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Gregorios III Laham

Patriarca Greco-cattolicodi Antiochia, Alessandria e Gerusalemme
 biografia

Il dialogo tra musulmani e cristiani

Il mio discorso si basa principalmente sulla convivenza di musulmani e cristiani nella società araba, come essa si realizza in Libano, Siria e Palestina. Noi cristiani arabi viviamo un rapporto molto profondo con gli arabi musulmani nei nostri paesi arabi: noi siamo della loro stessa carne e del loro stesso sangue, apparteniamo alle medesime tribù e alle  stesse società, civiltà, cultura e tradizioni. Rappresentiamo una Chiesa che ha vissuto ogni giorno – da quattordici secoli e 32 anni  -  fianco a fianco con l'Islam, venendo profondamente influenzata dall'Islam, così come essa ha profondamente influenzato l'Islam.  Pertanto, il nostro è prima di tutto un dialogo della vita sulla vita, una conversazione quotidiana su qualsiasi circostanza di attualità.

Abbiamo appreso a farlo nelle aule del seminario minore come nel seminario maggiore del nostro monastero del Santissimo Redentore (nei pressi di Sidone in Libano), che quest'anno festeggia il suo trecentesimo anniversario. Abbiamo continuato ad esercitarci nel dialogo sulla vita durante il periodo delle elezioni parlamentari. I vari gruppi sono venuti nella nostra casa del Santissimo Redentore: noi abbiamo accolto tutti. Abbiamo vissuto questo dialogo sulla vita durante le grandi feste religiose nazionali sia dei musulmani sia dei cristiani come  feste comuni  di tutti noi. Ci siamo scambiati gli auguri.

Abbiamo vissuto questo dialogo sulla vita in circostanze di guerra, di crisi e di disordini settari, in tempi di carestia e di gravi calamità, come durante la Prima guerra mondiale, quando ogni giorno il monastero del Santissimo Redentore ha sfamato tutti i poveri, che bussavano alle sue porte per chiedere aiuto. Alla fine del conflitto l'amministratore della casa ha detto al Superiore Generale dell'Ordine: "Non abbiamo più cibo, neppure per sfamare noi stessi.  Forse dovremmo tenere da parte qualcosa, che resti per noi per il prossimo futuro". Il Superiore Generale gli ha risposto: " No. Continuate ad aiutare i poveri. Insieme mangeremo o insieme digiuneremo".

Nel giorno in cui il monastero si trovò a corto di rifornimenti, giunsero da Sud muli dalla Ca-sa di Zain, una grande famiglia sciita (li chiamiamo Metwalli), che portavano cereali per la casa del Santissimo Redentore. Così al Santissimo Redentore siamo stati in grado di continu-are a sfamare i poveri. Più di trenta anni dopo, quando la famiglia Zain si è trovata in gravi  difficoltà finanziarie, il Monastero del Santissimo Redentore è immediatamente intervenuto per risolvere i loro problemi finanziari. Nel 1956 un terribile terremoto scosse tutto il Liba-no. Circa 200 villaggi furono distrutti. Noi seminaristi siamo andati in tutti quei villaggi, cri-stiani e musulmani, per aiutare a ricostruire le  case.

Più tardi abbiamo appreso questo vitale dialogo sulla vita nei nostri studi, sia in Libano, dove abbiamo studiato l'Islam, come più tardi a Roma, dove abbiamo continuato i nostri studi specialistici.

Abbiamo imparato questo dialogo sulla vita nel nostro lavoro, nelle professioni,  nei com-merci. Il nostro personale è composto da cristiani e sunniti , come anche da sciiti e drusi.

Abbiamo realizzato ciò anche  nelle scuole miste e nelle università, dove cristiani e musul-mani studiano insieme, e anche nelle nostre istituzioni di assistenza sociale, la Caritas e il servizio sociale. Nel 1966 ho fondato un centro sociale nel sud del Libano, una scuola di formazione all'attività artigianale e un orfanotrofio, dove tutti sono i benvenuti. Tutte que-ste opere sono state luoghi di incontro e di dialogo sulla vita. In Terra Santa, ho fondato quattro cliniche che hanno offerto cure mediche a circa 90 mila persone, la maggior parte delle quali erano musulmane.

Inoltre abbiamo vissuto questo - e ciò è molto significativo – nel rispetto reciproco, nell'a-more per il prossimo, nel servizio comune e nel dono reciproco. Questa è la ragione per cui non uso la parola 'tolleranza', quando parlo di dialogo tra musulmani e cristiani. Il termine “tolleranza” non può riflettere il vero significato del sincero dialogo. Preferisco usare i ter-mini: riconoscimento, fiducia, amore, rispetto e solidarietà.

Ora per parlare della situazione corrente: quello che realmente manca nel dialogo tra Est e Ovest è la fiducia. La gente non ha fiducia nel mondo arabo e il mondo arabo non si fida della società europea. Ecco perché cadiamo sempre nella trappola delle accuse reciproche: quella delle Crociate – da parte dei musulmani nei confronti dei cristiani – e quelle del terrorismo e del fondamentalismo islamico – da parte dei cristiani nei confronti dei musulmani. Per questo noi dobbiamo superare questa dialettica delle guerre aggressive dei musulmani contro i cristiani, ad esempio: i musulmani a Poitiers, gli Omayyadi in Spagna, le battaglie di Lepanto e Vienna, i turchi alle porte della città di Vienna. Allo stesso modo devono essere superate le idee delle Crociate occidentali e del colonialismo, come quelle sulla Francia in Algeria o quelle sul mandato sulla Palestina, sulla Siria, sulla Giordania e sul Libano. Dobbiamo superare questa dialettica della guerra che ci ha accompagnato lungo i secoli e impegnarci ad intraprendere un dialogo culturale. 

Questo riveste un'importanza fondamentale per rafforzare il dialogo islamo-cristiano e per lavorare con tutto l'impegno e con tutta la forza per risolvere il conflitto tra Israele e Pale-stina, che ormai dura da sessantatre anni. Questa è la causa per cui non vi è ancora fiducia tra il mondo arabo-musulmano e un'Europa, che non fa quanto è necessario per giungere ad una soluzione di questo conflitto. Oggi, però, si offre un’opportunità all'Europa: il riconoscimento dello stato di Palestina a fianco dello stato d'Israele. Una volta che avranno la medesima dignità statuale, potranno risolvere tutti I loro problemi.

Ora vorrei sottoporvi alcuni testi che ho scritto negli ultimi anni su questo argomento:

1. Estratto dal discorso per l'inaugurazione del centro Liqaa per l’incontro, Libano, mag-gio 2011

Il dialogo è sempre stato oggetto di una speciale attenzione da parte mia. Siamo stati tra i fondatori del Centro Al-Liqaa di Gerusalemme nel 1983, insieme al Dott. Geries Khoury, no-stro fedele dell'Alta Galilea, che da molti anni e fino ad oggi ne è il direttore. Lo abbiamo fondato con un selezionato gruppo di intellettuali e docenti universitari cristiani e musulma-ni. Fino alla mia elezione a patriarca nel 2000, ne sono stato il presidente della commissione amministrativa. Il centro palestinese Al-Liqaa rappresenta il più prestigioso centro per il dia-logo della Palestina.

Un aspetto di questo dialogo è il centro Liqaa per l'incontro tra Dio e l'uomo attraverso la fede, la religione e la fiducia che è stato recentemente inaugurato.  Questo meraviglioso nuovo centro è stato realizzato grazie alla liberalità di un musulmano di grande apertura di spirito, il sultano Qaboos bin Said Al Said dell'Oman.

E 'un luogo di incontro tra persone di fede cristiana, musulmana ed ebraica, ed è aperto  agli incontri tra ogni tipo di credenze, anche quelle al di là di chiesa, sinagoga o moschea. È un incontro nel santuario, nel senso ampio del termine, o nel tempio del mondo, un mutuo incontro di persone in un mondo che è al tempo stesso il mondo di Dio e dell'uomo; non si limita ad un periodo storico o ad un luogo, non si occupa solo del confronto Est-Ovest, non si riduce ad una civiltà o cultura del nostro mondo orientale arabo, non si sofferma solo sull'atmosfera culturale e intellettuale del bacino del Mediterraneo, né su quella dell'Europa e dell'Occidente. Infatti, il nostro Medio Oriente è stato e rimane ancora oggi la via verso l'Estremo Oriente. Il mondo è il tema di cui si occupa il nostro centro Liqaa, che è un centro accademico aperto a tutti e un forum globale. Si tratta di un centro intellettuale e accademico della Chiesa greco-melchita nei paesi arabi, in tutti i paesi di emigrazione e in tutto il mondo. È  un luogo di incontro per tutti. (…)

Dio, che il suo nome sia glorificato, ha fondato il primo centro Liqaa, perché ha creato l'uo-mo a sua immagine e somiglianza, e - attraverso la sua incarnazione – ha chiesto al mondo, al suo popolo, di incontrare lui ed il suo amore. Ha chiesto loro di amare e ha fatto dell'amore la condizione per seguirlo, il fondamento dei suoi comandamenti e del santo insegnamento del suo Vangelo. Egli ha detto: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). E l'apostolo Paolo scrive nella sua lettera agli Efesini: “Egli infatti è la nostra pace, colui che di due (ebrei e pagani) ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne. Così Egli ha abolito la legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace” (Ef 2,14-15). 

2 Da un discorso tenuto alla prima conferenza islamo-cristiana di Damasco, Dicembre 2010

Noi musulmani e cristiani siamo chiamati ad aprire la strada, sia accademicamente che pro-feticamente, con sincerità, amicizia e rispetto reciproco: perché assistiamo ad un'ulteriore progressiva crescita del fondamentalismo e dei movimenti estremistici, che potrebbero por-tare alla catastrofe il mondo arabo in Oriente e le cui principali vittime sarebbero i giovani cristiani e musulmani, che rappresentano il 60% della popolazione araba. 


Questo sottolinea ulteriormente l'importanza fondamentale e vitale per il futuro, di aprirci gli uni agli altri, i cristiani verso i musulmani e i musulmani verso i cristiani. Questa apertura porterà la dinamica dello sviluppo (evoluzione) del nostro mondo arabo in vista dei seguenti concetti:

- La concezione del rapporto tra Stato e religione e la loro interazione

- La concezione della modernità

- I diritti dell'uomo e della donna

- La libertà di culto e di coscienza

- L'idea di una 'religione migliore'

Noi, come cristiani e musulmani dobbiamo trovare posizioni condivise sul rischio di proliferazione di diverse forme di fondamentalismo, siano esse di origine cristiana, musulmana (o ebraica). A noi è affidato il compito di proteggere i valori realmente religiosi, spirituali e umani, e soprattutto di garantire il rispetto dei valori della dignità umana e della libertà. 

Questo è ciò che garantirà un futuro migliore alle nostre società e a tutti i nostri paesi arabi. Oserei dire che lo sviluppo (evoluzione) della nostra società araba, cristiana e musulmana, porterà al successo di quegli sforzi che le Chiese hanno intrapreso nei campi pastorale, culturale, sociale ed economico, per fermare l'emigrazione dei giovani. Questa evoluzione, coniugata allo sviluppo dei valori che ho nominato più sopra, rappresenta una responsabilità comune di cristiani e musulmani. 

Otterremo tali risultati nella misura in cui ci impegneremo profondamente e insieme nel raggiungimento dei nostri obiettivi per trasformare in pratica i suddetti valori e per viverli concretamente. 

Da tutto ciò dipendono il nostro futuro, la nostra esistenza, la nostra presenza, la nostra comunità, la nostra testimonianza e il futuro della nostra società araba. 

Oso dire addirittura che nel profondo del mio animo sento che il successo delle nostre attivi-tà pastorali, apostoliche, catechetiche, accademiche, pedagogiche, clericali e monastiche dipende strettamente dall'individuazione di un cammino comune per i compagni di viaggio cristiani e musulmani .

In altre parole, lo sviluppo religioso della nostra società dipende dallo sviluppo religioso del-la nostra società cristiana, che a sua volta dipende dallo sviluppo religioso della società mu-sulmana. Di conseguenza, la salvaguardia dei nostri valori cristiani dipende in larga misura dallo sviluppo della società musulmana.

Tutto questo è stato messo in risalto  nel corso del Sinodo (per il Medio Oriente), le cui rac-comandazioni saranno applicate nelle nostre chiese, in collaborazione con i nostri concitta-dini musulmani. Dal momento che le persone sono influenzate dal loro ambiente sociale, diversi rappresentanti di queste realtà sono stati invitati a partecipare al Sinodo, tra cui di-versi rappresentanti islamici e un rabbino. 

Infine, non si può tacere l'esistenza di un grave ostacolo che si frappone lungo il cammino di questa evoluzione comune: il conflitto israelo-palestinese. La regione araba deve finalmente avere la pace: la pace eserciterà una grande influenza sullo sviluppo dei valori che ho indica-to sopra e potrà arrestare l'emigrazione dei cristiani arabi. 


3 Da un discorso tenuto su ‘A Common Word’ e il futuro dell'impegno di musulmani e cristiani, Cambridge, ottobre 2008

Dobbiamo esercitare l’arte del dialogo tra le nostre due splendide fedi, perché la parola, che mi è stata donata nella mia fede cristiana è sicuramente mia, ma non è solo per me; è per la mia società, per i miei concittadini e io la devo testimoniare loro come luce di amore e come chiamata ad amare, come segno di speranza per gli altri, perché possano crescere nella loro religione e nella loro fede. 

Ha un grande valore il fatto che gli uomini amino la loro religione e la parola di Dio donata all'umanità e che l'approfondiscano sempre di più per preservarla e trasmetterla. Tuttavia, dovrebbero essere aperti anche alle credenze e alla fede degli altri.

Non esiste un monopolio sulla parola di Dio, così come non si può possedere un'altra perso-na. Chiediamo ai nostri concittadini musulmani di riconoscere la nostra libertà di annunciare la buona notizia con amore e rispetto per la loro fede, e nell'impegno a non costringere nessuno ad abbracciare la nostra fede.  È sufficiente che le persone abbiano l'opportunità di esplorarla e di arrivare a rispettarla ed amarla. 

Lasciate che amiamo la Parola di Dio, perché la Parola di Dio è per tutti noi. Lasciate che condividiamo queste parole nel canto e nell'amore. Lasciate che operiamo in modo tale che le nostre parole umane si trasformino in parole divine.

3. Dai colloqui sulla “Chiesa degli Arabi” ad Amman, Giordania (maggio 2005) e nel Sultanato di Oman (2006)

Un nuovo approccio per i colloqui

Oggi è necessario un profondo incontro sul pensiero tra il Cristianesimo e l’Islam, una ricerca reciproca, una reciproca comprensione del tesoro di parole che rappresentano il Vangelo e il Corano, la spiritualità e la lingua cristiana e islamica. Abbiamo bisogno di una vera e propria grammatica per comprendere le espressioni fondamentali e l’approccio e il sistema di pensiero della teologia e della logica nell’Islam e nel Cristianesimo. Queste conoscenze rappresentano elementi di base per un nuovo dialogo tra musulmani e cristiani e per il riconoscimento reciproco. 

Cooperazione tra Est e Ovest

In questo campo dobbiamo costruire ponti di aiuto reciproco con i nostri fratelli cristiani d’Occidente, per cooperare in questo ambito, per avvicinare la nostra e la loro immagine dell’Islam. Dovremmo aiutarli a scoprire il vero volto dell’Islam e di conseguenza a comprendere il nostro ruolo e il nostro compito nel mondo arabo-islamico, perché ci possiamo sostenere a vicenda. 

Non possiamo abbandonare i nostri fratelli europei nella loro ricerca di comprensione dell’Islam, di dialogo tra Est e Ovest e di rapporti tra l’Occidente e il mondo arabo e islamico dell’Est. Per questo, oggi più che mai, dobbiamo spiegare loro il senso del nostro ruolo in tale contesto, così come dobbiamo parlare qui con i nostri fratelli arabi, per mostrare anche a loro il significato del nostro ruolo, perché anche i musulmani comprendano il ruolo che noi possiamo assumere insieme a loro e a loro favore  nell’incontro con l’Occidente. Questo è il compito dei cristiani e dei cittadini cristiani, e soprattutto è il dovere di noi responsabili di Chiesa, che abbiamo il compito di sviluppare una sensibilità acuta del nostro ruolo decisivo nei rapporti Est-Ovest. Per me questa è divenuta una chiara consapevolezza nel corso dei 26 anni del mio servizio in Terra Santa, a Gerusalemme, dove partecipavo a centinaia di confe-renze e colloqui a livello mondiale e sentivo l’importanza del nostro ruolo rispetto al mondo occidentale sulle tematiche del dialogo, della guerra, della pace e della giustizia. Noi ci dob-biamo porre nel nostro mondo arabo e islamico riguardo alle relazioni Est-Ovest – e in parti-colare per quanto concerne la Palestina – che esercita un’influenza straordinaria su tutti gli altri problemi.

Interazione tra musulmani e cristiani

Le attuali condizioni del mondo arabo non sono forse un richiamo urgente e indilazionabile ad esercitare concretamente la nostra funzione di ricerca di un confronto armonico? Il mon-do arabo è oggi sottoposto a pressioni fortissime. Non sono forse un appello urgente a raf-forzare l’interazione e la cooperazione tra musulmani e cristiani nella nostra regione e a raddoppiare i nostri sforzi per il futuro progresso nel mondo cristiano arabo e per la nostra comune responsabilità nel terzo millennio? 

Così come i cristiani agli albori del periodo islamico hanno svolto un ruolo fondamentale specialmente nel campo della traduzione dell’intera cultura greca nella lingua araba, anche noi oggi dovremmo assumere la stessa funzione culturale con e a fianco dei nostri fratelli musulmani. La mia speranza, la mia preghiera e il mio desiderio sono che si possa costruire un fruttuoso scambio tra musulmani e cristiani. Quello che io faccio come Patriarca corri-sponde a quello che fanno i miei fratelli Patriarchi e vescovi, monaci e suore nelle diverse istituzioni, perché la preservazione della presenza cristiana in questa regione è parte di que-sta realtà. Naturalmente è altrettanto importante che i miei fratelli e sorelle musulmani ac-cettino questo nostro ruolo, attraverso il mantenimento della presenza cristiana nei paesi arabi. 

Una civiltà dell’amore

Quando diciamo al cristiano che Gesù ti dice: “io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra” (Mt 5,39), non vuol dire che i musulmani si devono sentire autorizzati a percuotere i cristiani. Piuttosto questo comandamento rappresenta il culmine dell’amore e della tolleranza, che richiede anche dall’altra parte un’interazione positiva tra tutti quelli che ascoltano le sue parole, perché la società si converta, cambi ed evolva verso un maggior amore, verso il rispetto reciproco e verso l’uguaglianza tra diritti e doveri. Così questo comandamento è un appello all’intera società, perché vi regni la civiltà dell’amore. Ciò vuol dire e comporta un’educazione alla profondità della fede in tutti i cittadini e cittadine di ogni confessione. Senza tale educazione viene a mancare l’equilibrio religioso, politico e sociale nella società. Senza di essa torneremmo al circolo vizioso della violenza, della persecuzione religiosa e dell’apartheid, con tutti i loro metodi. 

La civiltà dell’amore consiste nel fatto che io ti amo e che tu mi ami. Tuttavia, se si ponesse la seguente condizione: “io ti amo, se tu mi ami”, si tenderebbe a ferire il senso della costru-zione dei rapporti all’interno della società. Dire invece: “ti amo senza condizioni, come dono e spero solo che tu senza alcuna costrizione mi ami a tua volta”, è la vera spiritualità del di-scorso della montagna e del Vangelo. Questo è ciò che intendevo all’inizio del mio discorso, quando parlavo della nuova creazione, della nuova attitudine  mentale, della nuova spiritua-lità. (Non è quello che intendono i politici, purtroppo, quando parlano di “nuovo”). Piuttosto mi riferisco ad un nuovo ordine mondiale e ad un nuovo Medio Oriente. Abbiamo il modello reale di un nuovo modo di vita, ma se la fede non sarà alla base di tale nuovo sistema, esso sarà ancora più inaffidabile, ingiusto, violento e dispotico e genererà un apartheid più e-stremo, di quelli che dolorosamente abbiamo conosciuto. 

Il compito che è posto sulle nostre spalle nel mondo arabo consiste nell’aiutare a cambiare il mondo occidentale attraverso la cultura orientale, che incarni una sintesi nella fede tra cri-stiani e musulmani.

Conclusioni

Nei colloqui su Chiesa e Islam ciò che veramente conta è solo quell’amore che unisce i nostri cuori e che trasforma ogni fratello e sorella in amico ed amica vicini al nostro cuore, e che li trasforma in cittadini e cittadine, compagni del nostro cammino terreno. Una questione di estrema importanza è che la Chiesa sia posta nelle condizioni per potersi impegnare nel dia-logo con il mondo musulmano e con l’Islam. Alla Chiesa e ai suoi membri è richiesto di amare i musulmani e l’Islam per la loro stessa fede, non sulla base di sentimenti evanescenti, perché insieme – cristiani e musulmani – possiamo costruire la civiltà dell’amore nei nostri paesi arabi.