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Daniela Pompei

Comunità di Sant’Egidio, Italia
 biografia
Vorrei iniziare il mio intervento raccontando un episodio accaduto questa estate nel sud dell’Italia: a metà agosto si verifica un nuovo arrivo di profughi dalla Siria e dall’Egitto, per la prima volta approdano  direttamente sulle spiagge siciliane. Ci sono dei bagnanti che vedono l’imbarcazione non lontana dalla riva. È un attimo: inizia prima uno, poi due e poi in modo contagioso e immediato si forma una vera e propria catena umana per aiutare, per soccorrere, per portare in salvo a riva le persone, soprattutto bambini. La scena è ripresa e rilanciata dai media. Il nostro Presidente della Repubblica è restato colpito da questa solidarietà spontanea e toccante e per sottolinearne l’importanza ha voluto fare un comunicato:  “l’accoglienza ai profughi - ha detto- fa onore all’Italia”. E’ una buona notizia. Un episodio simile era successo a Catania pochi giorni prima.
 
Il responsabile della nostra Comunità di Sant’Egidio catanese mi ha telefonato per raccontarmi che la stessa mattina - molto presto intorno alle 6,30 - era stato svegliato da un giovane di 16 anni che voleva commentare la notizia dell’arrivo di una nave di profughi, ma - soprattutto - voleva capire come fare per dare una mano. Parte così una catena telefonica e, dopo nemmeno un’ora, sul molo, in attesa della nave, c’erano 50 giovanissimi pronti ad aiutare. Cosa sta succedendo? Qualcosa è cambiato, sembra ci sia un clima diverso nei confronti di chi cerca speranza e futuro. “La predicazione dell’odio” - come l’ha definita  più volte Andrea Riccardi - sembra aver diminuito la sua forza.
 
Solo tre anni fa aveva fatto scalpore una storia di segno opposto. Sulla spiaggia di Napoli due piccole bambine rom, Violetta e Cristina,  annegarono nell’indifferenza generale; i  bagnanti continuarono a prendere il sole, a telefonare. Anche questa scena fu ripresa dai media. E il Cardinale di Napoli Sepe, con attenzione di pastore, volle sottolineare la gravità di quella indifferenza. 
 
C’è un clima nuovo: lo si percepisce, lo si vede. Del resto Papa Francesco con la sua visita di quest’anno, agli inizi di luglio a Lampedusa ha messo in moto le coscienze e i cuori. E qualcuno ha sottolineato questa coincidenza: voci, parole e gesti diversi sono giunti a sostenere un approccio nuovo, solidale verso chi è migrante. 
 
C’è un passaggio del messaggio di Papa Francesco per la giornata internazionale dei migranti e dei rifugiati per il 2014  che mi sembra significativo per la riflessione di questo panel: “La realtà delle migrazioni, - cito Papa Francesco - con le dimensioni che assume nella nostra epoca della globalizzazione, chiede di essere affrontata e gestita in modo nuovo, equo ed efficace, esige anzitutto una cooperazione internazionale, uno spirito di profonda solidarietà e compassione”.
 
Tre quindi sono le indicazioni che bisogna riprendere e rilanciare: cooperazione internazionale, solidarietà e compassione.
 
La Cooperazione internazionale deve ritrovare il suo senso e vigore anche a partire dalle migrazioni. Aiutare di più - quindi - i paesi i poveri che sono anche i paesi di provenienza dei migranti. L’Unione europea, in una ultima raccomandazione, invita tutti gli stati ad impegnarsi nel dialogo e nella cooperazione internazionale per individuare priorità comuni.  
 
Lo Spirito di Solidarietà (che - come dice Papa Francesco - non è una parolaccia) deve potersi esprimere in modo rinnovato. C’è bisogno di una nuova solidarietà in Europa sul tema della migrazione tra paesi del sud e del nord europeo, per pensare insieme un nuovo modo di accogliere. Questa estate una nave della Marina Militare Italiana è andata a Malta a prendere un gruppo di oltre 100 profughi e li ha portati in Italia per sollevare la piccola isola da una pressione troppo forte. Malta, infatti, ha il più alto numero di profughi in rapporto alla popolazione rispetto agli altri paesi europei, oltre 2080 profughi a fronte di poco più di 400.000 abitanti, mentre la media europea è di 660 profughi per un milione di abitanti.
 
La  Compassione. Mi ha colpito molto questo termine usato dal Papa: “dobbiamo ritrovare come società la via della compassione” e mi sono posta anche personalmente questa domanda. “Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!” A Lampedusa  il Papa ha usato queste parole per piangere i morti nel mare Mediterraneo. La Comunità di Sant’Egidio da molti anni prova a conservare uno spazio di compassione pregando e ricordando coloro che muoiono durante i viaggi della speranza. La preghiera “Morire di Speranza” è divenuta una tradizione significativa per celebrare la giornata internazionale dei rifugiati in molte città italiane ed europee. La compassione è ricomparsa questa estate nel sud dell’Italia. La compassione può divenire la cartina al tornasole per valutare i nostri personali atteggiamenti e quelli delle nostre società. 
 
Il coraggio della speranza. È il titolo davvero opportuno di queste giornate.
 
L’Europa proprio su questi temi deve osare e avere più coraggio. Penso a due proposte. La prima è quella di creare un sistema europeo di centri di prima accoglienza per coloro che giungono nel territorio dell’Unione. L’attuale sistema prevede da parte dell’Unione il finanziamento di centri  di accoglienza per profughi in Libia o nei paesi di transito esterni all’Europa e questo per timore di un afflusso massiccio che del resto arriva ugualmente.
 
Si potrebbe iniziare proprio da Lampedusa o dalla Sicilia con un centro di prima accoglienza europeo e non solo italiano. La Comunità di Sant’Egidio, con altre associazioni, ha già fatto questa proposta e questo è forse il “tempo opportuno” per affrontare situazioni vecchie e nuove allo stesso tempo. 
 
Un secondo passo potrebbe essere quello di strutturare su tutto il territorio dell’Unione europea un sistema di reinsediamento dei profughi che giungono in un paese e che potrebbero poi in tempi brevi essere trasferiti in altri paesi europei. In questo modo si sosterrebbero i paesi più esposti geograficamente della sponda sud e – cosa importante- si sottrarrebbero i profughi alle maglie della criminalità e della tratta. Il viaggio di un profugo infatti il più delle volte  non termina con l’ingresso in un paese dell’Unione. Per giungere nel paese di destinazione finale, ad esempio la Svezia o la Germania, si pagano ancora i mediatori e si fanno viaggi pericolosi.  Dalla piccola isola di Lampedusa dei minorenni eritrei mi confidavano lo scorso luglio il progetto di nascondersi sotto i tir per giungere in Sicilia.
 
Una piccola sperimentazione di re insediamento - forse troppo timida - è stata fatta negli ultimi anni per ricollocare in altri paesi europei i profughi giunti nell’isola di Malta. In 4 anni però i paesi dell’Unione (27 paesi!) hanno accolto in tutto solo 500 profughi, diminuendo progressivamente ogni anno le disponibilità di ingresso. Si pone quindi il tema della solidarietà tra i differenti stati europei tanto che la Commissione Europea lo evidenzia come un problema nell’ultima relazione sull’immigrazione e l’asilo. 
 
Nel 2001 hanno fatto domanda di asilo in UE 450 mila persone mentre nel 2012, che ha anche visto un lieve aumento, hanno chiesto asilo 330 mila persone, il 27% in meno rispetto al 2001. Non c’è invasione. E’ necessario allora che i paesi europei si incontrino, superando le reciproche diffidenze, e trovino vie nuove per accogliere ed integrare profughi ed immigrati. Non ripeto poi ciò che tutti sappiamo: il progressivo invecchiamento della popolazione europea, la diminuzione della popolazione in età lavorativa (15-64 anni), la diminuzione delle nascite.  Tutto questo porta a dire che la migrazione in parte è necessaria per il nostro continente.  E’ necessario quindi essere solidali e cooperare per trovare vie equilibrate per i cittadini europei e per i migranti.  
 
Integrazione è la seconda parola che forma il titolo di questo panel.
 
Il prossimo 3 e 4 ottobre a New York all’Onu si discuterà di immigrazione in un dialogo ad alto livello per fare il punto della situazione  mondiale. Il binomio migrazione e sviluppo sono nell’agenda globale.  
 
L’Onu ci offre qualche dato e dice che l’immigrazione a livello mondiale è aumentata costantemente tra il 2000 e il 2010 ed è invece rallentata  tra il 2010 e i 2013.
 
Da sottolineare che  la migrazione è aumentata maggiormente tra i paesi Sud-Sud (dall’Indonesia si va in Malesia, dal Senegal si va in Costa D’Avorio) rispetto a quella che dal  Sud va verso il Nord (Stati Uniti, Europa, etc) . Il numero è pressoché  uguale tra i due emisferi. Gli immigrati che sono nati nel sud del mondo e che vivono nel sud  del mondo sono oltre 82 milioni.  Gli immigrati che sono nati nel sud del mondo e che vivono nel Nord del mondo sono poco meno di 82 milioni. C’è come un riequilibrio globale: Il mondo cambia e le condizioni di vita di paesi storicamente poveri migliorano attraendo immigrati. E l’Europa? in questo contesto deve ripensare il suo ruolo. Nell’ultima relazione annuale sulla situazione dell’immigrazione e dell’asilo la Commissione si pone addirittura il problema di come trattenere gli immigrati e, particolarmente coloro che hanno studiato nei paesi europei, e  ancor più esplicitamente si pone il problema di come attrarre gli immigrati. Questo riguarda anche l’Italia, che sempre più spesso vede andare via i figli degli immigrati – in particolar modo gli asiatici- che i genitori mandano a studiare in luoghi dove si insegna in inglese.
 
L’Europa deve trovare il coraggio di fare un passo in avanti e dire nuovamente  “Benvenuti”. Con norme specifiche che facilitino l’ingresso, la permanenza, l’integrazione.
 
Forse è giunto il momento di pensare ad una  cittadinanza europea attraverso una legge europea sulla cittadinanza, un passaporto europeo che conceda veramente la libera circolazione agli europei e ai cittadini non comunitari che risiedono da lungo tempo. Già oggi sono oltre 50 milioni i cittadini di origine straniera che vivono nei paesi europei. 
 
Tutti i documenti internazionali ed europei parlano dell’immigrazione come una risorsa per i paesi che accolgono e per i paesi di origine. Credo molto vera questa affermazione. C’è bisogno di lavoro, coraggio e speranza perché gli atteggiamenti degli uomini e degli stati cambino. Bisogna uscire, insomma, da una chiusura consolidata che sembra essere divenuta strutturale. Uscire, anche per i paesi ricchi, come avvenne per l’anziano Abramo. Nel libro della Genesi troviamo che “Il Signore disse ad Abramo: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione”. Abramo è la figura del migrante. Ma, credo che in un certo senso può essere considerata anche la figura di noi europei. Accogliere, sostenere, aiutare, è in un certo senso trovare il coraggio di uscire e andare verso una terra e una vita incognita e benedetta. Abramo aveva 75 anni  quando partì verso nuovi orizzonti.  La “vecchia” Europa - come qualcuno la definisce - può ripartire con coraggio verso una nuova accoglienza, una nuova solidarietà e una nuova integrazione.