberali dei diversi stati nel XIX secolo, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. La democrazia fondata su un parlamento liberamente eletto, che va a costituire lo stato di diritto, era divenuto il modello con la vittoria sul nazismo e anche nel periodo delle decolonizzazioni. Milioni di uomini e donne continuavano a vivere sotto regimi che violavano le libertà più basilari, dall’Unione Sovietica con i suoi stati satellite, alla Cina ai numerosi stati dell’America del Sud. Ma la democrazia era un modello per molti popoli, un miraggio o una aspirazione lontana. Il papa Pio XII, nel suo messaggio del Natale 1944, aveva definito la democrazia come la forma di governo più favorevole per la preservazione della pace e il rispetto degli esseri umani. Conosciamo poi le parole di Winston Churchill: «La democrazia è la peggior forma di governo, se non consideriamo tutte le altre forme che hanno potuto essere sperimentate dal genere umano finora». Il 1989, il crollo dei regimi comunisti in Europa sembrava marcare la vittoria definitiva della democrazia, chiamata a svilupparsi nel mondo intero.
 
Oggi siamo ancora lontani da questo. La democrazia viene messa in discussione in molti paesi. Nell’Europa stessa, alcuni Stati membri dell’Unione Europea si definiscono “illiberali”, con uno Stato di diritto a geometria variabile, lasciando spazio a leggi che riducono gli spazi di libertà. Anche negli Stati Uniti, che sembravano essere la roccaforte della democrazia, l’assalto  del 6 gennaio 2021 al Campidoglio, simbolo della democrazia americana, ha mostrato la fragilità del governo. La democrazia non è più il modello scontato che poteva apparire alla fine della guerra. I numerosi colpi di Stato nell'Africa subsahariana mettono in pericolo le istituzioni create all’indomani della conquista dell’indipendenza, troppo rapidamente compromessa.
 
Fior di autori, filosofi, storici, sociologi, politologi hanno riflettuto sulla democrazia, a partire da Alexis de Tocqueville nel XIX secolo con la sua Democrazia in America, fino a Pierre Rosanvallon con La Contro-Democrazia. La Politica nell’Era della Sfiducia (2006), o Tzvetan Todorov con I nemici della democrazia (2012). Egli parla di un sistema “consumato dall’interno” . Tutti, e avrei dovuto anche citare alcuni autori americani, inglesi, tedeschi e italiani, quelli che si dedicano ai cosiddetti Democratization Studies constatano che l’ideale democratico è contestato. Propongo di elencare le dinamiche che la minacciano. Ne ho contate sette.
 
1. In primo luogo, ho osservato la crisi dei partiti politici in quanto strutture di mediazione, con dei militanti, una cultura condivisa, portatori di un progetto societario. Sono rimpiazzati da alcune personalità che si ritrovano a raccogliere intorno a sé politici provenienti da contesti diversi e per un tempo determinato (Emmanuel Macron in Francia), senza ottenere (né tantomeno tentare di)  strutturare una entità solida. Il vuoto partitico è riempito da movimenti populisti, ben strutturati, che tentano di appellarsi direttamente al popolo, si relazionano alle paure (per esempio riguardo le migrazioni) e si basano sul tracollo della cultura. Dal momento che assistiamo a una separazione tra politica e cultura, la riflessione e la formazione dei militanti risultano ormai assenti. Il populismo si costruisce sulle macerie della cultura, della conoscenza. Quello che hanno fatto i democratici cristiani delle grandi encicliche pontificie, relazionandosi alle teorie capitaliste; quello che hanno fatto i socialisti dei loro riferimenti socio-umanitari, mutando il sociale per il societario, proprio come i liberali hanno mutato la libertà per il mercato.
 
2. La crisi della cultura porta anche verso il rifiuto dell’”Altro”, il rifiuto di ogni diversità, o piuttosto la paura di tutto ciò che non sia noi stessi. Dalla paura all’odio, basta un passo: razzismo, xenofobia, antisemitismo. L’antisemitismo in particolare ha attraversato i secoli, toccando tutte le società. E’ un virus dalle varianti multiple, sempre rinnovato, che avvelena le nostre democrazie. Eppure la democrazia si nutre di diversità, diversità di provenienza, diversità di religione, e di dialogo necessario tra individui, della conoscenza e della riconoscenza reciproca. La crisi della cultura è legata anche alla globalizzazione, che induce a uno spaesamento dell’individuo, secondo l’espressione di  Tzvetan Todorov che parla di “uomo spaesato”. Questo può condurre ad una ricerca frenetica delle proprie radici, ovvero al fondamentalismo. Già negli anni ‘60, il patriarca di costantinopoli Athenagoras, osservava “l’avvento dell’uomo planetario in una società che diventa mondiale”, con la conseguenza che “ogni popolo si ripiega sulla propria originalità”.
 
3. La libertà di stampa è connessa alla democrazia: non c’è democrazia senza libertà di espressione o senza una stampa libera che eserciti un contro-potere; ma la stampa minaccia la democrazia allorché si fa cassa di risonanza di emozioni e paure, senza cercare di gerarchizzare i problemi, pensandoli in maniera razionale, senza fare appello alla riflessione.
 
4. Gli effetti di questa rivoluzione sono amplificati dall’irruzione dei cosiddetti “social“ network, che le democrazie, in nome dei propri valori di libertà, si rifiutano di regolare. Qui si diffondono informazione e controinformazione, cospirazionismo, fake news, delazioni, odio di ogni tipo e le paure collettive che nutrono il pessimismo.
 
5. L’eccesso democratico, quello che Tocqueville identificava nella rivendicazione dell’uguaglianza assoluta, quello che Rosanvallon ha definito società degli uguali : mettere sullo stesso piano lo studioso, l’erudito e il semplice cittadino.
 
6. L’eccesso liberale, con il neoliberismo e la crisi degli Stati. Il liberismo, che è stato portatore di un ideale di libertà, si è trasformato in un ideale di mercato. Ci dimentichiamo la frase di Lacordaire del 1848: tra il forte e il debole, tra il ricco e il povero, tra il padrone e il servitore, c’è la libertà che opprime e la legge che riscatta”. Il liberalismo senza freni esacerba la rivendicazione individualista, il ripiegamento su se stessi, la frammentazione dei comportamenti, il rifiuto di riconoscere l’idea di bene comune.
 
7. La guerra non si ritira: ha trovato vigore perfino in Europa, dopo gli anni ‘90, nel continente che sembrava guarito dalla guerra. Le nostre società sono divenute plurali, diverse. Il mondo è entrato in una fase particolarmente pericolosa della sua storia con l’emergere del terrorismo. L’11 settembre 2001, a distanza di esattamente 22 anni, ha aperto la strada a un pericolo terrificante, confermato per di più da numerosi cruenti attentati, il cui obiettivo è creare una psicosi e distruggere il tessuto di fiducia e solidarietà. Nessuna società democratica, anche se unita e culturalmente uniforme, può funzionare senza queste fondamenta. E ciò è ancora più vero per le società multiculturali. Fiducia e solidarietà sono i suoi due cuori pulsanti. Se il terrorismo, che fa leva sulle differenze culturali e sulla strumentalizzazione della religione, riuscisse a seminare insidiosamente la paura, la diffidenza (e dunque l’odio), allora la stessa concezione di società multiculturale sarebbe perduta. La sfida è qui: il conflitto di civiltà, definito da Samuel Huntington, The Clash of Civilizations, minaccerebbe la società e dunque la pace tra nazioni. Questo i vertici del terrorismo l’hanno perfettamente compreso, nella loro follia: servirsi delle tensioni naturali tra culture per impedire ogni possibilità di vivere insieme.
 
 
 
Dove sono gli amici della democrazia? Chi sono?
 
Fortunatamente la democrazia ha degli amici e dei sostenitori. Li troviamo tra coloro che mettono l’essere umano al centro della struttura sociale, che aprono instancabilmente in favore dell’incontro, della pace e della riconciliazione. Li troviamo tra coloro che si impegnano nell’azione politica e nelle istituzioni, ma anche nelle opere di solidarietà. I papi non hanno mai smesso di esortare i cattolici a impegnarsi al servizio della cittadinanza, ovvero del bene comune. E’ un atto di carità al servizio del prossimo. Nel 1965, la costituzione conciliare Gaudium et Spes  ha valorizzato l’impegno del cristiano in politica, nel quadro delle democrazie moderne: “La chiesa tiene in grande considerazione e stima l’attività di coloro che si consacrano al bene della cosa pubblica, facendosene carico per il bene di tutti”. (n.75). Potremmo proseguire  a lungo con le citazioni in questo senso. E’ a questo impegno che invitava papa Francesco rivolgendosi agli studenti universitari di Roma il 30 novembre 2013: 
 
“Sapete, cari giovani studenti, che non possiamo vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. [..] Vi prego, non guardate la vita dall’alto di un balcone! Siate partecipi lì dove si trovano le sfide, che vi chiedono aiuto per far andare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta alla povertà, la lotta per i valori e le tante lotte che affrontiamo ogni giorno.”
 
E’ ciò che hanno ben compreso coloro che si sono impegnati nella Comunità di Sant’Egidio, che ci riunisce e ci invita a lavorare insieme.